Da 7 giorni a due anni.
Tanto deve aspettare una donna per un trattamento di fecondazione assistita in un centro pubblico classificato nel secondo livello (dove cioè si effettuano Fivet, fecondazione in provetta, e Icsi, microniezione).
I tempi variano sensibilmente da Regione a Regione e sembra siano piuttosto lunghi quelli presso l’ospedale di Pieve di Cadore dove il primario del reparto di ostetricia è stato arrestato.
Il medico avrebbe incassato tangenti del valore di 15-20 mila euro versato da coppie che gli chiedevano un occhio di favore per accorciare le liste di attesa del suo centro.
Un fenomeno che, in generale, accomuna le strutture di procreazione medicalmente assistita pubbliche e private accreditate. L’ultima relazione dell’istituto Superiore di Sanità che contiene i dati del 2008, più o meno sovrapponibili a quelli attuali, presenta una situazione non uniforme.
In Piemone l’attesa è di 3 mesi (15 giorni per la prima visita), in Valle d’Aosta una settimana, a Trento servono due anni, in Emilia Romagna tra 10 e 24 mesi, più o meno come la Sicilia.
Il Veneto non ha reso noto il dato. Nel Lazio è richiesto un minimo di un anno. Quella di Roma e dintorni è una delle realtà meno definite da regolamenti, ritardo che viene denunciato dai responsabili dei centri. Al Sant’Anna la coda è di circa 18 mesi.
«Le coppie non intendono aspettare soprattutto se la donna è in avanti con l’età. In questi casi più si aspetta più le possibilità di ottenere risultati si riducono– commenta il responsabile del centro della Capitale, Antonio Colicchia – Ecco perché molti preferiscono rivolgersi ad altre strutture pubbliche anche in città diverse da quelle di residenza».
Una forma di turismo procreativo che per Colicchia genera meccanismi poco virtuosi. Se ad esempio un cittadino del Lazio viene seguito a Firenze percorre un cammino preferenziale perché la Toscana ha da parte della Regione di appartenenza della coppia un pagamento della prestazione assicurato. Due coppie su dieci scelgono di migrare.
Molto diverse sono inoltre le tabelle dei ticket e l’età massima oltre la quale la paziente non viene accettata e dunque la prestazione non può essere erogata gratuitamente.
In Piemonte ciò è possibile fino al compimento del 43mo anno da parte della donna, altrove sono stati fissati 42 o 41 anni.
Quarantatrè anni compiuti sono il limite proposto da un tavolo tecnico coordinato dall’andrologo Carlo Foresta. La Conferenza Stato-Regioni dovrà prendere la decisione definitiva.
L’obiettivo è uniformare le modalità delle prestazioni e fare in modo che siano uguali dalla Sicilia alla Lombardia.
Il problema delle liste di attesa pubbliche esiste ed è legato agli organici ristretti di queste strutture e agli investimenti risicati delle Regioni in questo settore.
22 Dicembre 2011