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Adozione internazionale
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a cura della redazione
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L'adozione internazionale è l'adozione di un bambino straniero fatta nel suo Paese, davanti alle autorità e alle leggi nazionali e internazionali vigenti. In Italia l'adozione di minori stranieri è regolata dalla legge del 4 maggio 1983 e dalla riforma introdotta dalla legge numero 476 del 1998. Al fine di semplificare e rendere più trasparente la procedura, la disciplina vigente è stata ulteriormente modificata ed integrata con il disegno di legge "Norme in materia di adozione internazionale ed affidamento internazionale", approvato dal Consiglio dei ministri del 18 marzo 2005. A livello governativo il principale organo di riferimento è la Commissione per le Adozioni Internazionali, l’Autorità centrale italiana per l'adozione internazionale. Ecco cosa occorre sapere nel caso si voglia procedere all’adozione di un bambino straniero: 1. Gli unici intermediari formalmente riconosciuti sono gli Enti autorizzati. La lista degli Enti è controllata dalla Commissione per le adozioni internazionali, istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. 2.La procedura inizia con la presentazione di una "dichiarazione di idoneità" al Tribunale dei Minorenni di competenza nel territorio di residenza degli aspiranti genitori adottivi. 3.Il giudice del tribunale per i minorenni valuta la coppia che ha fatto richiesta di adozione per accertarne l’idoneità; il tribunale poi ha 60 giorni di tempo per concludere l’iter. Se idonea, la coppia deve necessariamente conferire ad uno degli Enti autorizzati l’incarico a curare la procedura di adozione nel paese di origine del bambino. Il periodo massimo di tempo entro cui la coppia deve affidare l'incarico all'ente è di 4 mesi. 4.Al momento dell'arrivo del bambino in Italia, in caso di necessità, sono autorizzati a intervenire i servizi sociali. 5.Un bambino adottato, una volta maggiorenne, ha il diritto a conoscere l'identità dei genitori naturali. 6.Sono previste agevolazioni per la coppia che adotta, per esempio la detassazione del 50% delle spese sostenute per portare a termine le procedure di adozione riconoscimento del regime di maternità alle mamme che adottano bambini di età superiore a sei anni. Il 28 giugno 2005, inoltre, è stato firmato il decreto che fissa le modalità di erogazione del "Fondo di sostegno delle Adozioni Internazionali" che prevede il rimborso fino al 50% delle spese non portate in deduzione. La Corte Costituzionale, con l’ordinanza numero 347 del 15 luglio del 2005 ha riconosciuto l’idoneità all’adozione anche a persone single, non coniugate, perché sussistano "risorse personali e familiari per accudire un minore in stato di abbandono e offrirgli valide opportunità di crescita in ambiente accogliente e ricco di stimoli". Infine ricordiamo che per conciliare famiglia e lavoro, in caso di adozione da parte di una coppia, è stato innalzato il limite d’età dei minori per i quali si può ottenere il congedo parentale, che passa da 12 a 15 anni. La Corte di cassazione a sezioni unite scioglie un quesito che negli anni si era presentato più volte ai tribunali per i minorenni e che finora non aveva trovato una soluzione univoca: si trattava di stabilire se un tribunale per i minorenni potesse dichiarare l’idoneità di una coppia ad adottare un bambino limitatamente a bambini di pelle chiara. Infatti, se gli aspiranti genitori non si dichiaravano disposti ad accogliere bambini di pelle scura, al termine del procedimento previsto dalla legge per valutarne l’idoneità a ricevere uno o più bambini in adozione, il tribunale si trovava dinanzi a questa difficile scelta: dichiarare la coppia inidonea ed escludere che potesse ricevere in adozione un qualunque bambino o circoscrivere l’idoneità della stessa limitandola a bambini di pelle chiara. Adesso con la sentenza n. 13332 del 1° giugno 2010, al di là delle motivazioni anche molto profonde e logicamente ben argomentate che nel tempo hanno spinto i tribunali per i minorenni a scegliere soluzioni tra di loro divergenti, abbiamo finalmente un orientamento univoco: il decreto di idoneità all'adozione – pronunciato dal tribunale per i minorenni ai sensi dell'articolo 30 della legge n. 184 del 1983 e successive modificazioni – «non può essere emesso sulla base di riferimenti all'etnia dei minori adottandi, né può contenere indicazioni relative a tale etnia». Infatti, qualora riserve di questo genere siano state espresse dalla coppia dovranno «essere apprezzate dal giudice di merito nel quadro della valutazione dell'idoneità degli stessi all'adozione internazionale». In sostanza – chiariscono i giudici della Corte di cassazione – il bisogno di genitorialità di coloro che intraprendono il percorso adottivo non può prescindere dall'accettazione dell'identità e della diversità del minore proveniente da un contesto completamente diverso nell’ottica del perseguimento dei diritti fondamentali del minore così come sono affermati in diverse disposizioni di legge nazionali. Pertanto, ogni atteggiamento discriminatorio che venga espresso nel corso della valutazione da parte degli aspiranti genitori, evidenzia delle carenze nella capacità di accoglienza da parte della coppia e, in ultima analisi, anche una certa inadeguatezza rispetto alle peculiarità del percorso di integrazione che con un minore straniero è necessario compiere. Verosimilmente i giudici della Corte di cassazione, quando hanno optato per questo rigoroso orientamento, erano consci del fatto che – come hanno già rilevato i più attenti commentatori –- è comunque possibile per una coppia aggirarlo non dichiarando la propria indisponibilità ad accogliere un minore con la pelle di colore diverso durante la fase nella quale viene valutata la loro idoneità ad adottare e, una volta ottenuta l’idoneità, rivolgendosi ad enti che operano essenzialmente in paesi con bambini di pelle chiara. Tuttavia, i giudici hanno voluto lo stesso affermare in modo netto il divieto per i tribunali per i minorenni di circoscrivere l’idoneità di una coppia ad adottare un bambino alla luce d’elementi legati al suo colore della pelle. Ciò anche perché, a differenza di quanto accade per l'adozione nazionale, nell'adozione internazionale l'idoneità all’adozione deve essere verificata in via “astratta e teorica” per la mancanza di un minore specificamente individuato al momento dell’accertamento in relazione al quale misurare le capacità di instaurare un valido rapporto educativo ed affettivo degli aspiranti genitori adottivi; pertanto deve essere formulato un giudizio che “conduca all'adozione del decreto di idoneità solo per quelle persone che dimostrino di essere realmente in grado di affrontare le difficoltà connesse all'adozione internazionale”. E poi, un provvedimento che attribuisca rilevanza a dati razziali si pone in contrasto con principi consolidati del diritto interno e del diritto internazionale considerato che l'articolo 29 novellato dalla legge 476/1998 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione internazionale, fatta a L'Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla l. 4 maggio 1983, n. 184, in tema di adozione di minori stranieri) dispone che l'adozione di minori stranieri sia conforme ai principi della Convenzione de L’Aja che, a sua volta, è centrata sul superiore interesse del minore. Per questo l'interesse superiore dei minori in attesa di essere adottati deve essere un criterio guida a cui si deve uniformare ogni percorso decisionale relativo ai minori mettendo in secondo piano tutti quelli astrattamente confliggenti con esso (compresi quelli fondati sui desideri degli adottanti) che devono essere recessivi rispetto al primo. L’aspetto che più ha colpito è stato quello legato ai decreti di idoneità vincolati all’etnia dei bambini da adottare, tuttavia l’esposto presentato da Ai.Bi. era riferito anche ai limiti posti sull’età e sulla condizione di salute del minore. I vincoli quindi non sono solo sul colore della pelle, ma anche sull’età e lo stato di salute del bambino da adottare. Ecco allora che ci chiediamo se é davvero possibile alzare delle barriere all’adozione di alcune “categorie” di bambini che paradossalmente sono proprio quelli che oggi rappresentano il volto dell’adozione internazionale. Sono i minori che provengono dai Paesi non europei, non più piccoli o con alcuni problemi di salute a costituire la maggior parte dei bambini adottabili attraverso l’adozione internazionale. Sono coloro che non hanno avuto la possibilità di trovare una famiglia nel loro Paese di origine e che rischierebbero di trascorrere tutta la vita in un istituto se una famiglia straniera non desse la propria disponibilità ad accoglierli. Sono loro quelli che non diventerebbero mai figli se i decreti “vincolati” diventassero una prassi. La maggior parte dei minori che potrebbero essere accolti con l’adozione internazionale non hanno quindi il profilo indicato nei decreti “vincolati”. La questione pone così nuovi interrogativi sul futuro dell’adozione internazionale stessa E’ destinato a far discutere l’orientamento espresso ieri dalla procura della Cassazione in merito all’emissione nel 2009 di un contestato decreto di idoneità all’adozione internazionale da parte del Tribunale dei minorenni di Catania. La vicenda è partita da un esposto dell’associazione ‘Amici dei Bambini’ (AiBi), che aveva chiesto alla procura, tecnicamente, di illustrare la corretta interpretazione dell’articolo 30, comma 2, della legge n.184/1983. In buona sostanza, l’AiBi contestava il riconoscimento dell’idoneità all’adozione ad una coppia definita disponibile “all’accoglienza fino a due bambini, di età non superiore ai 5 anni senza distinzione di sesso e religione” ma “non disponibile ad accogliere bambini di pelle scura o diversa da quella tipica europea o in condizione di ritardo evolutivo”. Da qui l’orientamento della procura di ieri, che finirà ora sul tavolo delle sezioni unite della Suprema corte, chiamate ad esprimere al più presto un giudizio definitivo. Il motivo dell’autorevole pronunciamento entra nel merito del tema della discriminazione razziale nelle adozioni internazionali dei minori e coglie dunque lo spirito delle rimostranze dell’AiBi secondo cui consentire alle coppie di scegliere il colore della pelle dei bambini violerebbe numerose convenzioni internazionali e il principio di uguaglianza stabilito dalla nostra Costituzione. “La dichiarazione ‘mercantile’ delle coppie, come quella catanese, avallata dalla decisione del tribunale – ha sostenuto in una nota Marco Griffini, il presidente dall’associazione – contrasta con il principio del miglior interesse del minore e rivela semplicemente una mancanza di requisiti necessari negli aspiranti genitori”. E’ difficile dissentire dall’osservazione dell’ente (tra l’altro uno dei più grandi tra i 70 accreditati presso il Ministero degli Esteri), anche perché ogni coppia affronta più volte i temi della disponibilità all’accoglienza nel corso dei numerosi incontri valutativi svolti con le equipé di psicologi e assistenti sociali dei Gila (“Gruppo integrato di lavoro per le le adozioni”) presso le Asl, prima di affrontare il colloquio decisivo (ai fini del possibile conseguimento dell’idoneità) con un giudice onorario, nominato a sua volta da un magistrato togato. Dunque, alla luce degli orientamenti largamente condivisi sia dalla giurisprudenza del ramo sia tra i servizi sociali, non si comprende come sia potuto accadere che una coppia con simili caratteristiche abbia potuto ottenere l’idoneità. Non per questo appare opportuno definire il caso in questione come un esempio di “razzismo” tout court. Il punto è che i cittadini i quali incontrano sulla loro strada il macigno dell’infertilità o della sterilità e scelgono di intraprendere il percorso adottivo non lo vivono “facilmente” come esperienza di convinta solidarietà in pieno spirito multiculturale. Talvolta chiedono alla società di aiutarli a colmare un bisogno di maternità o paternità, magari nel modo più “normale” possibile, perciò vicino ai propri canoni, persino ‘etnici’. La vicenda va presa molto sul serio e l’indicazione della Cassazione può essere utile ad affermare un principio non solo di natura giuridica ma anche (finalmente) culturale. Resta il fatto che le sezioni unite non potranno annullare il decreto dei genitori ritenuti idonei dal Tribunale dei minorenni di Catania, ma hanno facoltà soltanto di “ammonire” tutti i tribunali di merito a non accogliere più, d’ora in avanti, richieste di adozioni subordinate ad indicazioni razziali. Secondo la procura, oltre a violare la nostra Costituzione – che tutela il principio di eguaglianza tra le persone – le adozioni internazionali che escludono i bambini di ‘colore’ violano anche numerosi trattati internazionali ai quali l’Italia ha aderito. Tra questi, la Convenzione dell’Aja del 1993 sull’adozione dei minori, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Convenzione internazionale dell’Onu del 1965 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale. Senonché, è finita in secondo piano la seconda puntualizzazione indicata a chiare lettere nel decreto contestato, a sostegno della limitata disponibilità a proposito del “rifiuto” della condizione di “ritardo evolutivo”. Nulla di male, in via di principio: i colloqui delle coppie con i servizi sociali servono anche a verificare l’esistenza o meno delle “risorse” necessarie ad accogliere uno o più minori portatori di handicap fisici o psichici. Ciò che suona strano è il via libera all’idoneità per poter eventualmente accogliere bambini da 0 a 5 anni escludendo a priori la condizione di ritardo evolutivo. Come è possibile, infatti, escludere in partenza quel rischio in un bambino, tanto più se così piccolo? Spiegava al riguardo Maurizio Chierici, giudice onorario del Tribunale dei minorenni di Milano, intervenendo ad un convegno dell’associazione ‘Genitori si diventa’: “Le ragioni per cui il TdM arriva ad un provvedimento così drastico come la dichiarazione di adottabilità di un minore, interrompendo definitivamente ogni rapporto con tutta la sua famiglia di origine, sono ovviamente molto gravi. Dal gravissimo abbandono psicologico con conseguente pesante trascuratezza, tale da porre il bambino in situazione di rischio anche rispetto alla soddisfazione dei suoi bisogni primari, al grave maltrattamento fisico, alla violenza ed abuso sessuale. Tali situazioni – aggiungeva Chierici – segnano pesantemente la storia del bambino, che avrà probabilmente sviluppato un disturbo dell’attaccamento primario verso una madre o eccessivamente respingente, che non ha permesso quella stretta fisicità che un bambino richiede nei primi mesi di vita, oppure eccessivamente simbiotica, che non ha consentito al piccolo di assumere quelle sicurezze che gli permettono poi un giusto e graduale distacco. Il bambino avrà altrettanto assorbito tanta paura, insicurezza, rabbia e diffidenza verso il mondo degli adulti, oppure avrà maturato un senso di colpa verso i genitori da cui è stato allontanato, vivendosi come bambino cattivo e quindi meritevole di tutte le vicende negative vissute. Tali storie indubbiamente segnano il bambino, non permettendogli un adeguato sviluppo psicologico e un’adeguata sicurezza ed autostima e determinando una difficoltà nella concentrazione, nello studio, nel rispetto delle regole, nella socializzazione con l’altro”. Ecco allora che “il rischio che un bambino con una storia di questo genere presenti un certo grado di ritardo evolutivo è molto alto o, meglio ancora, scontato, in adozione. A tutto questo c’è da aggiungere che il bambino, in quanto generato da quei genitori abbandonici, maltrattanti, abusanti, violenti porta con se anche la storia dei suoi genitori, molto spesso anch’essi portatori di pesanti multiproblematicità: contesti di vita pesantemente degradati, con alle spalle storie, non curate e non prese in carico, di abbandono, maltrattamento, abuso; tossicodipendenza cronica; alcolismo cronico; malattia mentale grave (schizofrenia, psicosi grave, paranoia, etc); gravissime forme di insufficienza mentale”. Il “rischio evolutivo”, insomma, è una probabile certezza. E bisognerebbe esserne consapevoli. “E’ utile sottolineare – aveva osservato ancora il giudice onorario del TdM milanese – che più bassa è l’età del bambino più alto è il rischio evolutivo, perché minori sono le informazioni sanitarie e l’osservazione dello sviluppo del bambino stesso e minori sono le informazioni che si hanno sul suo contesto originario, fino a divenire, tale rischio, esponenziale per il neonato, sul quale molto scarse possono essere le informazioni anche sulle malattie infettive”. A conclusione delle brevi considerazioni afferente argomento di interesse di molte famiglie, riteniamo dover riportare il testo della Circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento Affari Sociali del 30 ottobre 2000 n. das/715/uc/710 (G.U. del 31 ottobre 2000, n. 255) Convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ratificata in Italia con legge 31 dicembre 1998, n. 476 . - Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri Commissione centrale per le adozioni internazionali - Al Ministero degli affari esteri - Alle prefetture - Ai presidenti delle corti d'appello - Ai procuratori generali della Repubblica presso le corti d'appello - Ai presidenti dei tribunali per i minorenni - Ai procuratori della Repubblica presso i minorenni - Alle regioni e alle province autonome di Trento e di Bolzano - All'ANCI nazionale - All'UPI nazionale Con l'entrata in vigore della legge 31 dicembre 1998, n. 476 , di ratifica della Convenzione dell'Aja sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, ha fatto ingresso nel nostro ordinamento un organismo nuovo dotato di importanti funzioni al fine del regolare svolgimento delle procedure adozionali: la Commissione per le adozioni internazionali, insediatasi regolarmente ed operativa presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per gli affari sociali. Essa e' la Autorita' centrale prevista dall' art. 6 della Convenzione all'espresso scopo di svolgere i compiti che le sono attribuiti dalla Convenzione medesima (in particolare: capitoli III, IV e V) e dalla suddetta legge di ratifica (in particolare, art. 39 della legge 4 maggio 1983, n. 184 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 ). La legge italiana ha, peraltro, previsto, in conformita' a quanto stabilito dall' art. 22, comma 1 , della Convenzione, che alcuni compiti, propri dell'Autorita' centrale, possano essere esercitati da organismi abilitati: trattasi degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali, ai sensi dell' art. 39, comma 1, lettera c) della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 , nonche' delle disposizioni del regolamento di attuazione, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 1o dicembre 1999, n. 492 . E' utile sottolineare che, ai sensi dell' art. 2 della legge n. 476 del 1998 (Piena ed intera esecuzione e' data alla Convenzione, a decorrere dalla sua entrata in vigore, in conformita' all' art. 46 della Convenzione medesima), la Commissione per le adozioni internazionali e' competente a svolgere i compiti espressamente previsti dalla medesima legge n. 476 del 1998 , nonche' quelli attribuiti dalla Convenzione all'Autorita' centrale e non espressamente attribuiti ad altra autorita' dello Stato. Si segnala, in particolare, che alla Commissione e' affidato il compito di: a) cooperare con le autorita' centrali degli altri Stati e promuovere la collaborazione fra le autorita' italiane per assicurare la protezione dei minori e realizzare gli altri scopi della Convenzione ( art. 7 della Convenzione); b) prendere, sia direttamente sia con il concorso di altre pubbliche autorita', tutte le misure idonee a prevenire profitti materiali indebiti in occasione di una adozione ( art. 8 della Convenzione); c) prendere, sia direttamente sia con il concorso di altre publiche autorita' o di organismi debitamente abilitati, ogni misura idonea per agevolare, seguire ed attivare la procedura in vista dell'adozione ( art. 9 della Convenzione); d) autorizzare gli organismi ritenuti idonei a curare le pratiche di adozione internazionale e vigilare sulla loro attivita' (articoli 10 e 11 della Convenzione, art. 39, comma 1, lettera c), della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 ); e) dichiarare che l'adozione curata dall'organismo autorizzato risponde al superiore interesse del minore ( art. 32, comma 1, della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 ); f) certificare la conformita' dell'adozione alla Convenzione affinche' essa possa essere riconosciuta di pieno diritto negli altri Stati contraenti ( art. 23 della Convenzione, art. 39, comma 1, lettera i) della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 ); g) autorizzare l'ingresso e la residenza permanente del minore a scopo di adozione ( art. 18 della Convenzione, articoli 32, comma 1, 33, comma 3, e 39, comma 1, lettera h) , della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998). Deve ricordarsi inoltre che, nonostante l'Italia sia statisticamente un paese di accoglienza di minori stranieri, essa e' parimenti vincolata dal patto internazionale anche come potenziale paese di origine e che quindi, tutte le norme relative alle procedure adozionali stabilite dalla Convenzione valgono anche nel caso di adozione di minori italiani da parte di cittadini stranieri residenti in Paesi membri della Convenzione ( art. 40 della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 ). La Convenzione dell'Aja dispieghera' pienamente tutti i suoi effetti con la pubblicazione e l'entrata in vigore dell'albo degli enti autorizzati, a norma dell' art. 8 della suddetta legge n. 476 del 1998 e dell' art. 16 del decreto del Presidente della Repubblica 1o dicembre 1999, n. 492 . Cio' premesso, e in considerazione dei ricordati poteri attribuiti alla Commissione per le adozioni internazionali, si deve considerare la peculiare situazione in cui possono venirsi a trovare quegli aspiranti adottanti i quali, alla data della pubblicazione dell'albo degli enti autorizzati: a) abbiano ottenuto il decreto di idoneita' prescritto dalla legge ; b) abbiano gia' intrapreso, ma non concluso, l'iter all'estero secondo le disposizioni procedimentali previgenti, volto ad ottenere l'individuazione del minore straniero da adottare ed il successivo provvedimento di adozione o di affidamento preadottivo da parte della competente autorita' straniera. In proposito deve osservarsi quanto segue: Per coloro i quali, alla data di entrata in vigore dell'albo degli enti autorizzati, non abbiano ancora ottenuto l'individuazione del minore straniero da adottare, la prosecuzione dell'attivita' potra' avvenire solo con l'assistenza di un ente dotato della prescritta autorizzazione; In tutti gli altri casi sara' la Commissione per le adozioni internazionali, in esplicazione delle funzioni e dei poteri ad essa attribuiti dall' art. 9, lettera b) , della Convenzione e dall' art. 32, comma 1, della legge n. 184 del 1983 , come modificata dalla legge n. 476 del 1998 , a valutare caso per caso le richieste di ingresso in Italia delle coppie che abbiano ottenuto l'idoneita' ed iniziato l'iter in data anteriore alla pubblicazione dell'albo degli enti autorizzati, al fine di assicurare le forme ed i modi migliori per la positiva conclusione della procedura adottiva in corso, nell'esclusivo e superiore interesse del minore. Il Ministro per la solidarietà sociale Turco Il Ministro della giustizia Fassino
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