Le retribuzioni dei lavoratori italiani sono basse e tartassate.
Negli ultimi 15 anni hanno perso terreno nei confronti internazionali.
E la differenza tra i salari più ricchi e quelli più poveri è aumentata. Adesso, poi, con l'inflazione che ha ripreso a correre e con la stangata Monti appena decisa, la perdita di potere d'acquisto rischia di essere pesante.
Partiamo dai raffronti con gli altri Paesi, utilizzando i dati 2010 dell'Ocse, l'organizzazione dei Paesi più industrializzati.
L'Italia si colloca al 22esimo posto su 34 nella classifica dei salari netti: 25.155 dollari (19.350 euro al cambio di ieri). Mille euro in meno della media Ocse e quasi 4 mila in meno della media dell'Ue a 15.
Nel Regno Unito la retribuzione netta è stata di 11 mila euro superiore a quella media italiana. In Germania hanno preso quasi 5 mila euro in più che da noi, in Francia 2 mila e perfino in Spagna ci hanno superato di circa 1.500 euro.
L'Italia è comunque ultima per livello di salario netto tra i Paesi del G7.
La stessa Ocse, mette a confronto il livello di imposizione fiscale (tasse e contributi) sugli stipendi.
L'Italia si colloca al quinto posto su 34, con un prelievo del 46,9% misurato sulla retribuzione media di un lavoratore single senza figli.
Ci battono, nell'ordine, solo Belgio (55,4%), Francia (49,3%), Germania (49,1%) e Austria (47,9%). Invece, Spagna, Olanda e Danimarca stanno intorno al 38-39% e il Regno Unito al 32,7%. Se poi si mettesse a confronto il prelievo su un lavoratore con carichi familiari è probabile che la posizione dell'Italia peggiorerebbe, per esempio rispetto alla Francia che ha il Fisco col quoziente familiare.
La cosa che preoccupa di più è che «negli ultimi 10-15 anni la posizione relativa dell'Italia è peggiorata.
È aumentato cioè il divario rispetto a Regno Unito, Germania, Francia e Olanda. Il motivo è che la produttività è rimasta quasi ferma, mentre altrove è aumentata».
A questa situazione di base, già svantaggiata, si somma una scarsa crescita della produttività, in parte riconducibile proprio al nanismo imprenditoriale, in parte ad altri fattori.
Per rimettere in moto la produttività bisogna quindi agire su più fronti, attraverso riforme strutturali, accompagnate da una contrattazione più moderna e partecipativa. Più produttività significa più salario. A patto però che il prelievo fiscale e contributivo non aumenti e che l'inflazione venga tenuta sotto controllo.
22 Dicembre 2011