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Nuove pensioni: le regole e i conti
Contributivo per tutti e sistema pro rata, eliminate tutte le disparità nel calcolo

Il Ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha cominciato a scoprire le carte della riforma delle pensioni. I primi provvedimenti saranno approvati lunedì dal Consiglio dei ministri. Vediamo le probabili novità, leggendo tra le righe di quanto ha detto ieri lo stesso ministro da Bruxelles ed esaminando le principali ipotesi allo studio.


Contributivo per tutti
È la misura che porterà a compimento la riforma Dini del 1995, dalla quale restarono esclusi coloro che avevano, a quella data, più di 18 anni di servizio e che mantennero il vantaggioso metodo di calcolo retributivo (2% dello stipendio per ogni anno di servizio, quindi pensione dell’80% dopo 40 anni).
Dal prossimo anno i versamenti di questi lavoratori saranno calcolati ai fini della pensione col meno vantaggioso metodo contributivo (l’assegno tiene conto di quanto effettivamente versato e della speranza di vita media al momento del pensionamento), come succede per tutti quelli che hanno cominciato a lavorare dopo il ’95 o per coloro che a quella data avevano meno di 18 anni di servizio, i cui versamenti dal ’96 in poi vengono calcolati col contributivo. Si tratta di un provvedimento che Fornero vuole soprattutto per ragioni di equità, cioè affinché tutti i lavoratori siano tendenzialmente trattati allo stesso modo. In realtà non riguarderà tutti. La riforma, per esempio, non potrà essere imposta alle casse dei professionisti, che sono autonome per legge, ma il governo spingerà al massimo per ottenere che anche queste si adeguino.
Poiché il contributivo verrà applicato «pro rata», cioè per i versamenti futuri, è chiaro che riguarderà una minoranza dei lavoratori anziani, visto che la maggioranza di coloro che aveva più di 18 anni di contributi nel ’95 è già andata in pensione. I risparmi che verranno da questa misura sono quindi modesti: qualche centinaio di milioni nei primi anni. E i lavoratori che verranno colpiti dal decreto ci rimetteranno poco. Più si è vicini alla pensione e meno si verrà penalizzati. Per esempio, un lavoratore che dovesse andare in pensione tra uno o due anni con 40 anni di versamenti (38-39 dei quali calcolati col retributivo) non noterebbe in pratica alcuna differenza.
Secondo le stime la perdita potrebbe arrivare al massimo al 2-3% e in alcuni casi ci potrebbe anche essere un piccolo guadagno (se uno lavorasse per più di 40 anni). Facciamo qualche esempio. Un lavoratore che oggi ha 35 anni di servizio e una retribuzione di 30 mila euro l’anno e volesse arrivare fino a 40 anni di contributi, prenderebbe alla fine 1.794 euro al mese anziché 1.846 euro (calcolo retributivo), cioè 52 euro in meno al mese. Che si ridurrebbero a 32 euro in meno se questo stesso lavoratore avesse oggi 37 anni di servizio, perché in questo caso il contributivo agirebbe solo sugli ultimi tre anni di versamenti, e a 11 euro in meno se avesse 39 anni di servizio.


Età flessibile
Come ha detto ieri il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, «se si va verso il sistema contributivo, è insita la flessibilità dell’uscita».
Estendere il contributivo a tutti i lavoratori significa completare la riforma Dini. Che aveva come altro pilastro l’età flessibile di pensionamento. Vuol dire che per i lavoratori col contributivo puro, quelli assunti dopo il ’95, spariva la distinzione tra pensione di vecchiaia (65 anni) e di anzianità (anticipata) e subentrava un’età flessibile di pensionamento a scelta dello stesso lavoratore tra 57 e 65 anni. Ovviamente, secondo la logica del contributivo (pensione in rapporto ai versamenti di tutta la vita lavorativa), più tardi si andava in pensione e più si prendeva. La fascia 57-65 fu abolita con le riforme dei governi Berlusconi. Fornero vorrebbe reintrodurla, ma a questo punto dovrebbe essere collocata a un livello più alto, perché l’obiettivo è di non consentire comunque l’uscita dal lavoro prima dei limiti attualmente in vigore. Bisognerebbe quindi fissare la fascia fra 65 e 68-70 anni, in modo da ricomprendere il già previsto innalzamento dell’età di vecchiaia con l’adeguamento triennale dell’età alla speranza di vita.


Pensioni d’anzianità
Resta, nella fase transitoria, il problema del superamento delle pensioni di anzianità. Le ipotesi sono diverse. Anche qui una fascia flessibile a partire da 62-63 anni, che significherebbe aspettare un anno in più rispetto a ora che servono 60 anni (e 36 di contributi) che però diventano 61 anni considerando la «finestra mobile» di 12 mesi, che verrebbe abolita. Oppure aumentare le «quot e» . Oggi si va in pensione d’anzianità a quota 96 (60 anni d’età e 36 di contributi oppure 61+35), che diventerà 97 nel 2013. Una delle ipotesi prevede di anticipare al 2012 quota 97 e di portarla rapidamente a quota 100.


E per chi ha 40 anni di contributi?
È questo il nodo della riforma sul quale sono più tese le trattative di queste ore.
Tutte le riforme hanno salvaguardato il diritto di chi ha 40 anni di versamenti (compresi eventuali riscatti laurea e militare) di lasciare il lavoro, indipendentemente dall’età. Solo il governo Berlusconi è riuscito a intaccare indirettamente questo diritto con l’applicazione anche a questi lavoratori della «finestra mobile». Bisogna quindi lavorare 41 anni e per di più l’ultimo anno di contributi viene «regalato» all’Inps, perché nel sistema retributivo si conteggiano al massimo 40 anni di versamenti. Il problema di queste pensioni è però rilevante dal punto di vista finanziario. Si tratta infatti di assegni «pesanti» (circa 1.700 euro al mese), che vengono liquidati anche a 50enni, e che rappresentano i due terzi delle pensioni di anzianità messe in pagamento ogni anno (il restante terzo ricade nel sistema delle quote: 60-61 anni d’età e 36-35 di contributi).
Probabilmente per i lavoratori con la qualifica di operaio e «assimilati », circa 8 milioni, il diritto di lasciare dopo 40 anni resterà.


Per gli altri invece ci saranno modifiche
Potrebbero rientrare nella fascia flessibile ed essere quindi obbligati a raggiungere un minimo d’età di 62 anni, oppure subire un aumento degli anni di contribuzione richiesti (42-43), oppure mantenere la possire subire un aumento degli anni di contribuzione richiesti (42-43), oppure mantenere la possibilità di uscire dopo 40 anni, ma con la pensione calcolata tutta col contributivo.


Accelerare
È un’altra delle cose dette ieri da Fornero. Significa che l’adeguamento triennale alla speranza di vita (si prevede un aumento di tre mesi ogni volta) che dovrebbe partire nel 2013 scatterebbe nel 2012. E dovrebbe essere anticipato anche l’aumento a 65 anni dell’età di vecchiaia delle lavoratrici del settore privato (per quelle del pubblico impiego i 65 anni scattano già dal 2012). Secondo le regole attuali l’età salirebbe a 61 anni nel 2014 e poi gradualmente fino a raggiungere 65 anni nel 2026. L’ipotesi è di partire nel 2012 per arrivare a fine corsa già nel 2016.


Perequazione
È un altro dei punti dove è più tesa la trattativa con i sindacati. L’idea è quella di bloccare nel 2012 e forse anche nel 2013 l’adeguamento annuale delle pensioni all’inflazione, salvaguardando solo gli assegni più bassi. La pensione si ridurrebbe da pochi euro a qualche decina di euro, secondo come si fa la manovra. È una misura che consentirebbe di risparmiare molto (fino a 4-5 miliardi), ma che incontra l’opposizione della sinistra e del sindacato e solleva qualche dubbio per l’effetto depressivo che potrebbe avere sui consumi.


Più contributi per gli autonomi
È probabile che la manovra metta mano alla giungla dei contributi.
Anche in questo caso non si potrà intervenire immediatamente sulle casse dei professionisti dove talvolta le aliquote sono del 10-13%.
Si comincerà dal regime Inps dove mentre i lavoratori dipendenti pagano il 33% (due terzi a carico dell’azienda), artigiani e commercianti versano il 20-21%. Per loro l’aliquota salirà di uno o più punti. Fornero vorrebbe arrivare a regime a una armonizzazione delle aliquote.


Privilegi nel mirino
Una manovra sulle pensioni come quella che il governo sta mettendo a punto è decisamente impopolare. Manderà i lavoratori in pensione più tardi e in molti casi ridurrà l’importo dell’assegno.
Per farla digerire il presidente del Consiglio Mario Monti e il ministro Fornero puntano sulle misure di «equità», che dovranno affiancare la stretta.
Camera e Senato, su pressione del governo, hanno già deciso, sia pure timidamente, di intervenire sui vitalizi dei parlamentari.
L’esecutivo premerà sulle casse dei professionisti perché adottino il contributivo (quelle che non lo hanno già fatto) e aumentino le aliquote.
Nel regime Inps è probabile che scatti anche un contributo di solidarietà a carico dei pensionati dei fondi speciali (elettrici, telefonici, volo, trasporti, postelegrafonici, dirigenti d’azienda) che in passato hanno goduto di regimi più favorevoli.
E non è escluso che siano sottoposte a revisione anche le età di pensionamento più basse della norma ancora in vigore per alcune categorie, dalle Forze armate ai piloti, ai conducenti di autobus, metropolitane e treni.


2 Dicembre 2011

 


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