I Paesi occidentali da anni si sentono minacciati dall'espansione cinese. Ma, secondo un'analisi pubblicata stamattina dall'agenzia Bloomberg*, dovrebbero preoccuparsi più che altro del contrario: vale a dire della possibilità che il gigante asiatico perda colpi.
L'esecutivo di Pechino ne è consapevole e cerca in tutti i modi di ridurre la dipendenza dalle esportazioni e spingere per un aumento dei I tassi di crescita cinesi, finora, sono stati da capogiro. Lo dimostrano i dati: dal 2008 al 2010 la Cina ha contribuito per il 40% alla crescita economica mondiale. Frutto di una combinazione di basso costo del lavoro, svalutazione della moneta, investimenti ed esportazioni. Un modello finora vincente ma che – avverte l'agenzia di stampa statunitense – ha dei limiti ben precisi. Le esportazioni, innanzitutto. Ormai ammontano al 10% del volume dell'export globale: quindi è praticamente impossibile che crescano ulteriormente, a meno che le industrie cinesi non abbassino ulteriormente i prezzi, azzerando i propri profitti. Tanto più che i principali esportatori di prodotti cinesi sono in crisi già da tempo. E proprio oggi il Senato statunitense ha iniziato a discutere una proposta di legge per alzare i dazi doganali.
Ma gli elementi critici non vengono solo dall'esterno. In Cina migliorano le condizioni di vita, e con esse le rivendicazioni salariali. Il costo del lavoro, dunque, è destinato ad aumentare: altrimenti, le tensioni sociali sono alle porte. Soprattutto in presenza di un'inflazione stabilmente superiore al 6%, che erode il potere d'acquisto, e di prezzi immobiliari gonfiati dalla speculazione (e ormai insostenibili per la maggior parte delle famiglie).
Secondo le stime del Fondo monetario internazionale l'impatto della domanda cinese sulle maggiori economie del mondo è più che raddoppiato nell'ultimo decennio. Il che significa che, in un eventuale momento di difficoltà per il gigante asiatico, le conseguenze sarebbero di vasta portata. Per questo l'editoriale di Bloomberg avverte: il primo obiettivo, per i Paesi occidentali, è quello di rendersi meno vulnerabili. Il che nel Vecchio Continente significa trovare una via d'uscita alla crisi del debito; e, negli Stati Uniti, risollevare un'economia ancora stagnante e risolvere gli strascichi della crisi dei mutui.
consumi da parte dei cittadini. Ma una scelta del genere richiederebbe di porre fine a molte delle politiche che finora hanno alimentato la crescita. Il tutto mentre si profila la necessità di dover intervenire in futuro con un massiccio piano di ricapitalizzazione per le banche, la cui solidità è minacciata dall'enorme volume di prestiti a rischio insolvenza concessi agli enti locali.
*) Michael Bloomberg (Boston, 14 febbraio 1942) è un imprenditore e politico statunitense. E' sindaco di New York. Eletto con il Partito Repubblicano, lo ha poi abbandonato rimanendo indipendente.
Bloomberg è nato a Boston da una famiglia di immigrati ebrei di nazionalità russa. Bloomberg ha frequentato la Johns Hopkins University di Baltimora, facendo inoltre parte del Phi Kappa Psi, laureandosi nel 1964 in ingegneria elettronica. Più tardi ha conseguito un Master in Business Administration presso la Harvard Business School (Cambridge). Dopo la laurea conseguita presso la Harvard University, ha fatto fortuna con la sua compagnia, la Bloomberg L.P., e con la sua radio network.
È uno degli uomini più ricchi del mondo, secondo la rivista specializzata Forbes, nel 2009 lo pone in 17esima posizione.
Bloomberg non risiede nella tradizionale residenza del sindaco della città, ovvero a Gracie Mansion, bensì nel suo appartamento nell'Upper East Side, ed è noto per il fatto che raggiunge quotidianamente il Municipio in metropolitana.
Bloomberg è un personaggio particolarmente atipico nel panorama politico americano, infatti pur essendo appartenente al Partito Repubblicano è considerato da molti un repubblicano liberale, a causa delle sue idee favorevoli all'aborto e alla legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, molto più vicine agli ideali democratici e infatti prima della sua elezione a sindaco apparteneva al partito dell'asinello. È stato eletto sindaco nel 2001 come successore di Rudolph Giuliani, anche grazie ad una imponente campagna elettorale, sconfiggendo di misura l'avversario, Mark J. Green.
Bloomberg nel 2005 è stato rieletto (la legge prevede la possibilità di essere eletti due volte: la sua carica é terminata il 31 dicembre 2009) con un margine del 20% sull'avversario democratico Fernando Ferrer.
Il 19 giugno 2007 ha annunciato di aver lasciato il Partito Repubblicano ed essere così indipendente. Ciò gli avrebbe permesso di correre per la Casa Bianca alle elezioni presidenziali del 2008, anche se Bloomberg stesso aveva smentito questa eventualità più volte. Il 3 novembre 2009 è stato riconfermato sindaco alle elezioni comunali. Il 1 gennaio 2010 ha avuto quindi inizio il suo terzo mandato.
Nel 2010 la rivista Forbes lo ha classificato al 10º posto tra i 400 uomini più ricchi d'America con un patrimonio stimato di 18 miliardi di dollari.
Ottobre 2011