Dall’universo buio è spuntata una giovane galassia.
E un gruppo di astrofisici, tra cui due italiani, sono riusciti a scoprirla, avvolta dai mille misteri che ancora nascondono le nostre origini. Infatti la grande isola stellare si trova a 13,2 miliardi di anni luce dalla Terra.
Per il gioco del viaggio nel tempo che accompagna questi sguardi nelle profondità siderali, significa che esisteva quando l’universo aveva appena 490 milioni di anni. Dunque era giovanissimo e nelle sue prime fasi della formazione, tanto da essere ancora immerso nell’«età oscura» quando il cosmo era in buona parte permeato da una nebbia di idrogeno neutro. Questo impediva alla luce di emergere, di giungere sino a noi e quindi di essere visto nelle sue caratteristiche.
La Dark Age si protrasse fino a circa 800 milioni di anni dopo il Big Bang da cui tutto nacque, vale a dire fino a quando l’intensa luce ultravioletta lanciata dalle stelle non oltrepassò la barriera e, liberandosi, ci mostrò come il mondo stava evolvendo. Dunque la visione della galassia in un’epoca tanto remota e legata a una fase critica della conoscenza è preziosa per aggiungere tasselli all’intricato puzzle. Ma scoprirla non è stato facile; anzi è stato possibile grazie a un artificio della natura che ha fornito un aiuto prezioso.
La remota e antichissima galassia è apparsa nell’obiettivo dello Space Telescope grazie al progetto Clash (dalle iniziali di Cluster Lensing and Supernova Survey with Hubble) coordinato dallo Space Telescope Science Institute di Baltimora (Usa) e al quale partecipano Massimo Meneghetti e Mario Nonino, rispettivamente dell’Inaf-Osservatorio astronomico di Bologna e Inaf-Osservatorio astronomico di Trieste. L’indagine è stata poi approfondita anche dal satellite astronomico Spitzer della Nasa.
Con questo progetto gli astrofisici vanno a caccia degli astri soprattutto deboli nelle loro emissioni di radiazione e nascosti da altri astri. Ma siccome la teoria della relatività di Einstein ha predetto che la massa di un astro è in grado di curvare la traiettoria della luce; ciò crea un effetto diventato noto come lente gravitazionale il quale consente di vedere quello che altrimenti non lo sarebbe. Anche perché la massa funziona, appunto, come una lente amplificando l’immagine dell’oggetto che sta alle sue spalle.
La giovane galassia si trova dietro a un imponente ammasso di galassie (MACS1149+2223) che grazie alla sua consistenza (2,5 milioni di miliardi di volte quella del nostro Sole) ha amplificato di ben quindici volte il profilo dell’isola stellare mostrandola nella sua primordiale meraviglia agli occhi di Hubble e Spitzer. Talvolta, però, queste immagini appaiono multiple e con qualche distorsione. «Ma queste anomalie», nota Meneghetti, «rappresentano paradossalmente un vantaggio perché ci consentono di capire meglio come è distribuita la materia». Lo sguardo nel buio di un’epoca si rivelerà certamente prezioso e potrà ampliarsi con i nuovi osservatori celesti, come Alma, che sta iniziando in Cile la sua attività.
La giovane galassia ci regala anche e, di nuovo, l’emozione di scrutare un mondo appartenente al passato compiendo un viaggio nel tempo; l’unico, per il momento, che ci sia concesso.
20 settembre 2012