Sono pervenute a questa Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici numerose richieste da parte di stazioni appaltanti di chiarimenti in merito all’applicazione dell’art. 75 del DPR 21 dicembre 1999, n. 554 e successive modificazioni. Al riguardo il Consiglio dell’Autorità, nella riunione del 5 dicembre 2001, al solo fine di fornire indicazioni per un’interpretazione uniforme,
IL Consiglio
ha adottato la seguente determinazione.
In base al disposto di cui all’art. 8, comma 9, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e successive modificazioni, a decorrere dal 1° gennaio 2000, i lavori pubblici possono essere affidati esclusivamente a soggetti qualificati ai sensi dei commi 2 e 3 dello stesso articolo e non esclusi dalle gare per inaffidabilità morale, finanziaria e professionale.
Già all’atto della qualificazione, le imprese, in conformità all’art. 17 del D.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34, oltre che requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi, devono dimostrare di possedere requisiti di carattere generale che attengono, più propriamente, all’indicata affidabilità morale, economica e professionale dell’esecutore. Con determinazione 12 ottobre 2000, n. 47, l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici ha stabilito quale debba essere la “documentazione mediante la quale i soggetti che intendono qualificarsi dimostrano l’esistenza dei prescritti requisiti d’ordine generale”.
Requisiti di carattere generale, inerenti all’affidabilità del contraente, oltre a dover sussistere alla data di sottoscrizione del contratto per il rilascio dell’attestazione di qualificazione, devono permanere al momento della partecipazione alle specifiche procedure di affidamento e di stipulazione dei contratti. Ai sensi dell’art. 75 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, nel testo introdotto dall’art. 2 del D.P.R. 30 agosto 2000, n. 412, vanno, infatti, “esclusi dalla partecipazione alle procedure di affidamento degli appalti e delle concessioni e non possono stipulare i relativi contratti” le imprese che versano in una delle, successivamente elencate, situazioni di incompatibilità. In base, poi, al disposto di cui al già richiamato art. 8, comma 7, della legge 109/1994 e successive modificazioni, il potere di esclusione dalle gare, a decorrere dal 1° gennaio 2000, compete alle stazioni appaltanti.
Per gli appalti relativi a lavori di importo pari o inferiori a euro 150.000, per i quali il sistema di qualificazione non è obbligatorio, alle stazioni appaltanti può competere anche la verifica, per i soggetti non in possesso di attestazione di qualificazione, dei requisiti tecnico-organizzativi.
Va poi richiamata, per completezza di analisi, la disciplina relativa al “Casellario informatico delle imprese qualificate”, nel quale vanno inseriti dati e notizie concernenti le imprese e rilevanti al fine della ammissione alle gare e che “sono a disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici” (art. 27, comma 5, D.P.R. 34/2000).
Ciò premesso, dal confronto delle norme di cui agli indicati artt. 17 e 27 del D.P.R. 34/2000 e 75 del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni, è dato rilevare che, pur non essendovi perfetta coincidenza tra le ivi descritte fattispecie, le stesse sono tutte relative a medesimi fatti e circostanze incidenti sull’affidabilità morale, economica e professionale del concorrente. Alcune delle fattispecie attengono alla persona fisica dell’imprenditore, altre, invece, ineriscono specificamente alla attività di impresa e trovano applicazione indipendentemente dalla relativa titolarità. Tali fatti e circostanze - se ritenuti insussistenti - portano, al momento della qualificazione delle imprese, ad una certificazione di idoneità di tipo statico, implicante una generale capacità giuridica alla stipulazione dei contratti, sia pure limitata alla durata dell’efficacia dell’attestazione. Gli stessi, inoltre, in occasione della singola gara, formano oggetto di una verifica di tipo dinamico sulla perdurante attualità di detta idoneità e si riflettono sulla legittimazione a contrarre del concorrente. Infine, con riferimento al “Casellario
informatico delle imprese qualificate”, detti dati sono oggetto di raccolta, documentazione e rappresentazione alle stazioni appaltanti al fine indicato della “individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici”.
Altra considerazione di carattere generale è che la mancata qualificazione o mancata ammissione alla singola gara non ha il carattere di sanzione punitiva, con la necessità, pertanto, di fare sempre e comunque applicazione dei principi propri del sistema sanzionatorio. La disciplina in esame è posta a garanzia dell’elemento fiduciario che caratterizza il contratto di appalto e comporta, conseguentemente, una forma di autotutela per l’ente aggiudicatore che, nella ricorrenza di oggettivi e definitivamente acclarati presupposti, può precludere la partecipazione e consente il rifiuto della stipulazione del contratto.
Da tenere presente, infine, che dette disposizioni, le quali trovano applicazione indipendentemente dall’importo dei lavori, costituiscono, per molti aspetti, l’esatta riproduzione della normativa di cui all’art. 24 della direttiva Cee 14 giugno 1993, n. 37, che disciplina, per le gare sopra soglia, le ipotesi in cui l’imprenditore può essere escluso dalla partecipazione all’appalto e che, secondo la giurisprudenza prevalente, conterrebbe un’elencazione tassativa delle cause di esclusione dalle gare; tassatività che non ha precluso logiche deroghe da parte del legislatore nazionale, il quale ha inserito, per ragioni di diritto interno, ipotesi di esclusione - es. applicazione delle misure antimafia, violazione delle intestazioni fiduciarie-aggiuntive rispetto al contenuto della direttiva comunitaria indicata.
Ulteriore considerazione di carattere generale è che i requisiti in esame, in caso di partecipazione di imprese associate ovvero tra loro consorziate o che intendono associarsi o consorziarsi, devono essere posseduti da tutte le imprese facenti parte dell’associazione o consorzio, in quanto la collaborazione tra le imprese, tipica di detti fenomeni, non può implicare una deroga alla regola della necessaria affidabilità morale, professionale e tecnica di tutti i soggetti contraenti a qualsiasi titolo con l’amministrazione.
A. Quanto alle specifiche ipotesi considerate dall’indicato art. 75 del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni, non dà luogo a particolari problemi interpretativi quella concernente lo stato di affidabilità economica delle imprese, per cui non sono ammesse a partecipare alle gare, né possono stipulare i relativi contratti, quelle “che si trovano in stato di fallimento, di liquidazione coatta, di amministrazione controllata o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per la dichiarazione di una di tali situazioni” (relativo comma 1, lett. a).
Elencazione, quella indicata, che è similare a quella scrutinata ai fini della verifica del
requisito dell’affidabilità economica al momento della qualificazione, la quale fa riferimento alla “inesistenza di procedure dello stato di fallimento, di liquidazione o di cessazione dell’attività” e “inesistenza di procedure di fallimento, di concordato preventivo, di amministrazione controllata e di amministrazione straordinaria” (art. 17, comma 1, lett. g) ed h), del D.P.R. 34/2000) ed è più puntuale rispetto a quella descritta ai fini dell’iscrizione nel “Casellario informatico delle imprese qualificate” individuata come “eventuale stato di liquidazione o cessazione di attività;
eventuali procedure concorsuali pendenti” (art. 27, comma 2, lett. n) ed o), del D.P.R. 34/2000).
L’elencazione dell’art. 75 citato, poi, si presenta aderente al testo comunitario, secondo cui può essere escluso dalla partecipazione all’appalto l’imprenditore “relativamente al quale sia in corso una procedura di dichiarazione di fallimento, di amministrazione controllata, di concordato preventivo oppure ogni altra procedura della stessa natura prevista dalle legislazioni e regolamentazioni nazionali” (art. 24, comma 1, lett. a), della direttiva Cee 37/93).
Vanno, pertanto, escluse dalla partecipazione alle gare per l’affidamento di appalti e concessioni di lavori pubblici non soltanto le imprese nei cui confronti sia stato dichiarato con sentenza uno stato di insolvenza ma anche quelle nei cui confronti “sia in corso un procedimento” per tale dichiarazione; procedimento che, sulla base della prevalente giurisprudenza, può essere considerato “in corso” qualora vi sia stata presentazione di apposita istanza da parte del creditore, a meno che non sopravvenga successiva desistenza.
Si è disposta, così, la piena assimilazione del concordato preventivo alla dichiarazione di
fallimento, sulla base del fatto che entrambi presuppongono una acclarata situazione di insolvenza della impresa e la omologazione, rispetto alle situazioni indicate, dell’amministrazione controllata la quale, più che ad un conclamato dissesto, è collegata ad un momento di crisi o di difficoltà dell’impresa. Nessun riferimento, nella normativa in esame, è fatto, invece, alla amministrazione straordinaria, di cui al d.lgs. 8 luglio 1999, n. 270, implicante anch’essa una situazione di difficoltà dell’impresa e che è, invece, considerata causa di esclusione dalla qualificazione.
Il requisito, ai sensi del comma 2 dell’art. 75 del DPR 554/1999 e successive modificazioni, è autocertificabile e per la sua dimostrazione, al momento della domanda di partecipazione, non occorre presentare alcun certificato.
B. Di difficile interpretazione è la successiva ipotesi di esclusione dalla partecipazione alle gare e di preclusione alla stipulazione dei contratti di appalto e di concessione di lavori pubblici per i soggetti “nei cui confronti è pendente procedimento per l’applicazione di una delle misure di prevenzione di cui all’art. 3 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423; (tale) divieto opera se la pendenza del procedimento riguardi il titolare o il direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale, il socio o il direttore tecnico se si tratta di società in nome collettivo o in accomandita semplice, gli amministratori muniti di potere di rappresentanza o il direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società” (art. 75, comma 1, lett. b), del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni).
La norma contiene, pertanto, una dettagliata specificazione degli organi della impresa nei cui confronti va verificato il requisito della pericolosità sociale, che costituisce il presupposto del procedimento. La stessa, poi, fa riferimento ai soggetti nei cui confronti è pendente un procedimento per l’applicazione di una misura di prevenzione personale (sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con eventuale obbligo o divieto di soggiorno) ai sensi della normativa relativa
alle persone pericolose per la sicurezza pubblica (legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 3), ovvero ai sensi delle disposizioni contro la mafia (legge 31 maggio 1965, n. 575, artt. 1 e 2), o a tutela dell’ordine pubblico (legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 18 e 19) le quali a detto art. 3, legge 1423/1956, fanno esplicito rinvio. Il procedimento è da ritenersi pendente allorquando il questore o il procuratore nazionale antimafia o il procuratore della Repubblica presso il Tribunale, nel cui circondario dimora la persona, abbiano avanzato proposta motivata di irrogazione della misura al presidente del Tribunale avente sede nel relativo capoluogo di provincia. Da considerare, poi, al
riguardo, che con l’art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55 e successive modificazioni è stata prevista l’istituzione presso le segreterie delle procure della Repubblica e presso le cancellerie dei tribunali di registri per le annotazioni relative ai procedimenti di prevenzione in precedenza indicati. Con la conseguenza che, verosimilmente, alle annotazioni riportate in tali registri ha inteso riferirsi il legislatore laddove ha previsto, al comma 2 dell’art. 75 del DPR 554/1999 e successive modificazioni, l’onere della produzione dei certificati dei carichi pendenti con l’implicazione che tale certificazione va presentata in aggiunta e non in alternativa con il certificato del Casellario giudiziario che riguarda più specificamente le ipotesi di cui alla lett. c) del precedente comma 1 del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni.
Nessun riferimento dalla norma in esame è fatto, poi, alle persone nei cui confronti sia stata applicata una delle misure di prevenzione indicate, né a tale situazione si riferisce alcuna delle ulteriori fattispecie considerate dall’art. 75 del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni. E’ da ritenere, tuttavia, che anche in tal caso resta preclusa al concorrente la partecipazione alle procedure di affidamento e la stipulazione dei contratti. In base, infatti, al disposto di cui all’art. 10, comma 2, della legge 575/1965, il provvedimento definitivo di applicazione della misura di prevenzione determina il divieto di concludere contratti di appalto con le pubbliche amministrazioni.
Ai sensi, inoltre, del disposto di cui al comma 4 dell’indicato art. 10 della legge 575/1965, la preclusioni sussiste anche nei confronti delle persone conviventi con il sottoposto a sorveglianza speciale e nei cui riguardi, negli ultimi cinque anni, il tribunale abbia disposto l’estensione della misura cautelare.
Va considerato, poi, che la preclusione alla partecipazione alle gare ed alla stipulazione dei contratti di appalto, ai sensi del disposto di cui al comma 5 ter dell’indicato art. 10 della legge 575/1965, sussiste anche per le persone condannate con sentenza definitiva o, ancorché non definitiva, confermata in grado di appello, per uno dei delitti di cui all’art. 51, comma 3 bis, del codice di procedura penale (di associazione di stampo mafioso), ed anche se non vi sia irrogazione delle misure di prevenzione.
E’ da tenere presente, inoltre, che, in base al disposto di cui all’indicato art. 34 della legge 19 marzo 1990, n. 55, i provvedimenti definitivi con i quali viene irrogata una misura di prevenzione personale sono iscritti nel Casellario giudiziario, anche se della relativa esistenza non è fatta menzione nei relativi certificati rilasciati a richiesta di privati. E’ da considerare infine che, ai sensi dell’art. 15 della legge 3 agosto 1988, n. 327, dopo tre anni dalla cessazione della misura di prevenzione, l’interessato può chiedere la riabilitazione che, se concessa, comporta la cessazione di tutti gli effetti pregiudizievoli riconnessi allo stato di persona sottoposta a misure di prevenzione.
Il requisito relativo alla mancata pendenza del procedimento in esame non è autocertificabile (art. 75, comma 2, del DPR 554/1999 e successive modificazioni) dovendo l’interessato, come prima rilevato, produrre a comprova i certificati relativi ai carichi pendenti, anche se tali certificati hanno insufficiente valenza probatoria dal momento che, ai sensi del comma 2 dell’indicato art. 34 della legge 55/1990 “non possono essere rilasciate a privati certificazioni relative alle annotazioni operate nei registri”.
Il requisito va successivamente verificato a mezzo della comunicazione scritta o telematica effettuata, anche su richiesta del soggetto partecipante alla gara (ai sensi dell’art. 3, comma 1, del DPR 3 giugno 1998, n. 252), dalla Prefettura della provincia in cui risiede o ha sede il soggetto interessato; oppure tramite certificato della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura portante in calce la dicitura, ai sensi dell’art. 9 del detto DPR 252/1998 indicato, “nulla osta ai fini della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni” e con l’indicazione della specifica attività svolta dall’impresa.
C. Particolarmente complessa è anche l’ipotesi ulteriore del concorrente “nei cui confronti è stata pronunciata sentenza di condanna passata in giudicato, oppure di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale, per reati che incidono sull’affidabilità morale e professionale”; “il divieto opera se la sentenza è stata emessa nei confronti del titolare o del direttore tecnico, se si tratta di impresa individuale; del socio o del direttore tecnico, se si tratta di impresa in nome collettivo o in accomandita semplice; degli amministratori muniti di potere di rappresentanza o del direttore tecnico se si tratta di altro tipo di società o consorzio”. “In ogni caso il divieto opera anche nei confronti dei soggetti cessati dalla carica nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando di gara, qualora l’impresa
non dimostri di avere adottato atti o misure di completa dissociazione della condotta penalmente sanzionata”. “Resta salva in ogni caso l’applicazione dell’art. 178 del codice penale (concernente la concessione della riabilitazione) e dell’art. 445, comma 2, del codice di procedura penale” (riguardante l’estinzione del reato per decorso del termine) (art. 75, comma 1, lett. c) del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni). Disposizione, quindi, quella indicata, molto più articolata e complessa di quella utilizzata ai fini della qualificazione delle imprese e che fa riferimento soltanto ad “inesistenza di sentenze definitive di condanna passate in giudicato ovvero di sentenze di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale a carico del titolare, del legale rappresentante, dell’amministratore o del direttore tecnico per
reati che incidono sulla moralità professionale” (art. 17, comma 1, lett. c), del D.P.R. 34/2000).
Al riguardo - a parte la disposta equiparazione della sentenza di applicazione della pena su richiesta, emessa ai sensi dell’art. 444 codice di procedura penale (cosiddetto patteggiamento), alla sentenza di condanna vera e propria - particolarmente complessa è l’individuazione dei reati che sono considerati incidenti sull’affidabilità morale e professionale dell’imprenditore e delle modalità attraverso le quali può essere dimostrata la mancata ricorrenza della condizione in esame.
Quanto alla prima delle indicate questioni, va richiamata la determinazione n. 56/2000 dell’Autorità di vigilanza che, conformemente alle indicazioni di cui alla circolare del Ministero dei lavori pubblici del 1° marzo 2000, n. 182/40093, ha ritenuto che influiscono sull’affidabilità morale e professionale del contraente i reati contro la pubblica amministrazione, l’ordine pubblico, la fede pubblica ed il patrimonio, se relativi a fatti la cui natura e contenuto siano idonei ad incidere negativamente sul rapporto fiduciario con le stazioni appaltanti per la loro inerenza alle specifiche obbligazioni dedotte in precedenti rapporti con le stesse. La mancanza, tuttavia, di parametri fissi e predeterminati e la genericità della prescrizione normativa lascia un ampio spazio di valutazione discrezionale per la stazione appaltante che consente alla stessa margini di flessibilità operativa al fine di un equo apprezzamento delle singole concrete fattispecie, con considerazione di tutti gli elementi delle stesse che possono incidere sulla fiducia contrattuale, quali ad. es. l’elemento psicologico, la gravità del fatto, il tempo trascorso dalla condanna, le eventuali recidive. Siffatta discrezionalità è, tuttavia, limitata dalla previsione della norma
secondo cui è fatta salva, in ogni caso, l’applicazione degli artt. 178 del codice penale e 445 del codice di procedura penale, riguardanti, rispettivamente, la riabilitazione e l’estinzione del reato per decorso del tempo nel caso di applicazione della pena patteggiata.
Il che consente di ritenere, in particolare, che l’equiparazione della sentenza di patteggiamento alle sentenze di condanna, così come la ricaduta sulla società della condanna dell’amministratore o del direttore tecnico cessato dalla carica nel precedente triennio, non può comunque portare a disapplicare la disciplina codicistica riguardante le indicate ipotesi di estinzione delle pene accessorie per effetto della riabilitazione e di ogni effetto della sentenza patteggiata in caso di decorso del tempo. Con la conseguenza che, una volta pronunciata dal giudice di sorveglianza la riabilitazione del condannato, derivandone l’estinzione del reato e delle pene accessorie ed ogni
altro effetto penale della condanna, ovvero riconosciuto dal tribunale estinto il reato per il decorso del termine di cinque o due anni - a seconda che si tratti di delitto o contravvenzione - di cui al 2° comma dell’art. 445 del codice di procedura penale, alla stazione appaltante resta preclusa la possibilità di valutare negativamente, ai fini dell’ammissione alla specifica gara, i fatti di cui alla inflitta sentenza di condanna.
Analogamente ed all’opposto, non potrà essere fatta alcuna valutazione discrezionale della concreta fattispecie, dovendosi automaticamente escludere il concorrente nel caso di ricorrenza delle ipotesi di cui all’art. 32 quater codice penale (malversazione, corruzione, etc.), implicante una “incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione”, nonché di quella di irrogazione di sanzione interdittiva nei confronti della persona giuridica emessa ai sensi del D.lgs. 8 giugno 2001 n. 231 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica medesima.
Quanto, poi, alla seconda delle questioni indicate, va osservato che il certificato del Casellario giudiziario - con la cui produzione, ai sensi dell’art. 75, comma 2, D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni deve essere dimostrata l’inesistenza della esaminata causa di incompatibilità - non riporta, se richiesto da privati, le condanne per le quali è stato riconosciuto il beneficio della non menzione, nonché le sentenze di applicazione della pena su richiesta (patteggiamento), mentre tali sentenze sono riportate nei certificati integrali del Casellario giudiziario medesimo rilasciati su richiesta di una Pubblica amministrazione ovvero di un ente incaricato di pubblico servizio (art. 688 cod. proc. pen.). E così analogamente, ai sensi dell’art. 34, comma 4, della legge 55/1990, i certificati del Casellario giudiziario spediti a richiesta di privati non riportano
i provvedimenti definitivi di irrogazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale inflitta ai sensi dell’art. 3 della legge 1423/1956.
Con la conseguenza che il presumibile maggior rigore del legislatore, che, in deroga alla normativa generale sull’autocertificazione ha voluto imporre - per una ritenuta maggiore esigenza di affidabilità della relativa attestazione - la dimostrazione del requisito soltanto “mediante la produzione del certificato del Casellario giudiziario”, potrebbe portare, di fatto, ad una nullificazione dello stesso accertamento sul requisito medesimo in considerazione del limitato contenuto attestatorio del certificato stesso. Stante, tuttavia, l’esplicito dato normativo, che impone al concorrente il solo onere di produrre il certificato del Casellario giudiziario non sembra consentito alla stazione appaltante di gravarlo di un adempimento ulteriore, quale potrebbe essere quello della presentazione di un atto di notorietà circa l’inesistenza di sentenze di condanne con beneficio della non menzione ovvero di irrogazione di pena su richiesta ovvero di sanzioni irrogative della sorveglianza speciale.
In questo senso, quindi, la carenza della piena idoneità probatoria della certificazione che concerne il soggetto beneficiato sembra implicare un’inversione dell’onere della prova in capo alla stazione appaltante, alla quale, peraltro, per la verifica del requisito, è consentito accedere al “Casellario informatico delle imprese qualificate” istituito presso l’Autorità di vigilanza ed in cui vanno inserite tutte le “sentenze di condanna passate in giudicato o di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell’art. 444 del codice di procedura penale” (art. 27, comma 2, lett. a), del DPR 34/2001.
Va considerato, inoltre, che, ai sensi dell’art. 688 del codice di procedura penale, “nei casi in cui il certificato è necessario per provvedere ad un atto delle loro funzioni”, le amministrazioni pubbliche ed i soggetti esercenti un pubblico servizio possono richiedere il certificato integrale del Casellario giudiziario medesimo così come le stesse pubbliche amministrazioni possano accedere ai registri relativi ai carichi pendenti. Ed ove ciò non sia possibile per la natura privatistica dell’ente aggiudicatore, lo stesso potrà farne richiesta all’Autorità di vigilanza che, per suo conto, provvederà alla acquisizione delle necessarie informazioni di cui agli indicati registri e del certificato generale del Casellario medesimo.
Ciononostante, per una più efficace dissuasione dalla commissione di illeciti e senza che ne derivi alcun serio aggravio per gli interessati, le stazioni appaltanti possono disporre nei bandi di gara che la dichiarazione relativa al possesso dei requisiti autocertificabili contenga anche una attestazione circa l’assenza di sentenze di condanne con il beneficio della non menzione ovvero di irrogazione di pene patteggiate ovvero di applicazione della misura della sorveglianza speciale ovvero annotazioni di sentenze, ancorché non definitive, relative a reati che precludono la partecipazione alle gare di appalto.
Coerentemente, poi, ad un pregresso prevalente orientamento giurisprudenziale, è stato formalmente codificato il principio secondo cui il divieto di partecipazione alle gare opera anche nel caso in cui la sentenza sia stata emessa nei confronti di persone fisiche cessate dalle cariche sociali nel triennio antecedente la data di pubblicazione del bando, a meno che non venga dimostrato che l’impresa ha adottato atti o misure di completa dissociazione dalla condotta penalmente sanzionata.
La semplice cessazione, pertanto, dalla carica sociale, per dimissioni o per allontanamento, non è di per sé sola considerata sufficiente ad escludere la ripercussione sulla società della condanna inflitta all’organo, potendosi trattare di mera sostituzione di facciata, ed occorrendo, pertanto, per evitare la ripercussione sulla società, la dimostrazione di atti concreti e tangibili di dissociazione dalla condotta delittuosa, quale ad es. l’aver iniziato verso lo stesso azione di responsabilità sociale.
D. Del tutto nuova, poi, è l’ipotesi secondo cui non possono essere ammesse a partecipare alle gare per l’affidamento di appalti e concessioni di lavori pubblici e non possono stipulare i relativi contratti le imprese “che hanno violato il divieto di intestazione fiduciaria, posto all’art. 17, 3° comma, della legge 19 marzo 1990, n. 55” sulla prevenzione della delinquenza di tipo mafioso (art. 75, comma 1, lett. d), D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni).
Come è noto, la disciplina in tema di intestazione fiduciaria dei soggetti appaltatori si ricollega all’esigenza di evitare che la stazione appaltante perda il controllo del vero imprenditore che ha partecipato alla gara; sicché, tranne il caso in cui l’intestazione fiduciaria concerna società appositamente autorizzate ai sensi della legge 23 novembre 1939, n. 1966, le quali, a loro volta, abbiano comunicato alla amministrazione l’identità dei fiducianti, l’acclarata intestazione fiduciaria comporta l’esclusione dalla partecipazione alle gare e la preclusione alla stipulazione dei contratti.
Con D.P.C.M. 11 maggio 1991, n. 187, è stato emanato l’apposito “regolamento per il controllo delle composizioni azionarie dei soggetti aggiudicatori di opere pubbliche” al quale va fatto rinvio per quanto attiene agli obblighi specifici posti a carico delle società aggiudicatrici ed ai controlli sui relativi adempimenti. Può, poi, essere osservato che, per la configurazione dell’ipotesi in esame, come ritenuto in giurisprudenza, non è necessario il trasferimento di beni dai fiducianti al soggetto fiduciario, essendo sufficiente che a quest'ultimo sia conferita, attraverso idonei strumenti negoziali, la legittimazione ad esercitare i diritti o le facoltà, necessari per la gestione dei beni, che possono rimanere formalmente in capo al fiduciante.
E. Quanto, poi, all’ipotesi di esclusione di coloro “che hanno commesso gravi infrazioni debitamente accertate alle norme in materia di sicurezza e ad ogni altro obbligo derivante dal rapporto di lavoro” (art. 75, comma 1, lett. e), D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni), ne va sottolineata la maggiore ampiezza rispetto a quella rilevante ai fini della qualificazione “inesistenza di violazioni gravi, definitivamente accertate, attinenti l’osservanza delle norme poste a tutela della prevenzione e della sicurezza dei luoghi di lavoro” (art. 17, comma 1, lett. l), D.P.R. 34/2000).
Dal testo della norma, sembra potersi rilevare che sia necessario, al fine della configurazione dell’ipotesi esaminata, un definitivo accertamento, di tipo giurisdizionale o amministrativo, in ordine alla commissione dell’infrazione; e che sussistano elementi che inducano a ritenere “grave” la violazione medesima. Va al riguardo considerato che il più delle volte, l’infrazione costituisce illecito contravvenzionale connesso a più gravi forme di reato penale, con la conseguenza che della stessa risulta fatta attestazione nei certificati del Casellario giudiziario. Inoltre, la “gravità” della violazione può desumersi da parte della stazione appaltante dalla specifica tipologia dell’infrazione commessa, sulla base anche del tipo di sanzione (arresto o ammenda) per essa irrogata, dall’eventuale reiterazione della condotta, del grado di colpevolezza e delle ulteriori conseguenze dannose che ne sono derivate (es. infortunio sul lavoro).Va tenuto presente, inoltre,
che per infrazioni alle norme in materia di sicurezza ed a ogni altro obbligo derivante dal rapporto di lavoro debbono intendersi non soltanto le omissioni inerenti il mancato pagamento dei relativi contributi, quanto anche le infrazioni alle prescrizioni di cui al D.lgs. 626/1994, D.lgs. 494/1996 e D.lgs. 19 dicembre 1999, n. 528 sulla sicurezza nei cantieri.
F. Considerazioni analoghe vanno, poi, svolte per quanto riguarda la successiva ipotesi riguardante coloro “che hanno commesso grave negligenza o malafede nell’esecuzione di lavori affidati dalla stazione appaltante che bandisce la gara” (art. 75, comma 1, lett. f), D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni). Fattispecie più specifica rispetto a quella prevista, ai fini della qualificazione, dall’art. 17, comma 1, lett. i), del D.P.R. 34/2000 “inesistenza di errori gravi nell’esecuzione di lavori pubblici” e per la quale non è prevista alcuna specifica annotazione nel “Casellario informatico delle imprese qualificate”. Anche in tal caso l’esclusione dalle gare può aver luogo soltanto in presenza di un accertamento, in sede amministrativa o giurisdizionale, circa la ricorrenza di una negligenza che sia qualificata come “grave”, ovvero che implichi un atteggiamento psicologico di mala fede nell’esecuzione di un precedente contratto di appalto con la medesima stazione appaltante. La norma - consentendo alle amministrazioni appaltanti di escludere dalle procedure finalizzate alla scelta del contraente per l’esecuzione di lavori soggetti che,
nell’esecuzione di altro lavoro, si siano resi colpevoli di negligenza o mala fede - deroga al principio di accesso generalizzato alle pubbliche gare, cui segue l’obbligo dell’ente committente di contrattare con il soggetto che, in esito allo specifico metodo di selezione, risulti avere prodotto la migliore offerta.
Per la configurazione dell’ipotesi in esame non basta, in particolare, che i lavori non siano stati eseguiti a regola d’arte ovvero in maniera non rispondente alle esigenze del committente, occorrendo, invece, una mancata esecuzione che renda l’opera appaltata concretamente inutilizzabile.
Né è sufficiente la semplice violazione del dovere di diligenza nell’adempimento, occorrendo, altresì, che si tratti di negligenza qualificata da un atteggiamento psicologico doloso o comunque gravemente colposo dell’appaltatore.
In definitiva, occorre che vi sia stato inadempimento dell’imprenditore che abbia portato alla dichiarazione di non collaudabilità dei lavori, ovvero alla risoluzione del contratto ai sensi dell’art. 119 del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni, ovvero ad una gravemente errata esecuzione del contratto giudiziariamente accertata anche se non abbia fatto seguito la pronunzia di risoluzione.
Da rilevare ancora che, a differenza della normativa comunitaria che considera rilevante qualsiasi errore professionale commesso dall’appaltatore, la norma in esame limita l’esclusione dalle procedure di gara ai soli fatti di inadempimento dell’impresa in pregressi rapporti con la stazione appaltante. L’errore grave nell’esecuzione dei lavori pubblici, dovunque e comunque commesso, è invece situazione ostativa al conseguimento della qualificazione, in base al disposto di cui all’art. 17, comma 1, lett. l), del D.P.R. 34/2000 e la sua dimostrazione è connessa al dovere delle stazioni appaltanti di comunicazione all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici dei fatti implicanti grave negligenza e grave inadempimento nell’esecuzione dei contratti di appalto. Come,
poi, ritenuto in giurisprudenza, va sottolineato che i comportamenti compiuti dai dipendenti in danno della stazione appaltante e sanzionati in sede penale si pongono in stretta connessione con l’esecuzione dei lavori ed integrano l’ipotesi di negligenza dell’impresa appaltatrice che abbia al riguardo omesso ogni dovuto e preventivo controllo (anche nella scelta delle maestranze e collaboratori che non diano dimostrazione di affidabilità sia sul piano tecnico che su quello morale).
G. Un accertamento amministrativo o giurisdizionale occorre anche per quanto riguarda l’ulteriore fattispecie relativa a “coloro che abbiano commesso irregolarità, definitivamente accertate, rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse, secondo la legislazione italiana o quella dello Stato in cui sono stabiliti” (art. 75, comma 1, lett. g), D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni). A differenza della normativa comunitaria, secondo cui può essere escluso dalla partecipazione all’appalto l’imprenditore “che non sia in regola con gli obblighi del pagamento delle imposte e delle tasse secondo le disposizioni del paese ove egli è stabilito o del paese dell’amministrazione aggiudicatrice” (art. 24 comma 1 lett. f) della direttiva Cee 37/93) l’ipotesi considerata richiede, infatti, la definitività dell’accertamento dell’irregolarità tributaria; definitività che può conseguire sia ad una decisione giurisdizionale, sia da un atto amministrativo di accertamento tributario non impugnato e divenuto incontestabile.
H. L’ultima fattispecie di cui alla lett. g), dell’art. 75, 1° comma, D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni, è, infine, relativa a coloro “che nell’anno antecedente la data di pubblicazione del bando di gara hanno reso false dichiarazioni in merito ai requisiti ed alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, risultanti dai dati in possesso dell’Osservatorio”.
La norma è di contenuto pressoché identico a quella di cui alla lett. m) del 1° comma dell’art. 17 del D.P.R. 34/2000, relativa ai requisiti generali per la qualificazione, “inesistenza di false dichiarazioni circa il possesso dei requisiti richiesti per l’ammissione agli appalti e per il conseguimento dell’attestazione di qualificazione”.
A differenza, tuttavia, di tale corrispondente disposizione regolamentare sul sistema di
qualificazione, che non pone alcun limite temporale alla rilevanza delle dichiarazioni rese, l’ipotesi in esame attribuisce rilievo alle sole dichiarazioni false rese nell’ultimo anno
antecedente la pubblicazione del bando di gara. Con la conseguenza, peraltro, che, sulla base di una interpretazione logico-sistematica delle due fattispecie, si deve ritenere che il termine annuale sia operante anche per la qualificazione di cui all’art. 17 indicato. Se così non fosse, infatti, si avrebbe una incomprensibile diversità di valutazione dello stesso fatto implicante il medesimo disvalore e l’ipotizzazione di una causa di esclusione dalla qualificazione definitiva e senza possibilità di riabilitazione.
La fattispecie si correla, poi, all’art. 27, comma 2, lett. r) e s) del D.P.R. 34/2000 che prevede l’inserimento nel “Casellario informatico delle imprese qualificate” degli “eventuali provvedimenti di esclusione dalle gare ai sensi dell’art. 8, comma 7, della legge adottati dalla stazione appaltante”, e delle “eventuali falsità nelle dichiarazioni rese in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, accertate in esito alle procedure di cui all’art. 10, comma 1 quater, della legge”.
L’ipotesi in esame concerne, quindi, innanzitutto il caso in cui la falsità della dichiarazione riguardi i requisiti di capacità economico-finanziaria e tecnico-organizzativi e risulti da un provvedimento dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici adottato, ai sensi dell’art. 4, comma 7, della legge 109/1994 e successive modificazioni, a seguito di segnalazione della stazione appaltante così come disposto dall’indicato art. 10, comma 1 quater, della medesima legge.
La stessa riguarda, inoltre, anche i casi in cui siano state rese dichiarazioni non veritiere in ordine ad altri requisiti ed altre condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara, sia configurabile o meno un reato, ed escluso il caso in cui la difformità tra le dichiarazioni rese e le attestazioni documentali acquisite successivamente sia dovuta a comprovato errore scusabile implicante la non intenzionalità della difforme dichiarazione. Ne consegue che le stazioni appaltanti dovranno segnalare alla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici tutti i casi di non corrispondenza, con riferimento ai requisiti e condizioni per la partecipazione alle gare, tra le dichiarazioni rese dai partecipanti e la successiva acquisita documentazione; e l’Autorità, a sua volta, provvederà alla diretta iscrizione del dato nel “Casellario informatico delle imprese qualificate” qualora lo stesso risulti confermato da un procedimento giurisdizionale o
amministrativo divenuto inoppugnabile, ovvero, negli altri casi, previo contraddittorio con l’interessato. Da tenere presente che il termine annuale entro il quale è operante l’esaminata preclusione decorre dalla data di commissione del fatto; sicché dallo stesso va concretamente detratto il tempo occorrente ai fini della iscrizione del dato nel “Casellario informatico delle imprese qualificate”.
Conclusivamente, come rilevato precedentemente, l’impresa concorrente nel pubblico incanto, in sede di offerta, fa autodichiarazione di non trovarsi in una delle situazioni di cui all’art. 75, comprese quelle di cui alle lettere b) e c), del D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni e presenta anche i certificati del Casellario giudiziario e dei carichi pendenti.
Nel caso della licitazione privata, invece, è la domanda di ammissione alla gara che contiene l’autodichiarazione di inesistenza delle situazioni di cui all’art. 75 indicato, mentre è l’offerta che è accompagnata dal certificato del Casellario giudiziario e dei carichi pendenti.
In sede di gara l’amministrazione procede alla individuazione di un campione di concorrenti, nei cui confronti verifica la veridicità delle autodichiarazioni; il campione è individuato tramite
sorteggio, tranne che non esistano e siano motivatamente indicate ragioni che giustifichino una diversa scelta.
Le stazioni appaltanti procedono, poi, ad una verifica circa l’esattezza delle dichiarazioni.
L’Impresa viene esclusa se si trova nelle condizioni previste dal D.P.R. 554/1999 e successive modificazioni come ostative alla partecipazione alle gare. La stazione appaltante, verificato che vi è difformità tra quanto dimostrato e quanto costituisce causa ostativa alla partecipazione, segnala gli estremi della difformità, indipendentemente dall’accertamento penale, all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici.
Al riguardo è da tenere presente che, ad integrazione di quanto già precisato al punto H del capo II, esistono disposizioni del cui contenuto va effettuato un coordinamento. Anzitutto la disposizione dell’art. 27 del regolamento 34/2000 prevede le segnalazioni all’Osservatorio, da un lato della situazione di oggettiva falsità della dichiarazione in quanto accertata con il procedimento previsto dall’art. 10, comma 1 quater, della legge 109/1994 e successive modificazioni, dall’altro prevede una formula generale che si riferisce ai provvedimenti di esclusione dalle gare adottati dalle stazioni appaltanti. Questi provvedimenti di esclusione dalle gare possono fondarsi su situazioni di fatto diverse, possono conseguire alla esistenza di situazioni preclusive, possono
riferirsi a fatti già accertati irrevocabilmente con sentenze passate in giudicato, etc., possono riferirsi ad attestazioni esistenti nel “Casellario informatico delle imprese qualificate” circa il comportamento dell’impresa e possono, infine, riguardare le stesse false dichiarazioni previste con riferimento all’art. 10, comma 1 quater, della legge 109/1994 e successive modificazioni.
Risulta, quindi, evidente che la generica previsione dell’art. 27 indicato deve avere
un’interpretazione differenziata a seconda delle fattispecie cui si riferisce e che vi possono essere ricomprese. Quanto, poi, all’ipotesi di falsa dichiarazione sorgono due problemi. Il primo concerne il significato dell’espressione “falsa”. Essa può essere intesa come riferimento ad un fatto costituente reato oppure intesa come espressione che riguardi la difformità tra dichiarazione e attestazioni documentali successivamente acquisite, non determinata da quell’errore scusabile che, proprio in quanto tale, tende ad escludere l’intenzionalità della difforme dichiarazione. Pertanto, ove si accerti che vi è difformità e non vi è stato errore scusabile, deve considerarsi verificato ogni elemento che attiene alla cosiddetta falsità della dichiarazione.
Va, poi, tenuto presente che, indipendentemente da ogni previsione normativa, quando si tratti di provvedimenti aventi carattere o effetti sanzionatori, è principio generale dell’ordinamento che l’adozione degli stessi debba essere preceduta da un momento di contraddittorio. Ciò la giurisprudenza in tanti casi ha ritenuto, ed ha affermato che le regole del contraddittorio ed il modo di attuarsi debbono essere desunte da fattispecie analoghe che in questo caso sono costituite proprio dall’art. 10, comma 1 quater della legge 109/1994 e successive modificazioni. Ne segue che la comunicazione da parte della stazione appaltante può comportare, in ogni caso, un procedimento in contraddittorio, salvo che gli elementi forniti siano esaustivi della dimostrazione della anzidetta discordanza. Allora potrà aversi diretta iscrizione sulla base di un provvedimento nel “Casellario informatico delle imprese qualificate”. In entrambi i casi, comunque, i provvedimenti sono impugnabili innanzi al giudice amministrativo.
Il rapporto poi tra gli effetti delle fattispecie che vanno inserite nel “Casellario informatico delle imprese qualificate” e delle fattispecie tassative di esclusione può essere inteso tenendo presente che le fattispecie relative al Casellario medesimo discendono da tre cause:
1. procedimenti giudiziali conclusi con sentenza definitiva;
2. provvedimenti amministrativi divenuti inoppugnabili;
3. fattispecie di illeciti che richiedono un accertamento, in base a quanto sopra detto, effettuato dall’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici.
Per le prime due ipotesi: 1) le fattispecie previste come causa di esclusione, seguono la sorte delle conseguenze non penali delle pronunce penali (vedi codice procedura penale); 2) il provvedimento definitivo dell’autorità amministrativa, tipico in materia di previdenza, è di regola suscettibile di sanatoria in conseguenza di regolarizzazione successiva. Non vi è dubbio che, fino a che sanatoria e regolarizzazione non siano intervenute, vi è l’illecito iscritto al “Casellario informatico delle imprese qualificate” e vi è l’obbligo di esclusione dalle gare.
L’ultima ipotesi trova invece una espressa indicazione del termine di durata che è quella dell’anno.
Pur se nella realtà concreta l’anno può ridursi ad un periodo di tempo minore non si può superare il dato normativo il quale riguarda il limite di efficacia della dichiarazione falsa ed ha come momento di riferimento due termini: la data in cui si bandisce la gara e la data in cui la falsità è avvenuta. L’iscrizione nel “Casellario informatico delle imprese qualificate” può certamente avvenire successivamente, ma si tratta di lasso di tempo cui solo la prassi amministrativa può apportare quella riduzione che lo renda ragionevole.
Si può ritenere, pertanto, che le stazioni appaltanti debbano, innanzi tutto, procedere ad una immediata verifica circa il possesso dei requisiti generali dei concorrenti al fine della loro ammissione alla gara, sulla base delle autodichiarazioni da essi presentate, delle certificazioni dagli stessi prodotte e dai riscontri rilevabili anche dai dati risultanti dal “Casellario informatico delle imprese qualificate” istituito presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Nell’espletamento di detta verifica le stazioni appaltanti opereranno (secondo consolidato orientamento giurisprudenziale) sulla base di un criterio di ragionevolezza nella ricostruzione della volontà del concorrente e senza limitarsi al solo significato testuale delle dichiarazioni rese.
Ciò, tuttavia, non esclude possibili verifiche ulteriori disposte d’ufficio, e senza che ne derivi un aggravio probatorio per i concorrenti, effettuate eventualmente a campione e secondo le modalità previste dalla normativa sull’autocertificazione (art. 71, DPR 28 dicembre 2000, n. 445) o, comunque, secondo criteri discrezionali della stazione appaltante. In ogni caso, il possesso dei requisiti generali richiesti va verificato nei confronti delle imprese, prima e seconda aggiudicataria, con la richiesta alle stesse di esibizione di tutta la documentazione - eventualmente non ancora acquisita - necessaria ai fini della prova di quanto autodichiarato in sede di domanda di partecipazione.
Per tutte le esposte considerazioni
1. I partecipanti alle gare per l’affidamento di contratti di appalto o di concessione di lavori pubblici devono dichiarare, ai sensi dell’art. 75, comma 2, del D.P.R. 554/1999, nel testo introdotto dal D.P.R. 412/2000, di non trovarsi in alcuna delle condizioni di cui alle fattispecie descritte e definite nelle precedenti lettere A), D), E), F), G) e H) del capo II e devono produrre il certificato del Casellario giudiziario e quello dei carichi pendenti. Nel caso di associazioni di imprese o di consorzi l’autodichiarazione e la certificazione devono riguardare tutte le imprese riunite o consorziate o che intendono riunirsi o consorziarsi.
2. Le stazioni appaltanti possono disporre nei bandi di gara che la dichiarazione di cui al punto 1) contenga anche l’attestazione di non essere stato sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale e che, negli ultimi cinque anni, non vi è stata estensione nei suoi confronti dei divieti derivanti dalla irrogazione della sorveglianza speciale nei riguardi di un proprio convivente; e che la stessa dichiarazione contenga, altresì, l’attestazione che non è stata pronunziata nei propri confronti sentenza di condanna con il beneficio della non menzione nei certificati del Casellario giudiziario spediti a richiesta dei privati, ovvero di irrogazione della pena su richiesta (patteggiamento).
3. Le stazioni appaltanti procederanno ad un primo ed immediato riscontro della veridicità delle dichiarazioni rese anche con la consultazione del “Casellario informatico delle imprese qualificate” istituito presso l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici. Nel caso sia riscontrata la falsità della dichiarazione, le stazioni appaltanti escluderanno il concorrente dalla gara.
4. Nel caso in cui dalla dichiarazione del concorrente o dai certificati - da esso prodotti o in altro modo acquisiti - emerga l’avvenuta sottoposizione dello stesso alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale, oppure risultino estese nei suoi confronti i divieti derivanti dalla irrogazione della sorveglianza speciale nei riguardi di persone con lui conviventi, la stazione appaltante procederà alla esclusione dalla gara a meno che non sia stata successivamente concessa la riabilitazione. Analogamente la stazione appaltante provvederà alla esclusione del concorrente dalla gara qualora risulti emessa nei suoi confronti sentenza definitiva di condanna per un reato indicato dall’art. 32 quater del codice penale, ovvero sentenza ancorché non definitiva ma confermata in appello, pronunciata ai sensi del comma 5 ter dell’art. 10 della legge 575/1965. Allo stesso modo procederà alla esclusione dalla gara del concorrente persona giuridica qualora risulti irrogata sanzione interdittiva nei confronti della stessa, emessa ai sensi del d.lgs. 231/2001 per reati contro la pubblica amministrazione o il patrimonio commessi nel proprio interesse o a proprio vantaggio.
Qualora, invece, risulti pronunziata una sentenza penale di condanna passata in giudicato ovvero di irrogazione di pena patteggiata per altro reato, la stazione appaltante valuterà discrezionalmente l’incidenza della condanna sull’affidabilità morale del concorrente tenendo conto del tipo di reato, delle relative circostanze, della pena irrogata e del tempo trascorso dalla sua commissione e darà adeguata motivazione in merito all’esclusione o meno dalla gara, tenendo in ogni caso conto dell’eventuale riabilitazione ovvero della richiamata estinzione del reato per il quale è stata applicata una pena patteggiata per decorso del termine di cinque o due anni a seconda se si tratti
di delitto o contravvenzione.
5. Il divieto di intestazione fiduciaria di cui alla precedente lett. D) del capo II è configurabile, a meno che non vi sia stata regolare comunicazione della identità di un fiduciante regolarmente autorizzato, in ogni caso in cui dagli accertamenti della stazione appaltante risulti conferita, attraverso idonei strumenti giuridici, la legittimazione ad esercitare i diritti o le facoltà concernenti i beni dell’impresa a soggetti diversi dal titolare concorrente.
6. La gravità delle infrazioni “debitamente accertate” in materia di sicurezza ed obblighi derivanti dal rapporto di lavoro sarà valutata dalla stazione appaltante considerando, oltre alla specifica tipologia della violazione commessa, il tipo di sanzione irrogata (arresto o ammenda), l’eventuale reiterazione della condotta, il grado di colpevolezza e le ulteriori conseguenze dannose che ne sono derivate (es. infortunio).
7. La grave negligenza o malafede nell’esecuzione di precedenti lavori affidati dalla stazione appaltante sarà ritenuta nel caso di dichiarata non collaudabilità dei lavori, ovvero di intervenuta risoluzione o di accertata (in sede giurisdizionale) inesecuzione gravemente colposa anche se la stessa non abbia portato alla risoluzione del contratto.
8. L’ipotesi della commissione di irregolarità rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte o tasse è da ritenersi configurata nel caso di sussistenza di accertamento tributario divenuto definitivo perché non impugnato ovvero a seguito di passaggio in giudicato della decisione sull’impugnazione.
9. L’ipotesi della falsità di cui alla precedente lett. H) del capo II ricorre sia nel caso in cui la falsa dichiarazione concerna i requisiti economico-finanziari e tecnico-organizzativi sia quella in cui riguardi altri requisiti necessari per la partecipazione alla gara o per conseguire l’attestazione della qualificazione.
10. In caso di constatazione della insussistenza dei requisiti di carattere generale, come in precedenza descritti, le stazioni appaltanti provvederanno, oltre che alla motivata esclusione dalla gara, alla trasmissione, entro il termine di gg. 10, di copia del provvedimento alla Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici al fine della adozione da parte della stessa di provvedimenti di propria competenza per l’eventuale iscrizione nel “Casellario informatico delle imprese
qualificate”.
11. La verifica a campione dell’effettivo possesso dei requisiti generali, eccezionalmente disposta prima di procedere all’aggiudicazione della gara, va effettuata con accertamenti d’ufficio della stazione appaltante e senza richiesta di presentazione alle imprese di ulteriore certificazione o documentazione.
Successivamente all’aggiudicazione provvisoria eventuali certificati o documenti mancanti ai fini della comprova dei requisiti generali saranno, invece, richiesti ai concorrenti primi e secondi classificati.
12. I dati del Casellario giudiziario non risultanti dai certificati spediti a richiesta dei privati potranno essere verificati attraverso la diretta acquisizione da parte della stazione appaltante del certificato integrale. Le stazioni appaltanti che non identificano una pubblica amministrazione e non sono ritenute esercenti un pubblico servizio e che, pertanto, non hanno accesso ai dati integrali del Casellario giudiziario possono farne richiesta all’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici che, per loro conto, provvederà all’acquisizione del certificato integrale.
13. Il requisito di cui alla lett. B) del capo II va verificato dalla stazione appaltante a mezzo della comunicazione scritta o telematica effettuata, anche su richiesta del concorrente (ai sensi dell’art. 3, comma 1, del DPR 252/1998) dalla Prefettura della provincia in cui risiede o ha sede il soggetto interessato, oppure tramite certificato della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura portante in calce la dicitura, ai sensi dell’art. 9 dell’indicato DPR 252/1998, “nulla osta ai fini della legge 31 maggio 1965, n. 575 e successive modificazioni”.
Il Relatore
il Presidente
Depositato presso la Segreteria del Consiglio in data 12 dicembre 2001
Il Segretario