In Italia, i malati "ufficiali" che usano cannabis terapeutica sono circa un centinaio. Nella realtà, però, si stima che migliaia di pazienti facciano ricorso all’auto-coltivazione o al mercato nero.
La legge regionale toscana sull’uso terapeutico dei cannabinoidi, approvata il 2 maggio scorso, ha se non altro il merito di voler portare alla luce questo "sommerso", con tutte le garanzie del controllo medico e abbreviando i tempi del lungo percorso burocratico previsto oggi dalla normativa nazionale per procurarsi i farmaci a base di cannabis su prescrizione medica.
I più critici nei confronti dell’iniziativa mettono in dubbio la validità scientifica della terapia e sollevano il timore di un’apertura allo "spinello libero".
È davvero così?
«Nella società c’è un po’ di diffidenza — ammette Daniela Parolaro, farmacologa dell’Università Insubria di Varese da 20 anni impegnata nello studio sui cannabinoidi —. Secondo me, c’è sempre un malinteso: un conto è parlare di potenzialità terapeutiche dei cannabinoidi e un conto dello spinello libero, al quale personalmente sono contraria. L’utilizzo dei cannabinoidi a scopo medico non si riferisce necessariamente al THC (delta9-tetraidrocannabinolo) che ha effetti psicotropi, ma anche ad altri cannabinoidi non psicoattivi quale il cannabidiolo o alla loro associazione, comunque utilizzando dosaggi diversi e lontani da quelli dell'abuso. Non è la stessa cosa e finché non si chiarisce bene questo, andrà sempre a detrimento di tutti. Dunque è importante controllare le preparazioni e l’accuratezza del dosaggio. Nelle molte situazioni in cui le terapie tradizionali sono efficaci il vantaggio dei cannabinoidi potrebbe essere quello di avere ridotti effetti collaterali; in altri casi i cannabinoidi potrebbero rappresentare un’alternativa per i pazienti che non rispondono alle cure, in altri casi ancora la co-somministrazione di cannabinoidi e farmaci tradizionali potrebbe potenziarne l’effetto».
Cerchiamo di chiarire meglio anche con l’aiuto di Vincenzo Di Marzo, coordinatore dell’Endocannabinoid research group del Cnr Pozzuoli. «I principi attivi prodotti solo dalla cannabis sono più di 70 — spiega —. I più noti sono il THC, che conferisce ai preparati di cannabis le proprietà psicotrope e ne implica l’uso ricreazionale e l’abuso, ed il cannabidiolo, che invece non è psicotropico ma ha proprietà farmacologiche, principalmente antinfiammatorie e neuroprotettive, molto promettenti». Effetti collaterali? «Il cannabidiolo è abbastanza sicuro, e recentemente è stato somministrato a pazienti con schizofrenia, mitigandone i sintomi ad una dose di ben 800 mg/die, senza rilevanti effetti collaterali — racconta Di Marzo —. L’efficacia del THC, invece, è limitata dai suoi effetti psicotropici, che il paziente generalmente non tollera. La co-somministrazione di cannabidiolo sembra attenuare gli effetti psicotropici del THC e quindi consentirne la somministrazione a dosi più elevate». In campo medico le applicazioni del THC e degli altri principi attivi sono parecchie.
«Grazie alle sue proprietà anti-emetiche e appetito-stimolanti, il THC è usato già da molti anni contro la nausea e la perdita di peso in pazienti sotto chemioterapia ed in pazienti con AIDS — dice Di Marzo —. Recentemente una miscela standardizzata di due estratti da varianti di cannabis, selezionate per produrre prevalentemente THC e cannabidiolo, rispettivamente, è stata approvata in Canada per il dolore in pazienti con cancro o sclerosi multipla, e in diversi Paesi europei per il trattamento della spasticità nella sclerosi multipla. In modelli animali, sia il THC e gli inibitori della degradazione degli endocannabinoidi, attraverso i recettori cannabici, sia il cannabidiolo, attraverso numerosi bersagli molecolari, si sono rivelati promettenti nel trattamento di numerose patologie: neurologiche, infiammatorie, metaboliche, respiratorie e cardiovascolari. Gli studi clinici sono però ancora troppo pochi». Proprio su questo aspetto insiste Adriana Turriziani, presidente della Società italiana di cure palliative: «Come Società scientifica — dice — auspichiamo l'avvio di studi clinici controllati (randomizzati a doppio cieco) che possano valutare l'effettiva efficacia dei cannabinoidi nel confronto con gli altri oppiacei usati, e sperimentati, da decenni».
22 Maggio 2012