In questo quadro rientrava il II comma dell'art. 18 della legge n. 47 del 1985, ormai abrogato e sostituito dall'art. del 30 T.U., ai sensi del quale la vendita di un terreno è nulla se all'atto non viene allegato il certificato di destinazione urbanistica dal quale risultino le prescrizioni urbanistiche relative all'area (nella certificazione sono specificate le caratteristiche del terreno: se cioè esso possiede attitudine edificatoria, con le relative specifiche tecniche, ovvero natura agricola, se è adibito a zona di rispetto stradale, a verde pubblico, a verde privato, etc.). La norma svolge contemporaneamente un'indubbia funzione di tutela delle parti, valendo ad impedire che si ingenerino equivoci ed errori in relazione ad un dato essenziale come la capacità di edificazione ovvero altre caratteristiche del terreno, ciò che vale in grandissima misura a determinarne il valore venale.
Le prescrizioni in esame si applicano agli atti traslativi della proprietà o di altri diritti reali relativi ad appezzamenti di terreno, comunque non riguardando, ai sensi del comma X dell'art. 30 del T.U. cit. le divisioni ereditarie, le donazioni fra coniugi e fra parenti in linea retta ed i testamenti, nonché gli atti costitutivi, modificativi od estintivi di diritti reali di garanzia e di servitù. Ancora deve reputarsi escluso dall'obbligo di allegazione il mero contratto preliminare di vendita (Cass.Civ. Sez. II, 8503/05; cfr. anche Cass. Civ. Sez.II, 13221/06 che semmai collega il formalismo all'emissione della pronunzia costitutiva ex art. 2932 cod.civ.).
L'art. 30 cit. impone altresì, sempre a pena di nullità, che si menzioni espressamente nell'atto che, dalla data del rilascio del certificato allegato (rilascio che deve essere effettuato dal Comune entro il cui territorio si trova il terreno), gli strumenti urbanistici non abbiano subito modificazioni. Sono esclusi dall'obbligo di allegazione in parola, gli atti in forza dei quali si costituiscono servitù ovvero diritti reali di garanzia, le divisioni (ma non quelle che danno luogo a conguagli, stante la configurabilità di esse come atti di alienazione, sia pure limitatamente alla parte corrispondente al conguaglio) le donazioni tra coniugi e tra parenti in linea retta nonché gli atti di ultima volontà. E' del tutto irrilevante, ai fini di escludere l'obbligatorietà dell'allegazione, il fatto che il Comune nel territorio del quale si trova il fondo abbia approvato un piano regolatore generale ovvero un più semplice programma di fabbricazione (Cass. Civ., 4811/01).
L'ultima parte del II comma dell'art. 30 in esame prescrive l'inapplicabilità delle disposizioni relative agli obblighi di allegazione "quando i terreni costituiscano pertinenze di edifici censiti nel nuovo catasto edilizio urbano, purché la superficie complessiva dell'area di pertinenza medesima sia inferiore a 5.000 metri quadrati". La prescrizione impone alcune precisazioni di ordine pratico.
Non si dubita che il certificato di destinazione urbanistica non debba essere allegato nel caso di porzione di area destinata a pertinenza di costruzione, ogniqualvolta l'area sia negoziata unitamente al fabbricato.
La norma sembra tuttavia strutturata in modo tale da non imporre, ai fini dell'esclusione in parola, che l'area sia ceduta unitamente al fabbricato. Essa stabilisce soltanto che non serve l'allegazione quando la superficie deve considerarsi di pertinenza di una costruzione, semprechè la dimensione dell'area non ecceda i 5.000 metri quadrati. Il nodo è costituito dalla considerazione quale pertinenza dell'area ceduta separatamente: è chiaro infatti che l'alienazione separata vale propriamente a determinare la cessazione del vincolo pertinenziale, sempre possibile ai sensi e per gli effetti di cui al II comma dell'art. 818 cod. civ.
In definitiva o la porzione di terreno è separata dal fabbricato (ed in tal caso va trattata come se fosse terreno che richiede il certificato di destinazione urbanistica), oppure è parte integrante del fabbricato (ed in tal caso va trattata come una parte della costruzione, per la quale occorre effettuare le menzioni di cui agli artt. 46 T.U. 380/01 (già art. 17 e 40 della Legge 47/85).
Particolare rilevanza riveste inoltre l'ipotesi di fabbricati rurali non censiti al Catasto Urbano. A tal proposito la legge impone (entro termini via via oggetto di proroga, ad oggi comunque scaduti) che detti beni, quando non siano utilizzati come tali da soggetti imprenditori agricoli o coltivatori diretti, siano denunziati al Catasto Urbano in esito a presentazione di regolare scheda catastale. Nel frattempo l'eventuale area pertinenziale (censita al Catasto Terreni) non potrà (anche se v'è chi ritiene il contrario) essere considerata urbana agli effetti della allegazione del certificato di destinazione urbanistica.
Il predetto art.30 prevedeva al VI comma alcune prescrizioni poste a carico dei pubblici ufficiali che avessero ricevuto o autenticato atti di trasferimento di terreni aventi superficie inferiore a mq 10.000. Detta disposizione è stata abrogata (sia pure con variabile efficacia dal punto di vista cronologico e spaziale, in relazione ai territori in cui vige il sistema tavolare) dal Dpr 9 novembre 2005, n.304.
Ai sensi del VII comma dell'art. 30 in esame si prevede altresì che, quando il dirigente o il reponsabile del competente ufficio comunale accerta l'effettuazione di lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta autorizzazione, ne disponga la sospensione con ordinanza. Il provvedimento comporta l'immediata interruzione delle opere in corso ed il divieto di disporre dei suoli
e delle opere stesse con atti tra vivi, dovendo altresì essere trascritto a tal fine nei registri immobiliari. Il seguente IX comma della stessa disposizione prescrive che gli atti aventi per oggetto lotti di terreno in relazione ai quali sia stato emesso il predetto provvedimento sindacale, sono nulli e non possono essere stipulati, né in forma pubblica né in forma privata, dopo la trascrizione di cui allo stesso comma e prima della sua eventuale cancellazione o della sopravvenuta inefficacia.
Ulteriore limite alla alienabilità dei terreni si ricava dal I comma dell'art. 30 del T.U. (nonché dall'abrogato art. 20 lett. c) della Legge 47/85) che fanno divieto, comminando anche una sanzione penale, della abusiva lottizzazione di aree a fini edificatori che si estrinseca mediante frazionamento o altre condotte comunque idonee a formare appezzamenti allo scopo di alienarli per l'edificazione (cfr. anche Cass. Civ. Sez. II, 3004/04 circa i presupposti della abusività della lottizzazione).
La natura di reato penale della vendita di terreni abusivamente lottizzati, secondo la prevalente opinione (Iannelli, Sulla nullità degli atti aventi per oggetto unità edilizie costruite in assenza di concessione, in Rass.dir.civ., 1981, p. 711 e Costantino, Vendita di terreni, lottizzazione abusive e responsabilità del notaio rogante, in Riv.not., 1980, p.1529), condurrebbe alla nullità non per illiceità dell'oggetto, ma per illiceità della causa.
L'illiceità non deriverebbe dal fatto che l'unità edilizia è il "prodotto" di un reato, bensì atterrebbe al regolamento contrattuale che tende a trarne profitto, immettendo nel mercato edilizio un manufatto privo della destinazione economico-sociale prescritta dalla legge. Inoltre, se si riferisce la nullità alla illiceità dell'oggetto, ne dovrebbe conseguire la nullità di qualsiasi atto che abbia ad oggetto tale bene, ciò che contrasterebbe con il fatto che gli atti mortis causa e quelli ad efficacia non reale possono essere validamente conclusi nonostante abbiano ad oggetto lo stesso bene, come già si ricavava dall'abrogato art.17, I comma, Legge 47/85 (così Donisi, Abusivismo edilizio ed invalidità negoziale, Napoli, 1986, p. 92. Alle stesse conclusioni è possibile tuttavia pervenire sotto la vigenza dell'attuale art.46 del T.U.).
Circa la consistenza del reato di lottizzazione abusiva, da ultimo prevalentemente definito "a consumazione alternativa", cfr. Cass. Pen. Sez. Unite, 5115/02.
Ai fini del perfezionamento della fattispecie criminosa viene indifferentemente considerata sia la condotta materiale dell'esecuzione di opere finalizzate alla ripartizione del terreno in lotti, sia l'attività di tipo giuridico consistente nell'approntamento di frazionamento catastale, l'elaborazione di atti di vendita etc.. A tal fine è del tutto indifferente che dette attività siano state autorizzate dalle competenti autorità, ogniqualvolta i detti provvedimenti non siano conformi alle norme urbanistiche vigenti. Questo orientamente è stato ribadito da Cass. Pen., 8556/02, la quale ha precisatoche la lottizzazione abusiva è ricollegabile ad un'attività materiale ovvero ad un'attività giuridica (quando non addirittura "mista", quando i detti profili vengono in esame congiuntamente). Al riguardo è comunque il caso di riferire del contrasto che si è determinato in giurisprudenza circa la consistenza del reato in questione.
A fronte dell'orientamento secondo il quale la fattispecie criminosa si può dire perfezionata soltanto nell'ipotesi di abusività dell'attività, ciò che è escluso dall'esistenza di provvedimenti autorizzatori o concessori rilasciati dalle competenti autorità (cfr. Cass. Pen Sez. III, 6094/91, se ne è formato più recentemente uno di segno opposto, quale quello riferito.
Parte della dottrina reputa che l'omessa indicazione degli estremi del provvedimento, non dipendente da una sua effettiva insussistenza, comporti la semplice inefficacia e non l'invalidità dell'atto (Mariconda, I controlli del notaio in materia urbanistica, in Corriere giur., 1985, p.648, Giacobbe, Per una verifica teorico-applicativa della legge n. 47/1985 sulla sanatoria edilizia: alla ricerca di un'identità, in Riv.not., 1985, I, p. 285 e Luminoso, I nuovi regimi di circolazione giuridica degli edifici, dei terreni e degli spazi a parcheggio, in Quadrimestre, 1985, p.335).
Il chiaro dettato normativo, tuttavia, non consente una simile forzatura interpretativa che dovrebbe presupporre una totale assenza di consapevolezza del legislatore circa il significato normativo della categoria della nullità.
7 Ottobre 2011