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NORMATIVA
Normativa nazionale - Leggi - Tutela dei diritti fondamentali

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Decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198
Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.
 

IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA


Visto l'articolo 87 della Costituzione;
Visto l'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, recante delega al Governo per l'emanazione di un decreto legislativo per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita' tra uomo e donna, nel quale devono essere riunite e coordinate tra loro le disposizioni vigenti per la prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione fondata sul sesso, apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione dei 24 gennaio 2006;
Udito il parere del Consiglio di Stato, espresso dalla sezione consultiva per gli atti normativi nella riunione del 27 febbraio 2006;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281;
Considerato che le competenti Commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica non hanno espresso nei termini di legge il prescritto parere;
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 aprile 2006;
Sulla proposta del Ministro per le pari opportunita', di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, del lavoro e delle politiche sociali, della salute e delle attivita' produttive;


E m a n a il seguente decreto legislativo:


Titolo I
DISPOSIZIONI GENERALI


Libro I
DISPOSIZIONI PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA


Art. 1.
Divieto di discriminazione tra uomo e donna (legge 14 marzo 1985, n. 132, articolo 1)


1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti umani e delle liberta' fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo.
Note alle premesse:
- L'art. 87 della Costituzione conferisce, tra l'altro, al Presidente della Repubblica il potere di promulgare le leggi e di emanare i decreti avente valore di legge ed i regolamenti.
- L'art. 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246, cosi' recita:
«Art. 6 (Riassetto normativo in materia di pari opportunita). - 1. Il Governo e delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi per il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di pari opportunita', secondo i principi, i criteri direttivi e le procedure di cui all'art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, nonche' nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) individuazione di strumenti di prevenzione e rimozione di ogni forma di discriminazione, in particolare per cause direttamente o indirettamente fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'eta' e l'orientamento sessuale, anche al fine di realizzare uno strumento coordinato per il raggiungimento degli obiettivi di pari opportunita' previsti in sede di Unione europea e nel rispetto dell'art. 117 della Costituzione;
b) adeguamento e semplificazione del linguaggio normativo anche attraverso la rimozione di sovrapposizioni e duplicazioni.».
- Si riporta il testo dell'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 30 agosto 1997, n. 202.
«Art. 8 (Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e Conferenza unificata). - 1. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunita' montane, con la Conferenza Stato-regioni.
2. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno parte altresi' il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanita', il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia - UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunita' ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI.
Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le citta' individuate dall'art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonche' rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici.
3. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessita' o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM.
4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 e' convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non e' conferito, dal Ministro dell'interno.».


Titolo II
ORGANIZZAZIONE PER LA PROMOZIONE DELLE PARI OPPORTUNITA'
Capo I
Politiche di pari opportunita'


Art. 2.
Promozione e coordinamento delle politiche di pari opportunita' decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, articolo 5)


1. Spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte ad assicurare pari opportunita', a prevenire e rimuovere le discriminazioni, nonche' a consentire l'indirizzo, il coordinamento e il monitoraggio della utilizzazione dei relativi fondi europei.
Capo II
Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna


Art. 3.
Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 1)
1. La Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna, istituita presso il Dipartimento per le pari opportunita', fornisce al Ministro per le pari opportunita', che la presiede, consulenza e supporto tecnico-scientifico nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche di pari opportunita' fra uomo e donna, sui provvedimenti di competenza dello Stato, ad esclusione di quelli riferiti alla materia della parita' fra i sessi nell'accesso al lavoro e sul lavoro; in particolare la Commissione:
a) formula proposte al Ministro per l'elaborazione delle modifiche della normativa statale necessarie a rimuovere qualsiasi forma di discriminazione, sia diretta che indiretta, nei confronti delle donne ed a conformare l'ordinamento giuridico al principio di pari opportunita' fra uomo e donna, fornendo elementi informativi, documentali, tecnici e statistici, utili ai fini della predisposizione degli atti normativi;
b) cura la raccolta, l'analisi e l'elaborazione di dati allo scopo di verificare lo stato di attuazione delle politiche di pari opportunita' nei vari settori della vita politica, economica e sociale e di segnalare le iniziative opportune;
c) redige un rapporto annuale per il Ministro sullo stato di attuazione delle politiche di pari opportunita';
d) fornisce consulenza tecnica e scientifica in relazione a specifiche problematiche su richiesta del Ministro o del Dipartimento per le pari opportunita';
e) svolge attivita' di studio e di ricerca in materia di pari opportunita' fra uomo e donna.


Art. 4.
Durata e composizione della Commissione (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 2)
1. La Commissione e' nominata con decreto del Ministro e dura in carica due anni. Essa e' composta da venticinque componenti di cui: a) undici prescelti nell'ambito delle associazioni e dei movimenti delle donne maggiormente rappresentativi sul piano nazionale;
b) quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c) quattro prescelti nell'ambito delle organizzazioni imprenditoriali e della cooperazione femminile maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
d) tre prescelti fra le donne che si siano particolarmente distinte, per riconoscimenti e titoli, in attivita' scientifiche, letterarie e sociali;
e) tre rappresentanti regionali designati dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano.
2. Almeno due volte l'anno, la Commissione si riunisce a composizione allargata, con la partecipazione di un rappresentante di pari opportunita' per ogni regione e provincia autonoma, anche al fine di acquisire osservazioni, richieste e segnalazioni in merito a questioni che rientrano nell'ambito delle competenze del sistema delle regioni e delle autonomie locali.


Art. 5.
Ufficio di Presidenza della Commissione (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 3)


1. Con il decreto di cui all'articolo 4, comma 1, fra i componenti della Commissione vengono designati il Vicepresidente ed il Segretario che, insieme al Ministro, che lo presiede, costituiscono l'ufficio di presidenza.
2. Al Vicepresidente spetta la rappresentanza della Commissione, il coordinamento dei lavori e la costante informazione del Ministro circa le iniziative in corso di svolgimento.


Art. 6.
Esperti e consulenti (decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 4)
1. La Commissione si avvale, su proposta del Ministro, di esperti, in numero massimo di cinque, su problematiche attinenti la parita' fra i sessi, e di propri consulenti secondo quanto previsto dall'articolo 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e dall'articolo 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303.
2. I consulenti di cui al comma 1 sono scelti fra persone, anche estranee alla pubblica amministrazione, dotate di elevata professionalita' nelle materie giuridiche, nonche' nei settori della lotta alle discriminazioni, delle politiche sociali e dell'analisi delle politiche pubbliche.
3. Nel decreto di conferimento dell'incarico e' determinato il compenso degli esperti e dei consulenti.


Note all'art. 6:
- L'art. 29 della legge 23 agosto 1988, n. 400, cosi' recita:
«Art. 29 (Consulenti e comitati di consulenza). - 1. Il Presidente del Consiglio dei Ministri puo' avvalersi di consulenti e costituire comitati di consulenza, di ricerca o di studio su specifiche questioni.
2. Per tali attivita' si provvede con incarichi a tempo determinato da conferire a magistrati, docenti universitari, avvocati dello Stato, dirigenti e altri dipendenti delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici, anche economici, delle aziende a prevalente partecipazione pubblica o anche ad esperti estranei all'amministrazione dello Stato.».
- L'art. 9 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303, cosi' recita: «Art. 9 (Personale della Presidenza).
1. Gli incarichi dirigenziali presso la Presidenza sono conferiti secondo le disposizioni di cui agli articoli 14, comma 2, e 19 del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, relativi, rispettivamente, alle strutture individuate come di diretta collaborazione ed alle altre strutture, ferma restando l'applicabilita', per gli incarichi di direzione di dipartimento, dell'art. 28 della legge 23 agosto 1988, n. 400, come modificato dal presente decreto, e ferma altresi' restando l'applicabilita' degli articoli 18, comma 3, e 31, comma 4, della legge stessa.
2. La Presidenza si avvale per le prestazioni di lavoro di livello non dirigenziale: di personale di ruolo, entro i limiti di cui all'art. 11, comma 4; di personale di prestito, proveniente da altre amministrazioni pubbliche, ordini, organi, enti o istituzioni, in posizione di comando, fuori ruolo, o altre corrispondenti posizioni disciplinate dai rispettivi ordinamenti; di personale proveniente dal settore privato, utilizzabile con contratti a tempo determinato per le esigenze delle strutture e delle funzioni individuate come di diretta collaborazione; di consulenti o esperti, anche estranei alla pubblica amministrazione, nominati per speciali esigenze secondo criteri e limiti fissati dal Presidente.
3. Salvo quanto previsto dall'art. 11, comma 4-bis, in materia di reclutamento del personale di ruolo, il Presidente, con proprio decreto, puo' istituire, in misura non superiore al venti per cento dei posti disponibili, una riserva di posti per l'inquadramento selettivo, a parita' di qualifica, del personale di altre amministrazioni in servizio presso la Presidenza ed in possesso di requisiti professionali adeguati e comprovati nel tempo.
4. Il rapporto di lavoro del personale di ruolo della Presidenza e' disciplinato dalla contrattazione collettiva e dalle leggi che regolano il rapporto di lavoro privato, in conformita' delle norme del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni e integrazioni, anche per quanto attiene alla definizione del comparto di contrattazione per la Presidenza. Tale regime si applica, relativamente al trattamento economico accessorio e fatta eccezione per gli estranei e per gli appartenenti a categorie sottratte alla contrattazione collettiva, al personale che presso la Presidenza ricopre incarichi dirigenziali ed al personale di prestito in servizio presso la Presidenza stessa.
5. Il Presidente, con proprio decreto, stabilisce il contingente del personale di prestito, ai sensi dell'art. 11, comma 4, il contingente dei consulenti ed esperti, e le corrispondenti risorse finanziarie da stanziare in bilancio. Appositi contingenti sono previsti per il personale delle Forze di polizia, per le esigenze temporanee di cui all'art. 39, comma 22, della legge 27 dicembre 1997 n. 449, nonche' per il personale di prestito utilizzabile nelle strutture di diretta collaborazione. Il Presidente puo' ripartire per aree funzionali, in relazione alle esigenze ed alle disponibilita' finanziarie, i contingenti del personale di prestito, dei consulenti ed esperti. Al giuramento di un nuovo Governo, cessano di avere effetto i decreti di utilizzazione del personale estraneo e del personale di prestito addetto ai gabinetti e segreterie delle autorita' politiche. Il restante personale di prestito e' restituito entro sei mesi alle amministrazioni di appartenenza, salva proroga del comando o conferma dei fuori ruolo disposte sulla base di specifica e motivata richiesta dei dirigenti preposti alle strutture della Presidenza.
5-bis. Il collocamento fuori ruolo, per gli incarichi disciplinati dall'art. 18, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e' obbligatorio e viene disposto, secondo le procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti. Il servizio prestato in posizione di comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, prevista dagli ordinamenti di appartenenza, presso la Presidenza dal personale di ogni ordine, grado e qualifica di cui agli articoli 1, comma 2, 2 e 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e all'art. 7, primo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801, e' equiparato a tutti gli effetti, anche giuridici e di carriera, al servizio prestato presso le amministrazioni di appartenenza. Le predette posizioni in ogni caso non possono determinare alcun pregiudizio, anche per l'avanzamento e il relativo posizionamento nei ruoli di appartenenza. In deroga a quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, ivi compreso quanto disposto dall'art. 7, secondo comma, della legge 24 ottobre 1977, n. 801, il conferimento al personale di cui al presente comma di qualifiche, gradi superiori o posizioni comunque diverse, da parte delle competenti amministrazioni, anche quando comportino l'attribuzione di specifici incarichi direttivi, dirigenziali o valutazioni di idoneita', non richiede l'effettivo esercizio delle relative funzioni, ovvero la cessazione dal comando, fuori ruolo o altra analoga posizione, che proseguono senza soluzione di continuita'.
Il predetto personale e' collocato in posizione soprannumeraria nella qualifica, grado o posizione a lui conferiti nel periodo di servizio prestato presso la Presidenza, senza pregiudizio per l'ordine di ruolo.
5-ter. Il personale dipendente di ogni ordine, grado e qualifica del comparto Ministeri chiamato a prestare servizio in posizione di comando o di fuori ruolo presso la Presidenza, ivi incluse le strutture di supporto ai Commissari straordinari dei Governo di cui all'art. 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, nonche' le strutture di missione di cui all'art. 7, comma 4, mantiene il trattamento economico fondamentale delle amministrazioni di appartenenza, compresa l'indennita' di amministrazione, ed i relativi oneri rimangono a carico delle stesse. Per il personale appartenente ad altre amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, chiamato a prestare servizio in analoga posizione, la Presidenza provvede, d'intesa con l'amministrazione di appartenenza del dipendente, alla ripartizione dei relativi oneri, senza pregiudizio per il trattamento economico fondamentale spettante al dipendente medesimo.
5-quater. Con il provvedimento istitutivo delle strutture di supporto o di missione di cui al comma 5-ter sono determinate le dotazioni finanziarie, strumentali e di personale, anche dirigenziale, necessarie al funzionamento delle medesime strutture, che in ogni caso, per la loro intrinseca temporaneita', non determinano variazioni nella consistenza organica del personale di cui agli articoli 9-bis e 9-ter. Alla copertura dei relativi oneri si provvede attingendo agli stanziamenti ordinari di bilancio della Presidenza e, previo accordo, delle altre amministrazioni eventualmente coinvolte nelle attivita' delle predette strutture.
6. Il Presidente, con proprio decreto, stabilisce il trattamento economico del Segretario generale e dei vicesegretari generali, nonche' i compensi da corrispondere ai consulenti, agli esperti, al personale estraneo alla pubblica amministrazione.
7. Ai decreti di cui al presente articolo ed a quelli di cui agli articoli 7 e 8 non sono applicabili la disciplina di cui all'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, e quella di cui all'art. 3, commi 1, 2 e 3, della legge 14 gennaio 1994, n. 20. Il Presidente puo' richiedere il parere del Consiglio di Stato e della Corte dei conti sui decreti di cui all'art. 8.».
Art. 7.
Segreteria della Commissione(decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, articolo 5)


1. Per l'espletamento delle proprie attivita' la Commissione dispone di una propria segreteria nell'ambito del Dipartimento per le pari opportunita'.
Capo III
Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parita' di trattamento ed uguaglianza di opportunita' tra lavoratori e lavoratrici.


Art. 8.
Costituzione e componenti(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 1, 2, 3, 4, e 7)
1. Il Comitato nazionale per l'attuazione dei principi di parita' di trattamento ed uguaglianza di opportunita' tra lavoratori e lavoratrici, istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, promuove, nell'ambito della competenza statale, la rimozione dei comportamenti discriminatori per sesso e di ogni altro ostacolo che limiti di fatto l'uguaglianza fra uomo e donna nell'accesso al lavoro e sul lavoro e la progressione professionale e di carriera.
2. Il Comitato e' composto da:
a) il Ministro del lavoro e delle politiche sociali o, per sua delega, un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente;
b) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei lavoratori maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
c) cinque componenti designati dalle confederazioni sindacali dei datori di lavoro dei diversi settori economici, maggiormente rappresentative sul piano nazionale;
d) un componente designato unitariamente dalle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo piu' rappresentative sul piano nazionale;
e) undici componenti designati dalle associazioni e dai movimenti femminili piu' rappresentativi sul piano nazionale operanti nel campo della parita' e delle pari opportunita' nel lavoro;
f) la consigliera o il consigliere nazionale di parita' di cui all'articolo 12, comma 2, del presente decreto.
3. Partecipano, inoltre, alle riunioni del Comitato, senza diritto di voto:
a) sei esperti in materie giuridiche, economiche e sociologiche, con competenze in materia di lavoro;
b) cinque rappresentanti, rispettivamente, dei Ministeri dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, della giustizia, degli affari esteri, delle attivita' produttive, del Dipartimento per la funzione pubblica;
c) cinque dirigenti dei Ministero del lavoro e delle politiche sociali in rappresentanza delle Direzioni generali del mercato del lavoro, della tutela delle condizioni di lavoro, per le politiche previdenziali, per le politiche per l'orientamento e la formazione e per l'innovazione tecnologica.
4. I componenti del Comitato durano in carica tre anni e sono nominati dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali. Per ogni componente effettivo e' nominato un supplente.
5. Il vicepresidente del Comitato e' designato dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali nell'ambito dei suoi componenti.


Art. 9.
Convocazione e funzionamento(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 5, commi 5 e 6)
1. Il Comitato e' convocato, oltre che su iniziativa del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, quando ne facciano richiesta meta' piu' uno dei suoi componenti.
2. Il Comitato delibera in ordine al proprio funzionamento e a quello del collegio istruttorio e della segreteria tecnica di cui all'articolo 11, nonche' in ordine alle relative spese.


Art. 10.
Compiti del Comitato(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 6)


1. Il Comitato adotta ogni iniziativa utile, nell'ambito delle competenze statali, per il perseguimento delle finalita' di cui all'articolo 8, comma 1, ed in particolare:
a) formula proposte sulle questioni generali relative all'attuazione degli obiettivi della parita' e delle pari opportunita', nonche' per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente che direttamente incide sulle condizioni di lavoro delle donne;
b) informa e sensibilizza l'opinione pubblica sulla necessita' di promuovere le pari opportunita' per le donne nella formazione e nella vita lavorativa;
c) formula, entro il 31 maggio di ogni anno, un programma-obiettivo nel quale vengono indicate le tipologie di progetti di azioni positive che intende promuovere, i soggetti ammessi per le singole tipologie ed i criteri di valutazione. Il programma e' diffuso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale;
d) esprime, a maggioranza, parere sul finanziamento dei progetti di azioni positive e opera il controllo sui progetti in itinere verificandone la corretta attuazione e l'esito finale;
e) elabora codici di comportamento diretti a specificare le regole di condotta conformi alla parita' e ad individuare le manifestazioni anche indirette delle discriminazioni;
f) verifica lo stato di applicazione della legislazione vigente in materia di parita';
g) propone soluzioni alle controversie collettive, anche indirizzando gli interessati all'adozione di progetti di azioni positive per la rimozione delle discriminazioni pregresse o di situazioni di squilibrio nella posizione di uomini e donne in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale, delle condizioni di lavoro e retributive, stabilendo eventualmente, su proposta del collegio istruttorio, l'entita' del cofinanziamento di una quota dei costi connessi alla loro attuazione;
h) puo' richiedere alla Direzione provinciale del lavoro di acquisire presso i luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione professionale;
i) promuove una adeguata rappresentanza di donne negli organismi pubblici nazionali e locali competenti in materia di lavoro e formazione professionale.


Art. 11.
Collegio istruttorio e segreteria tecnica(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 7)


1. Per l'istruzione degli atti relativi alla individuazione e alla rimozione delle discriminazioni e per la redazione dei pareri al Comitato di cui all'articolo 8 e alle consigliere e ai consiglieri di parita', e' istituito un collegio istruttorio cosi' composto:
a) il vicepresidente del Comitato di cui all'articolo 8, che lo presiede;
b) un magistrato designato dal Ministero della giustizia fra quelli addetti alle sezioni lavoro, di legittimita' o di merito;
c) un dirigente del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
d) gli esperti di cui all'articolo 8, comma 3, let-tera a);
e) la consigliera o il consigliere di parita' di cui all'articolo 12.
2. Ove si renda necessario per le esigenze di ufficio, i componenti di cui alle lettere b) e c) del comma 1, su richiesta del Comitato di cui all'articolo 8, possono essere elevati a due.
3. Al fine di provvedere alla gestione amministrativa ed al supporto tecnico del Comitato e del collegio istruttorio e' istituita la segreteria tecnica. Essa ha compiti esecutivi alle dipendenze della presidenza del Comitato ed e' composta da personale proveniente dalle varie direzioni generali del Ministero del lavoro e delle
politiche sociali, coordinato da un dirigente generale del medesimo Ministero. La composizione della segreteria tecnica e' determinata
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato.
4. Il Comitato e il collegio istruttorio deliberano in ordine alle proprie modalita' di organizzazione e di funzionamento; per lo svolgimento dei loro compiti possono costituire specifici gruppi di lavoro. Il Comitato puo' deliberare la stipula di convenzioni, nonche' avvalersi di collaborazioni esterne:
a) per l'effettuazione di studi e ricerche;
b) per attivita' funzionali all'esercizio dei propri compiti in materia di progetti di azioni positive previsti dall'articolo 10, comma 1, lettera d).
Capo IV
Consigliere e consiglieri di parita'


Art. 12.
Nomina(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 1, comma 1;articolo 2, commi 1, 3, 4)


1. A livello nazionale, regionale e provinciale sono nominati una consigliera o un consigliere di parita'. Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresi' alla nomina di un supplente.
2. La consigliera o il consigliere nazionale di parita', effettivo e supplente, sono nominati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita'.
3. Le consigliere ed i consiglieri di parita' regionali e provinciali, effettivi e supplenti, sono nominati, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', su designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, ognuno per i reciproci livelli di competenza, sulla base dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1, e con le procedure previste dal presente articolo.
4. In caso di mancata designazione dei consiglieri di parita' regionali e provinciali entro i sessanta giorni successivi alla scadenza del mandato, o di designazione effettuata in assenza dei requisiti richiesti dall'articolo 13, comma 1, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', provvede direttamente alla nomina nei trenta giorni successivi, nel rispetto dei requisiti di cui all'articolo 13, comma 1. A parita' di requisiti professionali si procede alla designazione e nomina di una consigliera di parita'.
5. I decreti di nomina del presente articolo, cui va allegato il curriculum professionale della persona nominata, sono pubblicati nella Gazzetta Ufficiale.


Note all'art. 12:
- L'art. 4 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, cosi' recita:
«Art. 4 (Criteri per l'organizzazione del sistema regionale per l'impiego). - 1. L'organizzazione amministrativa e le modalita' di esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti ai sensi del presente decreto sono disciplinati, anche al fine di assicurare l'integrazione tra i servizi per l'impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche formative, con legge regionale da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
a) ai sensi dell'art. 4, comma 3, lettere f), g) e h), della legge 15 marzo 1997, n. 59, attribuzione alle province delle funzioni e dei compiti di cui all'art. 2, comma 1, ai fini della realizzazione dell'integrazione di cui al comma 1;
b) costituzione di una commissione regionale permanente tripartita quale sede concertativa di progettazione, proposta, valutazione e verfica rispetto alle linee programmatiche e alle politiche del lavoro di competenza regionale; la composizione di tale organo collegiale deve prevedere la presenza del rappresentante regionale competente per materia di cui alla lettera c), delle parti sociali sulla base della rappresentativita' determinata secondo i criteri previsti dall'ordinamento, rispettando la pariteticita' delle posizioni delle parti sociali stesse, nonche' quella del consigliere di parita' nominato ai sensi della legge 10 aprile 1991, n. 125;
c) costituzione di un organismo istituzionale finalizzato a rendere effettiva, sul territorio, l'integrazione tra i servizi all'impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche formative, composto da rappresentanti istituzionali della regione, delle province e degli altri enti locali;
d) affidamento delle funzioni di assistenza tecnica e monitoraggio nelle materie di cui all'art. 2, comma 2, ad apposita struttura regionale dotata di personalita' giuridica, con autonomia patrimoniale e contabile avente il compito di collaborare al raggiungimento dell'integrazione di cui al comma 1 nel rispetto delle attribuzioni di cui alle lettere a) e b). Tale struttura garantisce il collegamento con il sistema informativo del lavoro di cui all'art. 11;
e) gestione ed erogazione da parte delle province dei servizi connessi alle funzioni e ai compiti attribuiti ai sensi del comma 1, lettera a), tramite strutture denominate "centri per l'impiego";
f) distribuzione territoriale dei centri per l'impiego sulla base di bacini provinciali con utenza non inferiore a 100.000 abitanti, fatte salve motivate esigenze socio geografiche;
g) possibilita' di attribuzione alle province della gestione ed erogazione dei servizi, anche tramite i centri per l'impiego, connessi alle funzioni e compiti conferiti alla regione ai sensi dell'art. 2, comma 2;
h) possibilita' di attribuzione all'ente di cui al comma 1, lettera d), funzioni ed attivita' ulteriori rispetto a quelle conferite ai sensi del presente decreto, anche prevedendo che l'erogazione di tali ulteriori servizi sia a titolo oneroso per i privati che ne facciano richiesta.
2. Le province individuano adeguati strumenti di raccordo con gli altri enti locali, prevedendo la partecipazione degli stessi alla individuazione degli obiettivi e all'organizzazione dei servizi connessi alle funzioni e ai compiti di cui all'art. 2, comma 1. L'art. 3, comma 1, della legge 28 febbraio 1987, n. 56, si applica anche ai Centri per l'impiego istituiti dalle amministrazioni provinciali.
3. I servizi per l'impiego di cui al comma 1 devono essere organizzati entro il 31 dicembre 1998.».
- L'art. 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, cosi' recita: «Art. 6 (Soppressione di organi collegiali).
1. La provincia, entro i sei mesi successivi dalla data di entrata in vigore della legge regionale di cui all'art. 4, comma 1, istituisce un'unica commissione a livello provinciale per le politiche del lavoro, quale organo tripartito permanente di concertazione e di consultazione delle parti sociali in relazione alle attivita' e alle funzioni attribuite alla provincia ai sensi dell'art. 4, comma 1, lettera a), nonche' in relazione alle attivita' e funzioni gia' di competenza degli organi collegiali di cui al comma 2 del presente articolo secondo i seguenti principi e criteri:
a) la composizione della commissione deve essere tale da permettere la pariteticita' delle posizioni delle parti sociali;
b) presidenza della commissione al presidente dell'amministrazione provinciale;
c) inserimento del consigliere di parita';
d) possibilita' di costituzione di sottocomitati, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera a), anche a carattere tematico.
2. Con effetto dalla costituzione della commissione provinciale di cui al comma 1, i seguenti organi collegiali sono soppressi e le relative funzioni e competenze sono trasferite alla provincia:
a) commissione provinciale per l'impiego;
b) commissione circoscrizionale per l'impiego;
c) commissione regionale per il lavoro a domicilio;
d) commissione provinciale per il lavoro a domicilio;
e) commissione comunale per il lavoro a domicilio;
f) commissione provinciale per il lavoro domestico;
g) commissione provinciale per la manodopera agricola;
h) commissione circoscrizionale per la manodopera agricola;
i) commissione provinciale per il collocamento obbligatorio.
3. La provincia, nell'attribuire le funzioni e le competenze gia' svolte dalla commissione di cui al comma 2, lettera i), garantisce all'interno del competente organismo, la presenza di rappresentanti designati dalle categorie interessate, di rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro, designati rispettivamente dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative e di un ispettore medico del lavoro.
Nell'ambito di tale organismo e' previsto un comitato tecnico composto da funzionari ed esperti del settore sociale e medico-legale e degli organismi individuati dalle regioni ai sensi dell'art. 4 del presente decreto, con particolare riferimento alla materia delle inabilita', con compiti relativi alla valutazione delle residue capacita' lavorative, alla definizione degli strumenti e delle prestazioni atti all'inserimento e alla predisposizione dei controlli periodici sulla permanenza delle condizioni di inabilita'. Agli oneri per il funzionamento del comitato tecnico si provvede mediante corrispondente riduzione dell'autorizzazione di spesa per il funzionamento della commissione di cui al comma 1.».


Art. 13.
Requisiti e attribuzioni(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articoli 1, comma 2, 2, comma 2)
1. Le consigliere e i consiglieri di parita' devono possedere requisiti di specifica competenza ed esperienza pluriennale in materia di lavoro femminile, di normative sulla parita' e pari opportunita' nonche' di mercato del lavoro, comprovati da idonea documentazione.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parita', effettivi e supplenti, svolgono funzioni di promozione e di controllo dell'attuazione dei principi di uguaglianza di opportunita' e di non discriminazione tra donne e uomini nel lavoro. Nell'esercizio delle funzioni loro attribuite, le consigliere ed i consiglieri di parita' sono pubblici ufficiali ed hanno l'obbligo di segnalazione all'autorita' giudiziaria dei reati di cui vengono a conoscenza per ragione del loro ufficio.


Art. 14.
Mandato(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 2, comma 5)
1. Il mandato delle consigliere e dei consiglieri di cui all'articolo 12 ha la durata di quattro anni ed e' rinnovabile una sola volta. La procedura di rinnovo si svolge secondo le modalita' previste dall'articolo 12. Le consigliere ed i consiglieri di parita' continuano a svolgere le loro funzioni fino alle nuove nomine.


Art. 15.
Compiti e funzioni(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 3)
1. Le consigliere ed i consiglieri di parita' intraprendono ogni utile iniziativa, nell'ambito delle competenze dello Stato, ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari opportunita' per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
a) rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni promozionali e di garanzia contro le discriminazioni previste dal libro III, titolo I;
b) promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione delle risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo;
c) promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari opportunita';
d) sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo della promozione e della realizzazione di pari opportunita';
e) promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunita' da parte dei soggetti pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro;
f) collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in materia di parita', pari opportunita' e garanzia contro le discriminazioni, anche mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi;
g) diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attivita' di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunita' e sulle varie forme di discriminazioni;
h) verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli articoli da 42 a 46;
i) collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali e con organismi di parita' degli enti locali.
2. Le consigliere ed i consiglieri di parita' nazionale, regionali e provinciali, effettivi e supplenti, sono componenti a tutti gli effetti, rispettivamente, della commissione centrale per l'impiego ovvero del diverso organismo che ne venga a svolgere, in tutto o in parte, le funzioni a seguito del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e delle commissioni regionali e provinciali tripartite previste dagli articoli 4 e 6 del citato decreto legislativo n. 469 del 1997; essi partecipano altresi' ai tavoli di partenariato locale ed ai comitati di sorveglianza di cui al regolamento (CE) n. 1260/99, del Consiglio del 21 giugno 1999. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali sono inoltre componenti delle commissioni di parita' del corrispondente livello territoriale, ovvero di organismi diversamente denominati che svolgono funzioni analoghe. La consigliera o il consigliere nazionale e' componente del Comitato nazionale e del Collegio istruttorio di cui agli articoli 8 e 11.
3. Le strutture regionali di assistenza tecnica e di monitoraggio di cui all'articolo 4, comma 1, lettera d), del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, forniscono alle consigliere ed ai consiglieri di parita' il supporto tecnico necessario: alla rilevazione di situazioni di squilibrio di genere; all'elaborazione dei dati contenuti nei rapporti sulla situazione del personale di cui all'articolo 46; alla promozione e alla realizzazione di piani di formazione e riqualificazione professionale; alla promozione di progetti di azioni positive.
4. Su richiesta delle consigliere e dei consiglieri di parita', le Direzioni regionali e provinciali del lavoro territorialmente competenti acquisiscono nei luoghi di lavoro informazioni sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della cessazione del rapporto di lavoro, ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici criteri di rilevazione indicati nella richiesta.
5. Entro il 31 dicembre di ogni anno le consigliere ed i consiglieri di parita' regionali e provinciali presentano un rapporto sull'attivita' svolta agli organi che hanno provveduto alla designazione. La consigliera o il consigliere di parita' che non abbia provveduto alla presentazione del rapporto o vi abbia provveduto con un ritardo superiore a tre mesi decade dall'ufficio con provvedimento adottato, su segnalazione dell'organo che ha provveduto alla designazione, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita'.


Note all'art. 15:
- Per il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, si vedano le note all'art. 12.
- Il regolamento (CE) 1260/1999 recante «Disposizioni generali sui Fondi strutturali» e' pubblicato nella G.U.C.E. 26 giugno 1999, n. L 161.


Art. 16.
Sede e attrezzature(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 5)
1. L'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parita' regionali e provinciali e' ubicato rispettivamente presso le regioni e presso le province. L'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parita' e' ubicato presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. L'ufficio e' funzionalmente autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie per lo svolgimento dei suoi compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso cui l'ufficio e' ubicato, nell'ambito delle risorse trasferite ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', nell'ambito delle proprie competenze, puo' predisporre con gli enti territoriali nel cui ambito operano le consigliere ed i consiglieri di parita' convenzioni quadro allo scopo di definire le modalita' di organizzazione e di funzionamento dell'ufficio delle consigliere e dei consiglieri di parita', nonche' gli indirizzi generali per l'espletamento dei compiti di cui all'articolo 15, comma 1, lettere b), c), d) ed e), come stipulato con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.


Art. 17.
Permessi(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 6)


1. Le consigliere ed i consiglieri di parita', nazionale e regionali hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni, ove si tratti di lavoratori dipendenti, ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di cinquanta ore lavorative mensili medie. Nella medesima ipotesi le consigliere ed i consiglieri provinciali di parita' hanno diritto ad assentarsi dal posto di lavoro per un massimo di trenta ore lavorative mensili medie. I permessi di cui al presente comma sono retribuiti.
2. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali di parita' hanno altresi' diritto, ove si tratti di lavoratori dipendenti, ad ulteriori permessi non retribuiti per i quali viene corrisposta un'indennita'. La misura massima dei permessi e l'importo dell'indennita' sono stabiliti annualmente dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2. Ai fini dell'esercizio del diritto di assentarsi dal luogo di lavoro di cui al comma 1 ed al presente
comma, le consigliere ed i consiglieri di parita' devono darne
comunicazione scritta al datore di lavoro almeno un giorno prima.
3. L'onere di rimborsare le assenze dal lavoro di cui al comma 1 delle consigliere e dei consiglieri di parita' regionali e provinciali, lavoratori dipendenti da privati o da amministrazioni pubbliche, e' a carico rispettivamente dell'ente regionale e provinciale. A tal fine si impiegano risorse provenienti dal Fondo di cui all'articolo 18. L'ente regionale o provinciale, su richiesta, e' tenuto a rimborsare al datore di lavoro quanto corrisposto per le ore di effettiva assenza.
4. Le consigliere ed i consiglieri regionali e provinciali di parita', lavoratori autonomi o liberi professionisti, hanno diritto per l'esercizio delle loro funzioni ad un'indennita' rapportata al numero complessivo delle ore di effettiva attivita', entro un limite massimo determinato annualmente dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
5. La consigliera o il consigliere nazionale di parita', ove lavoratore dipendente, usufruisce di un numero massimo di permessi non retribuiti determinato annualmente con il decreto di cui all'articolo 18, comma 2, nonche' di un'indennita' fissata dallo stesso decreto. In alternativa puo' richiedere il collocamento in aspettativa non retribuita per la durata del mandato, percependo in tal caso un'indennita' complessiva, a carico del Fondo di cui all'articolo 18, determinata tenendo conto dell'esigenza di ristoro della retribuzione perduta e di compenso dell'attivita' svolta. Ove l'ufficio di consigliera o consigliere nazionale di parita' sia ricoperto da un lavoratore autonomo o da un libero professionista, spetta al medesimo un'indennita' nella misura complessiva annua determinata dal decreto di cui all'articolo 18, comma 2.


Art. 18.
Fondo per l'attivita' delle consigliere e dei consiglieri di parita'(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 9)
1. Il Fondo nazionale per le attivita' delle consigliere e dei consiglieri di parita' e' alimentato dalle risorse di cui all'articolo 47, comma 1, lettera d), della legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni. Il Fondo e' destinato a finanziare le spese relative alle attivita' della consigliera o del consigliere nazionale di parita' e delle consigliere o dei consiglieri regionali e provinciali di parita', i compensi degli esperti eventualmente nominati ai sensi dell'articolo 19, comma 3, nonche' le spese relative alle azioni in giudizio promosse o sostenute ai sensi del libro III, titolo I, capo III; finanzia altresi' le spese relative al pagamento di compensi per indennita', rimborsi e remunerazione dei permessi spettanti alle consigliere ed ai consiglieri di parita', nonche' quelle per il funzionamento e le attivita' della rete di cui all'articolo 19 e per gli eventuali oneri derivanti dalle convenzioni di cui all'articolo 16, comma 2, diversi da quelli relativi al personale.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le pari opportunita', sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, le risorse del Fondo vengono annualmente ripartite tra le diverse destinazioni, sulla base dei seguenti criteri:
a) una quota pari al trenta per cento e' riservata all'ufficio della consigliera o del consigliere nazionale di parita' ed e' destinata a finanziare, oltre alle spese relative alle attivita' ed ai compensi dello stesso, le spese relative al funzionamento ed ai programmi di attivita' della rete delle consigliere e dei consiglieri di parita' di cui all'articolo 19;
b) la restante quota del settanta per cento e' destinata alle regioni e viene suddivisa tra le stesse sulla base di una proposta di riparto elaborata dalla commissione interministeriale di cui al comma 4.
3. La ripartizione delle risorse e' comunque effettuata in base a parametri oggettivi, che tengono conto del numero delle consigliere o dei consiglieri provinciali e di indicatori che considerano i differenziali demografici ed occupazionali, di genere e territoriali, nonche' in base alla capacita' di spesa dimostrata negli esercizi finanziari precedenti.
4. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali opera la commissione interministeriale per la gestione del Fondo di cui al comma 1. La commissione e' composta dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parita' o da un delegato scelto all'interno della rete di cui all'articolo 19, dal vicepresidente del Comitato nazionale di cui all'articolo 8, da un rappresentante della Direzione generale del mercato del lavoro, da tre rappresentanti del Dipartimento per le pari opportunita' della Presidenza del Consiglio dei Ministri, da un rappresentante del Ministero dell'economia e delle finanze, da un rappresentante del Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonche' da tre rappresentanti della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Essa provvede alla proposta di riparto tra le regioni della quota di risorse del Fondo ad esse assegnata, nonche' all'approvazione dei progetti e dei programmi della rete di cui all'articolo 19. L'attivita' della commissione non comporta oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica.
5. Per la gestione del Fondo di cui al comma 1 si applicano, in quanto compatibili, le norme che disciplinano il Fondo per l'occupazione.


Note all'art. 18:
- L'art. 47 della legge 17 maggio 1999, n. 144, cosi' recita:
«Art. 47 (Delega al Governo in materia di revisione dell'art. 8 della legge 10 aprile 1991, n. 125). - 1. Al fine di rafforzare gli strumenti volti a promuovere l'occupazione femminile, a prevenire e contrastare le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro, il Governo e' delegato ad emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o piu' decreti legislativi recanti norme intese a ridefinire e potenziare le funzioni, il regime giuridico e le dotazioni strumentali dei consiglieri di parita', nonche' a migliorare l'efficienza delle azioni positive di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, secondo i seguenti principi e criteri direttivi:
a) revisione e razionalizzazione delle funzioni dei consiglieri di parita', anche in relazione al nuovo assetto istituzionale di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469 e, in particolare, con:
1) valorizzazione del ruolo nell'ambito ed in relazione con organismi, sedi e strumenti di politica attiva del lavoro e di promozione delle occasioni di impiego, con particolare rferimento alle aree di svantaggio occupazionale e ai processi di riqualificazione e formazione professionale;
2) rafforzamento delle funzioni intese al rispetto della normativa antidiscriminatoria nei luoghi di lavoro, nonche' di quelle relative al contenzioso in sede conciliativa e giudiziale ed in sede di giudizio civile o amministrativo, avente ad oggetto le discriminazioni per sesso;
b) incremento delle dotazioni per un efficace espletamento delle funzioni, con, in particolare:
previsione di permessi retribuiti, ridefinizione dei compensi e dei rimborsi e potenziamento delle strumentazioni operative;
c) ridefinizione dei criteri e del procedimento di nomina dei consiglieri di parita', con valorizzazione delle competenze ed esperienze acquisite;
d) istituzione, presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, di un fondo per le attivita' dei consiglieri di parita', finanziato dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con risorse assegnate annualmente nell'ambito delle disponibilita' del fondo per l'occupazione, nel limite massimo annuo di lire 10 miliardi, nonche' dal Dipartimento delle pari opportunita' in misura di lire 10 miliardi annue a decorrere dal 1999, cui si provvede mediante corrispondente riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, con definizione dei criteri di assegnazione e ripartizione delle risorse e previsione dell'utilizzabilita' delle stesse anche per spese e onorari relativi alle azioni in giudizio promosse dai consiglieri di parita';
e) previsione di meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei risultati conseguiti per effetto della ridefinizione degli strumenti di cui al presente articolo;
f) revisione della disciplina del finanziamento delle azioni positive, anche con riferimento ai soggetti promotori, ai criteri e alle procedure di finanziamento di cui all'art. 2 della citata legge n. 125 del 1991, nonche' previsione di strumenti e di misure volti a favorire il rispetto e l'adeguamento alle normative in materia di parita' e di non discriminazione tra i sessi, in particolare attraverso il ricorso a misure di carattere premiale.
2. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1, deliberati dal Consiglio dei Ministri e corredati da una apposita relazione, sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro il sessantesimo giorno antecedente la scadenza del termine previsto per l'esercizio della relativa delega. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall'esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l'espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque emanati.
3. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo puo' emanare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalita' di cui al comma 2, attenendosi ai principi e ai criteri direttivi indicati al comma 1.
4. L'attuazione della delega di cui al presente articolo deve essere esercitata nel limite delle risorse disponibili nel Fondo per le attivita' dei consiglieri di parita' di cui al comma 1, lettera d).».
- Per il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si veda le note alle premesse.


Art. 19.
Rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parita'(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, commi 1, 2,
3, 4 e 5)


1. La rete nazionale delle consigliere e dei consiglieri di parita', coordinata dalla consigliera o dal consigliere nazionale di parita', opera al fine di rafforzare le funzioni delle consigliere e dei consiglieri di parita', di accrescere l'efficacia della loro azione, di consentire lo scambio di informazioni, esperienze e buone prassi.
2. La rete nazionale si riunisce almeno due volte l'anno su convocazione e sotto la presidenza della consigliera o del consigliere nazionale; alle riunioni partecipano il vice presidente del Comitato nazionale di parita' di cui all'articolo 8, e un rappresentante designato dal Ministro per le pari opportunita'. 3. Per l'espletamento dei propri compiti la rete nazionale puo' avvalersi, oltre che del Collegio istruttorio di cui all'articolo 11, anche di esperte o esperti, nei settori di competenza delle consigliere e dei consiglieri di parita', di particolare e comprovata qualificazione professionale. L'incarico di esperta o esperto viene conferito su indicazione della consigliera o del consigliere nazionale di parita' dalla competente Direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
4. L'entita' delle risorse necessarie al funzionamento della rete nazionale e all'espletamento dei relativi compiti, e' determinata con il decreto di cui all'articolo 18, comma 2.
5. Entro il 31 marzo di ogni anno la consigliera o il consigliere nazionale di parita' elabora, anche sulla base dei rapporti di cui all'articolo 15, comma 5, un rapporto al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro per le pari opportunita' sulla propria attivita' e su quella svolta dalla rete nazionale. Si applica quanto previsto nell'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 15 in caso di mancata o ritardata presentazione del rapporto.


Art. 20.
Relazione al Parlamento(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 4, comma 6)
1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche sulla base del rapporto di cui all'articolo 19, comma 5, nonche' delle indicazioni fornite dal Comitato nazionale di parita', presenta in Parlamento, almeno ogni due anni, d'intesa con il Ministro per le pari opportunita', una relazione contenente i risultati del monitoraggio sull'applicazione della legislazione in materia di parita' e pari opportunita' nel lavoro e sulla valutazione degli effetti delle disposizioni del presente decreto.


Capo V
Comitato per l'imprenditoria femminile


Art. 21.
Comitato per l'imprenditoria femminile(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 1, 2, 3)


1. Presso il Ministero delle attivita' produttive opera il Comitato per l'imprenditoria femminile composto dal Ministro delle attivita' produttive o, per sua delega, da un Sottosegretario di Stato, con funzioni di presidente, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, dal Ministro delle politiche agricole e forestali, dal Ministro dell'economia e delle finanze, o da loro delegati; da una rappresentante degli istituti di credito, da una rappresentante per ciascuna delle organizzazioni maggiormente rappresentative a livello nazionale della cooperazione, della piccola industria, del commercio, dell'artigianato, dell'agricoltura, del turismo e dei servizi.
2. I membri del Comitato sono nominati con decreto del Ministro delle attivita' produttive, su designazione delle organizzazioni di appartenenza, e restano in carica tre anni. Per ogni membro effettivo viene nominato un supplente.
3. Il Comitato elegge nel proprio ambito uno o due vicepresidenti;
per l'adempimento delle proprie funzioni esso si avvale dei personale e delle strutture messe a disposizione dai Ministeri di cui al comma 1.


Art. 22.
Attivita' del Comitato per l'imprenditoria femminile(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 10, commi 4 e 5)


1. Il Comitato ha compiti di indirizzo e di programmazione generale in ordine agli interventi previsti dal libro III, titolo II; promuove altresi' lo studio, la ricerca e l'informazione sull'imprenditorialita' femminile.
2. Per le finalita' di cui al presente capo il Comitato stabilisce gli opportuni collegamenti con il Servizio centrale per la piccola industria e l'artigianato di cui all'articolo 39, comma 1, lettera a), della legge 5 ottobre 1991, n. 317, e si avvale di consulenti, individuati tra persone aventi specifiche competenze professionali ed esperienze in materia di imprenditoria femminile.


Libro II
PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ETICO-SOCIALI


Nota all'art. 22:
- L'art. 39 della legge 5 ottobre 1991, n. 317, cosi' recita:
«Art. 39 (Riordinamento della Direzione generale della produzione industriale). - 1. Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, con decreto del Presidente della Repubblica, emanato su proposta del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato ai sensi dell'art. 17, comma 1, lettera d), legge 23 agosto 1988, n. 400, si provvede alla riorganizzazione strutturale e funzionale della Direzione generale della produzione industriale, tenuto conto della necessita' di provvedere:
a) all'istituzione di un Servizio centrale per la piccola industria e l'artigianato, cui e' preposto un dirigente superiore con funzioni di vice direttore generale;
b) al riordinamento degli uffici le cui competenze risultino direttamente o indirettamente collegate a quelle della Comunita' economica europea;
c) al riordinamento dell'Ispettorato tecnico dell'industria, anche in relazione agli adempimenti connessi al controllo dell'attivita' di certificazione;
d) al riordino degli uffici competenti nei settori merceologici;
e) all'istituzione di un ufficio per lo sviluppo delle tecnologie informatiche a supporto dell'azione amministrativa.
2. Con decreto del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato da emanare successivamente al decreto di cui al comma 1, si provvede alla ripartizione in divisioni della Direzione generale di cui allo stesso comma 1.
3. Per le finalita' di cui al presente articolo le dotazioni organiche del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato sono aumentate entro il limite di ventisette unita' secondo la seguente articolazione:
a) cinque posti di ottavo livello;
b) cinque posti di settimo livello;
c) sette posti di sesto livello;
d) sei posti di quinto livello;
e) tre posti di quarto livello;
f) un posto di terzo livello.
4. Alla copertura dei posti di cui al comma 3, si provvede nel triennio 1991-1993 con le procedure di mobilita' di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1988, n. 325, e successive modificazioni, e alla legge 29 dicembre 1988, n. 554, e successive modificazioni e integrazioni.».


Titolo I
RAPPORTI TRA CONIUGI


Art. 23.
Pari opportunita' nei rapporti fra coniugi


1. La materia delle pari opportunita' nei rapporti familiari e' disciplinata dal codice civile.


Titolo II
CONTRASTO ALLA VIOLENZA NELLE RELAZIONI FAMILIARI


Art. 24.
Violenza nelle relazioni familiari


1. Per il contrasto alla violenza nelle relazioni familiari si applicano le disposizioni di cui alla legge 4 aprile 2001, n. 154.


Libro III
PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI ECONOMICI


Nota all'art. 24:
- La legge 4 aprile 2001, n. 154, reca «Misure contro la violenza nelle relazioni familiari», ed e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 28 aprile 2001, n. 98.


Titolo I
PARI OPPORTUNITA' NEL LAVORO
Capo I
Nozioni di discriminazione


Art. 25.
Discriminazione diretta e indiretta(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 1 e 2)


1. Costituisce discriminazione diretta, ai sensi del presente titolo, qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e, comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un'altra lavoratrice o di un altro lavoratore in situazione analoga.
2. Si ha discriminazione indiretta, ai sensi del presente titolo, quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono o possono mettere i lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a lavoratori dell'altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento dell'attivita' lavorativa, purche' l'obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo conseguimento siano appropriati e necessari.


Art. 26.
Molestie e molestie sessuali(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater)
1. Sono considerate come discriminazioni anche le molestie, ovvero quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
2. Sono, altresi', considerate come discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignita' di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.
3. Gli atti, i patti o i provvedimenti concernenti il rapporto di lavoro dei lavoratori o delle lavoratrici vittime dei comportamenti di cui ai commi 1 e 2 sono nulli se adottati in conseguenza del rifiuto o della sottomissione ai comportamenti medesimi. Sono considerati, altresi', discriminazioni quei trattamenti sfavorevoli da parte del datore di lavoro che costituiscono una reazione ad un reclamo o ad una azione volta ad ottenere il rispetto del principio di parita' di trattamento tra uomini e donne.


Capo II
Divieti di discriminazione


Art. 27.
Divieti di discriminazione nell'accesso al lavoro(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 3)


1. E' vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata, autonoma o in qualsiasi altra forma, indipendentemente dalle modalita' di assunzione e qualunque sia il settore o il ramo di attivita', a tutti i livelli della gerarchia professionale.
2. La discriminazione di cui al comma 1 e' vietata anche se attuata:
a) attraverso il riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza;
b) in modo indiretto, attraverso meccanismi di preselezione ovvero a mezzo stampa o con qualsiasi altra forma pubblicitaria che indichi come requisito professionale l'appartenenza all'uno o all'altro sesso.
3. Il divieto di cui ai commi 1 e 2 si applica anche alle iniziative in materia di orientamento, formazione, perfezionamento e aggiornamento professionale, per quanto concerne sia l'accesso sia i contenuti, nonche' all'affiliazione e all'attivita' in
un'organizzazione di lavoratori o datori di lavoro, o in qualunque organizzazione i cui membri esercitino una particolare professione, e alle prestazioni erogate da tali organizzazioni.
4. Eventuali deroghe alle disposizioni dei commi 1, 2 e 3 sono ammesse soltanto per mansioni di lavoro particolarmente pesanti individuate attraverso la contrattazione collettiva.
5. Nei concorsi pubblici e nelle forme di selezione attuate, anche a mezzo di terzi, da datori di lavoro privati e pubbliche amministrazioni la prestazione richiesta dev'essere accompagnata dalle parole «dell'uno o dell'altro sesso», fatta eccezione per i casi in cui il riferimento al sesso costituisca requisito essenziale per la natura del lavoro o della prestazione.
6. Non costituisce discriminazione condizionare all'appartenenza ad un determinato sesso l'assunzione in attivita' della moda, dell'arte e dello spettacolo, quando cio' sia essenziale alla natura del lavoro o della prestazione.


Art. 28.
Divieto di discriminazione retributiva(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 2)
1. La lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
2. I sistemi di classificazione professionale ai fini della determinazione delle retribuzioni debbono adottare criteri comuni per uomini e donne.


Art. 29.
Divieti di discriminazione nella prestazione lavorativa e nella carriera(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 3)
1. E' vietata qualsiasi discriminazione fra uomini e donne per quanto riguarda l'attribuzione delle qualifiche, delle mansioni e la progressione nella carriera.


Art. 30.
Divieti di discriminazione nell'accesso alle prestazioni previdenziali(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articoli 4, 9, 10, 11 e 12)


1. Le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono optare di continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di eta' previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali,
previa comunicazione al datore di lavoro da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione di vecchiaia.
2. Nell'ipotesi di cui al comma 1 si applicano alle lavoratrici le disposizioni della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, in deroga all'articolo 11 della legge stessa.
3. Gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico possono essere corrisposti, in alternativa, alla donna lavoratrice o pensionata alle stesse condizioni e con gli stessi limiti previsti per il lavoratore o pensionato. Nel caso di richiesta di entrambi i genitori gli assegni familiari, le aggiunte di famiglia e le maggiorazioni delle pensioni per familiari a carico debbono essere corrisposti al genitore con il quale il figlio convive.
4. Le prestazioni ai superstiti, erogate dall'assicurazione generale obbligatoria, per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, gestita dal Fondo pensioni per i lavoratori dipendenti, sono estese, alle stesse condizioni previste per la moglie dell'assicurato o del pensionato, al marito dell'assicurata o della pensionata.
5. La disposizione di cui al comma 4 si applica anche ai dipendenti dello Stato e di altri enti pubblici nonche' in materia di trattamenti pensionistici sostitutivi ed integrativi dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti e di trattamenti a carico di fondi, gestioni ed enti istituiti per lavoratori dipendenti da datori di lavoro esclusi od esonerati dall'obbligo dell'assicurazione medesima, per lavoratori autonomi e per liberi professionisti.
6. Le prestazioni ai superstiti previste dal testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e della legge 5 maggio 1976, n. 248, sono estese alle stesse condizioni stabilite per la moglie del lavoratore al marito della lavoratrice.


Nota all'art. 30:
- La legge 15 luglio 1966, n. 604, reca «Norme sui licenziamenti individuali» ed e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 6 agosto 1966, n. 195.
- Il decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, reca «Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali», ed e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 13 ottobre 1965, n. 257, S.O.
- La legge 5 maggio 1976, n. 248, reca «Provvidenze in favore delle vedove e degli orfani dei grandi invalidi sul lavoro deceduti per cause estranee all'infortunio sul lavoro o alla malattia professionale ed adeguamento dell'assegno di incollocabilita' di cui all'art. 180 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124» ed e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 17 maggio 1976, n. 129.


Art. 31.
Divieti di discriminazione nell'accesso agli impieghi pubblici(legge 9 febbraio 1963, n. 66, articolo 1, comma 1; legge 13 dicembre 1986, n. 874, articoli 1 e 2)


1. La donna puo' accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, nei vari ruoli, carriere e categorie, senza limitazione di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge.
2. L'altezza delle persone non costituisce motivo di discriminazione nell'accesso a cariche, professioni e impieghi pubblici ad eccezione dei casi in cui riguardino quelle mansioni e qualifiche speciali, per le quali e' necessario definire un limite di altezza e la misura di detto limite, indicate con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentiti i Ministri interessati, le organizzazioni sindacali piu' rappresentative e la Commissione per la parita' tra uomo e donna, fatte salve le specifiche disposizioni relative al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.


Art. 32.
Divieti di discriminazione nell'arruolamento nelle forze armate e nei corpi speciali(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 1)


1. Le Forze armate ed il Corpo della guardia di finanza si avvalgono, per l'espletamento dei propri compiti, di personale maschile e femminile.


Art. 33.
Divieti di discriminazione nel reclutamento nelle Forze armate e nelCorpo della guardia di finanza(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articolo 2)


1. Il reclutamento del personale militare femminile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza e' effettuato su base volontaria secondo le disposizioni vigenti per il personale maschile, salvo quanto previsto per l'accertamento dell'idoneita' al servizio militare del personale femminile dai decreti di cui all'articolo 1, comma 5, della legge 20 ottobre 1999, n. 380, e salve le aliquote d'ingresso eventualmente previste, in via eccezionale, con il decreto adottato ai sensi della legge medesima.
2. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, nonche' il personale femminile volontario di truppa in fase di addestramento e specializzazione iniziale, e' posto in licenza straordinaria per maternita' a decorrere dalla presentazione all'amministrazione della certificazione attestante lo stato di gravidanza, fino all'inizio del periodo di congedo di maternita' di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Il periodo di assenza del servizio trascorso in licenza straordinaria per maternita' non e' computato nel limite massimo previsto per le licenze straordinarie.
3. Il personale femminile che frequenta i corsi regolari delle accademie e delle scuole allievi marescialli e allievi sergenti e i corsi di formazione iniziale degli istituti e delle scuole delle Forze armate, dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della guardia di finanza, posto in licenza straordinaria per maternita' ai sensi del comma 2, puo' chiedere di proseguire il periodo formativo con esenzione di qualsiasi attivita' fisica, fino all'inizio del periodo del congedo di maternita' di cui all'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. L'accoglimento della domanda e' disposto dal Comandante di corpo, in relazione agli obiettivi didattici da conseguire e previo parere del dirigente del servizio sanitario dell'istituto di formazione.
4. La licenza straordinaria per maternita' di cui al comma 3 e' assimilata ai casi di estensione del divieto di adibire le donne al lavoro previsti dall'articolo 17, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. Al personale femminile, nel predetto periodo di assenza, e' attribuito il trattamento economico di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, ovvero, qualora piu' favorevole, quello stabilito dai provvedimenti previsti dall'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195.
5. Il personale militare femminile appartenente alle Forze armate, all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza che, ai sensi degli articoli 16 e 17 del decreto legislativo n. 151 del 2001, non possa frequentare i corsi previsti dalle relative normative di settore, e' rinviato al primo corso utile successivo e, qualora lo superi con esito favorevole, assume l'anzianita' relativa al corso originario di appartenenza.


Note all'art. 33:
- Si riporta il testo dell'art. 1 della legge 20 ottobre 1999, n. 380 (Delega al Governo per l'istituzione del servizio militare volontario femminile), pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 29 ottobre 1999, n. 255:
«Art. 1. - 1. Le cittadine italiane partecipano, su base volontaria, secondo le disposizioni di cui alla presente legge, ai concorsi per il reclutamento di ufficiali e sottufficiali in servizio permanente e di militari di truppa in servizio volontario, e categorie equiparate, nei ruoli delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
2. Il Governo e' delegato ad emanare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, su proposta del Ministro della difesa, di concerto con i Ministri per le pari opportunita', del tesoro, del bilancio
e della programmazione economica, delle finanze, dei trasporti e della navigazione e per la funzione pubblica, sentita la Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita' tra uomo e donna, di cui alla legge 22 giugno 1990, n. 164, uno o piu' decreti legislativi per disciplinare il reclutamento, lo stato giuridico e l'avanzamento del personale militare femminile, sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi:
a) assicurare la realizzazione del principio delle pari opportunita' uomo-donna, nel reclutamento del personale militare, nell'accesso ai diversi gradi, qualifiche, specializzazioni ed incarichi del personale delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza;
b) applicare al personale militare femminile e maschile la normativa vigente per il personale dipendente delle pubbliche amministrazioni in materia di maternita' e paternita' e di pari opportunita' uomo-donna, tenendo conto dello status del personale militare.
3. Con decreto del Ministro della difesa, di concerto con il Ministro delle finanze e con il Ministro per le pari opportunita', e' istituito, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e per un periodo di quattro anni rinnovabile, un Comitato consultivo composto da undici membri nel quale e' assicurata una partecipazione maggioritaria di personale femminile in possesso di adeguate esperienze e competenze nelle materie attinenti ai settori di interesse del Ministero della difesa e del Ministero delle finanze, con il compito di assistere il Capo di stato maggiore della difesa ed il Comandante generale del Corpo della guardia di finanza nell'azione di indirizzo, coordinamento e valutazione dell'inserimento e della integrazione del personale femminile nelle strutture delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza. Sei membri del Comitato consultivo sono scelti dal Ministro della difesa con proprio decreto e un membro e' scelto dal Ministro delle finanze con proprio decreto. Il Ministro per le pari opportunita' designa i restanti quattro membri, due dei quali sono indicati dalla Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita' tra uomo e donna. Con il decreto di istituzione del Comitato consultivo il Ministro della difesa provvede anche all'indicazione di eventuali compensi connessi alla effettiva presenza ai lavori del Comitato stesso. Per il funzionamento del Comitato e' autorizzata la spesa di lire 80 milioni per il 1999 e di lire 240 milioni annue a decorrere dal 2000. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 1999-2001, nell'ambito dell'unita' previsionale di base di parte corrente «Fondo speciale» dello stato di previsione del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica per l'anno 1999, allo scopo utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero della difesa. Il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
4. Il Governo trasmette alla Camera dei deputati ed al Senato della Repubblica gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 2, al fine dell'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni permanenti, da rendere entro sessanta giorni dalla data di trasmissione.
5. Il Ministro della difesa e il Ministro delle finanze per il personale del Corpo della guardia di finanza, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 2, adottano, con propri decreti, ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, regolamenti recanti norme per l'accertamento dell'idoneita' al servizio militare sentiti, per quanto concerne il personale femminile, il Ministro per le pari opportunita', la Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita' tra uomo e donna nonche' il Ministro dei trasporti e della navigazione per il personale del Corpo delle capitanerie di porto.
6. Ferme restando le consistenze organiche complessive, il Ministro della difesa puo' prevedere limitazioni all'arruolamento del personale militare femminile soltanto in presenza di motivate esigenze connesse alla funzionalita' di specifici ruoli, corpi, categorie, specialita' e specializzazioni di ciascuna Forza armata, qualora in ragione della natura o delle condizioni per l'esercizio di specifiche attivita' il sesso rappresenti un requisito essenziale. Il relativo decreto e' adottato su proposta del Capo di stato maggiore della difesa, acquisito il parere della Commissione per le pari opportunita' tra uomo e donna, d'intesa con i Ministri delle infrastrutture e dei trasporti e per le pari opportunita'.
7. Agli adempimenti di cui al comma 6, per il personale femminile da arruolare nel Corpo della guardia di finanza, provvede il Ministro delle finanze, sentito il Ministro per le pari opportunita' il quale acquisisce il parere della Commissione nazionale per la parita' e le pari opportunita' tra uomo e donna, su proposta del Comandante generale del Corpo della guardia di finanza.
8. In via transitoria per i primi tre anni e salvo quanto previsto dai commi 6 e 7, le prime immissioni di personale femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia di finanza sono disposte, elevando di tre anni i limiti di eta' previsti dalla normativa per gli ufficiali o i sottufficiali, nonche' limitatamente ai contingenti stabiliti annualmente nell'ambito della pianificazione del reclutamento del personale militare, dal Capo di stato maggiore della difesa e dal Comandante generale del Corpo della guardia di finanza, sentito il Comitato consultivo di cui al comma 3, mediante reclutamento con concorsi a nomina diretta secondo quanto previsto dal decreto legislativo 30 dicembre 1997, n. 490, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, secondo le modalita' di cui all'art. 8, commi da 2 a 4, della legge 28 marzo 1997, n. 85, in quanto applicabili.
9. In deroga alle previsioni del comma 1, le cittadine italiane possono partecipare, su base volontaria, anche ai concorsi per ufficiali piloti di complemento delle Forze armate. Questi ultimi devono essere reclutati con le modalita' e le procedure di cui all'art. 3 della legge 19 maggio 1986, n. 224.».
- L'art. 16 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, cosi' recita:
«Art. 16 (Divieto di adibire al lavoro le donne) (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, art. 4, commi 1 e 4). - 1. E' vietato adibire al lavoro le donne:
a) durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all'art. 20;
b) ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
c) durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all'art. 20;
d) durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternita' dopo il parto.».
- L'art. 17 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, cosi' recita:
«Art. 17 (Estensione del divieto) (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 4, commi 2 e 3, 5, e 30, commi 6, 7, 9 e 10). - 1. Il divieto e' anticipato a tre mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all'avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli.
Tali lavori sono determinati con propri decreti dal Ministro per il lavoro e la previdenza sociale, sentite le organizzazioni sindacali nazionali maggiormente rappresentative. Fino all'emanazione del primo decreto ministeriale, l'anticipazione del divieto di lavoro e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio.
2. Il servizio ispettivo del Ministero del lavoro puo' disporre, sulla base di accertamento medico, avvalendosi dei competenti organi del Servizio sanitario nazionale, ai sensi degli articoli 2 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, l'interdizione dal lavoro delle lavoratrici in stato di gravidanza, fino al periodo di astensione di cui alla lettera a), comma 1, dell'art. 16, o fino ai periodi di astensione di cui all'art. 7, comma 6, e all'art. 12, comma 2, per uno o piu' periodi, la cui durata sara' determinata dal servizio stesso, per i seguenti motivi:
a) nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza;
b) quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino;
c) quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni, secondo quanto previsto dagli articoli 7 e 12.
3. L'astensione dal lavoro di cui alla lettera a) del comma 2 e' disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, secondo le risultanze dell'accertamento medico ivi previsto. In ogni caso il provvedimento dovra' essere emanato entro sette giorni dalla ricezione dell'istanza della lavoratrice.
4. L'astensione dal lavoro di cui alle lettere b) e c) del comma 2 puo' essere disposta dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, d'ufficio o su istanza della lavoratrice, qualora nel corso della propria attivita' di vigilanza constati l'esistenza delle condizioni che danno luogo all'astensione medesima.
5. I provvedimenti dei servizi ispettivi previsti dal presente articolo sono definitivi.».
- L'art. 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, cosi' recita:
«Art. 22 (Trattamento economico e normativo) (Legge 30 dicembre 1971, n. 1204, articoli 6, 8 e 15, commi 1 e 5;
legge 9 dicembre 1977, n. 903, art. 3, comma 2;
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, art. 6, commi 4 e 5). - 1. Le lavoratrici hanno diritto ad un'indennita' giornaliera pari all'80 per cento della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternita', anche in attuazione degli articoli 7, comma 6, e 12, comma 2.
2. L'indennita' di maternita', comprensiva di ogni altra indennita' spettante per malattia, e' corrisposta con le modalita' di cui all'art. 1 del decreto-legge 30 dicembre 1979, n. 663, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 febbraio 1980, n. 33, e con gli stessi criteri previsti per l'erogazione delle prestazioni dell'assicurazione obbligatoria contro le malattie.
3. I periodi di congedo di maternita' devono essere computati nell'anzianita' di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilita' o alla gratifica natalizia e alle ferie.
4. I medesimi periodi non si computano ai fini del raggiungimento dei limiti di permanenza nelle liste di mobilita' di cui all'art. 7 della legge 23 luglio 1991, n. 223, fermi restando i limiti temporali di fruizione dell'indennita' di mobilita'. I medesimi periodi si computano ai fini del raggiungimento del limite minimo di sei mesi di lavoro effettivamente prestato per poter beneficiare dell'indennita' di mobilita'.
5. Gli stessi periodi sono considerati, ai fini della progressione nella carriera, come attivita' lavorativa, quando i contratti collettivi non richiedano a tale scopo particolari requisiti.
6. Le ferie e le assenze eventualmente spettanti alla lavoratrice ad altro titolo non vanno godute contemporaneamente ai periodi di congedo di maternita'.
7. Non viene cancellata dalla lista di mobilita' ai sensi dell'art. 9 della legge 23 luglio 1991, n. 223, la lavoratrice che, in periodo di congedo di maternita', rifiuta l'offerta di lavoro, di impiego in opere o servizi di pubblica utilita', ovvero l'avviamento a corsi di formazione professionale.».
- Il decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 195, reca «Attuazione dell'art. 2 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per disciplinare i contenuti del rapporto di impiego del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate» ed e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 27 maggio 1995, n. 122, S.O.


Art. 34.
Divieto di discriminazione nelle carriere militari(decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24, articoli 3, 4 e 5)


1. Lo stato giuridico del personale militare femminile e' disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
2. L'avanzamento del personale militare femminile e' disciplinato dalle disposizioni vigenti per il personale militare maschile delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza.
3. Le amministrazioni interessate disciplinano gli specifici ordinamenti dei corsi presso le accademie, gli istituti e le scuole di formazione in relazione all'ammissione ai corsi stessi del personale femminile.


Art. 35.
Divieto di licenziamento per causa di matrimonio(legge 9 gennaio 1963, n. 7, articoli 1, 2 e 6)


1. Le clausole di qualsiasi genere, contenute nei contratti individuali e collettivi, o in regolamenti, che prevedano comunque la risoluzione del rapporto di lavoro delle lavoratrici in conseguenza del matrimonio sono nulle e si hanno per non apposte.
2. Del pari nulli sono i licenziamenti attuati a causa di matrimonio.
3. Salvo quanto previsto dal comma 5, si presume che il licenziamento della dipendente nel periodo intercorrente dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio, in quanto segua la celebrazione, a un anno dopo la celebrazione stessa, sia stato disposto per causa di matrimonio.
4. Sono nulle le dimissioni presentate dalla lavoratrice nel periodo di cui al comma 3, salvo che siano dalla medesima confermate entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro.
5. Al datore di lavoro e' data facolta' di provare che il licenziamento della lavoratrice, avvenuto nel periodo di cui al comma 3, e' stato effettuato non a causa di matrimonio, ma per una delle seguenti ipotesi:
a) colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro;
b) cessazione dell'attivita' dell'azienda cui essa e' addetta;
c) ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice e' stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine.
6. Con il provvedimento che dichiara la nullita' dei licenziamenti di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 e' disposta la corresponsione, a favore della lavoratrice allontanata dal lavoro, della retribuzione globale di fatto sino al giorno della riammissione in servizio.
7. La lavoratrice che, invitata a riassumere servizio, dichiari di recedere dal contratto, ha diritto al trattamento previsto per le dimissioni per giusta causa, ferma restando la corresponsione della retribuzione fino alla data del recesso.
8. A tale scopo il recesso deve essere esercitato entro il termine di dieci giorni dal ricevimento dell'invito.
9. Le disposizioni precedenti si applicano sia alle lavoratrici dipendenti da imprese private di qualsiasi genere, escluse quelle addette ai servizi familiari e domestici, sia a quelle dipendenti da enti pubblici, salve le clausole di miglior favore previste per le lavoratrici nei contratti collettivi ed individuali di lavoro e nelle disposizioni legislative e regolamentari.


Capo III
Tutela giudiziaria


Art. 36.
Legittimazione processuale(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 4 e 5)


1. Chi intende agire in giudizio per la dichiarazione delle discriminazioni ai sensi dell'articolo 25 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, puo' promuovere il tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile o, rispettivamente, dell'articolo 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche tramite la consigliera o il consigliere di parita' provinciale o regionale territorialmente competente.
2. Ferme restando le azioni in giudizio di cui all'articolo 37, commi 2 e 4, le consigliere o i consiglieri di parita' provinciali e regionali competenti per territorio hanno facolta' di ricorrere innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro o, per i rapporti sottoposti alla sua giurisdizione, al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti, su delega della persona che vi ha interesse, ovvero di intervenire nei giudizi promossi dalla medesima.


Note all'art. 36:
- L'art. 410 del codice di procedura civile cosi'
recita:
«Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'art. 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.
Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione e' istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualita' di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalita' e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessita', affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma.
In ogni caso per la validita' della riunione e' necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.
Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale dei lavoro certifica l'impossibilita' di procedere al tentativo di conciliazione.».
- L'art. 66 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' recita:
«Art. 66 (Collegio di conciliazione) (Art. 69-bis del decreto legislativo n. 29 del 1993, aggiunto dall'art. 32 del decreto legislativo n. 80 del 1998 e successivamente modificato dall'art. 19, comma 7, del decreto legislativo n. 387 del 1998). - 1. Ferma restando la facolta' del lavoratore di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti collettivi, il tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all'art. 65 si svolge, con le procedure di cui ai commi seguenti, dinanzi ad un collegio di conciliazione istituito presso la Direzione provinciale del lavoro nella cui circoscrizione si trova l'ufficio cui il lavoratore e' addetto, ovvero era addetto al momento della cessazione del rapporto. Le medesime procedure si applicano, in quanto compatibili, se il tentativo di conciliazione e' promosso dalla pubblica amministrazione. Il collegio di conciliazione e' composto dal direttore della Direzione o da un suo delegato, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell'amministrazione.
2. La richiesta del tentativo di conciliazione, sottoscritta dal lavoratore, e' consegnata alla Direzione presso la quale e' istituito il collegio di conciliazione competente o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento. Copia della richiesta deve essere consegnata o spedita a cura dello stesso lavoratore all'amministrazione di appartenenza.
3. La richiesta deve precisare:
a) l'amministrazione di appartenenza e la sede alla quale il lavoratore e' addetto;
b) il luogo dove gli devono essere fatte le comunicazioni inerenti alla procedura;
c) l'esposizione sommaria dei fatti e delle ragioni poste a fondamento della pretesa;
d) la nomina del proprio rappresentante nel collegio di conciliazione o la delega per la nomina medesima ad un'organizzazione sindacale.
4. Entro trenta giorni dal ricevimento della copia della richiesta, l'amministrazione, qualora non accolga la pretesa del lavoratore, deposita presso la Direzione osservazioni scritte. Nello stesso atto nomina il proprio rappresentante in seno al collegio di conciliazione. Entro i dieci giorni successivi al deposito, il Presidente fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione. Dinanzi al collegio di conciliazione, il lavoratore puo' farsi rappresentare o assistere anche da un'organizzazione cui aderisce o conferisce mandato. Per l'amministrazione deve comparire un soggetto munito del potere di conciliare.
5. Se la conciliazione riesce, anche limitatamente ad una parte della pretesa avanzata dal lavoratore, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti del collegio di conciliazione. Il verbale costituisce titolo esecutivo. Alla conciliazione non si applicano le disposizioni dell'art. 2113, commi primo, secondo e terzo del codice civile.
6. Se non si raggiunge l'accordo tra le parti, il collegio di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non e' accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
7. Nel successivo giudizio sono acquisiti, anche di ufficio, i verbali concernenti il tentativo di conciliazione non riuscito. Il giudice valuta il comportamento tenuto dalle parti nella fase conciliativa ai fini del regolamento delle spese.
8. La conciliazione della lite da parte di chi rappresenta la pubblica amministrazione, in adesione alla proposta formulata dal collegio di cui al comma 1, ovvero in sede giudiziale ai sensi dell'art. 420, commi primo, secondo e terzo, del codice di procedura civile, non puo' dar luogo a responsabilita' amministrativa.».


Art. 37.
Legittimazione processuale a tutela di piu' soggetti(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, commi 7, 8, 9, 10 e 11)


1. Qualora le consigliere o i consiglieri di parita' regionali e, nei casi di rilevanza nazionale, la consigliera o il consigliere nazionale rilevino l'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori diretti o indiretti di carattere collettivo, anche quando non siano individuabili in modo immediato e diretto le lavoratrici o i lavoratori lesi dalle discriminazioni, prima di promuovere l'azione in giudizio ai sensi dei commi 2 e 4, possono chiedere all'autore della discriminazione di predisporre un piano di rimozione delle discriminazioni accertate entro un termine non superiore a centoventi giorni, sentite, nel caso di discriminazione posta in essere da un datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, le associazioni locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Se il piano e' considerato idoneo alla rimozione delle discriminazioni, la consigliera o il consigliere di parita' promuove il tentativo di conciliazione ed il relativo verbale, in copia autenticata, acquista forza di titolo esecutivo con decreto del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
2. Con riguardo alle discriminazioni di carattere collettivo di cui al comma 1, le consigliere o i consiglieri di parita', qualora non ritengano di avvalersi della procedura di conciliazione di cui al medesimo comma o in caso di esito negativo della stessa, possono proporre ricorso davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti.
3. Il giudice, nella sentenza che accerta le discriminazioni sulla base del ricorso presentato ai sensi del comma 2, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, ordina all'autore della discriminazione di definire un piano di rimozione delle discriminazioni accertate, sentite, nel caso si tratti di datore di lavoro, le rappresentanze sindacali aziendali ovvero, in loro mancanza, gli organismi locali aderenti alle organizzazioni sindacali di categoria maggiormente rappresentative sul piano nazionale, nonche' la consigliera o il consigliere di parita' regionale competente per territorio o la consigliera o il consigliere nazionale. Nella sentenza il giudice fissa i criteri, anche temporali, da osservarsi ai fini della definizione ed attuazione del piano.
4. Ferma restando l'azione di cui al comma 2, la consigliera o il consigliere regionale e nazionale di parita' possono proporre ricorso in via d'urgenza davanti al tribunale in funzione di giudice del lavoro o al tribunale amministrativo regionale territorialmente competenti. Il giudice adito, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, ove ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, con decreto motivato e immediatamente esecutivo oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore della discriminazione la cessazione del comportamento pregiudizievole e adotta ogni altro provvedimento idoneo a rimuovere gli effetti delle discriminazioni accertate, ivi compreso l'ordine di definizione ed attuazione da parte del responsabile di un piano di rimozione delle medesime. Si applicano in tal caso le disposizioni del comma 3. Contro il decreto e' ammessa, entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti, opposizione avanti alla medesima autorita' giudiziaria territorialmente competente, che decide con sentenza immediatamente esecutiva.
5. L'inottemperanza alla sentenza di cui al comma 3, al decreto di cui al comma 4 o alla sentenza pronunciata nel relativo giudizio di opposizione e' punita con le pene di cui all'artico1o 650 del codice penale e comporta altresi' il pagamento di una somma di 51 euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del provvedimento da versarsi al Fondo di cui all'articolo 18 e la revoca dei benefici di cui all'articolo 41, comma 1.


Nota all'art. 37:
- L'art. 650 del codice penale cosi' recita: «Art. 650 (Inosservanza dei provvedimenti dell'autorita).
Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall'autorita' per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica o d'ordine pubblico o d'igiene, e' punito, se il fatto non costituisce un piu' grave reato, con l'arresto fino a tre mesi o con l'ammenda fino a lire quattrocentomila.


Art. 38.
Provvedimento avverso le discriminazioni(legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 15; legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 13)


1. Qualora vengano posti in essere comportamenti diretti a violare le disposizioni di cui all'articolo 27, commi 1, 2, 3 e 4, e di cui all'articolo 5 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, su ricorso del lavoratore o per sua delega delle organizzazioni sindacali o della consigliera o del consigliere di parita' provinciale o regionale territorialmente competente, il tribunale in funzione di giudice del lavoro del luogo ove e' avvenuto il comportamento denunziato, nei due giorni successivi, convocate le parti e assunte sommarie informazioni, se ritenga sussistente la violazione di cui al ricorso, oltre a provvedere, se richiesto, al risarcimento del danno anche non patrimoniale, nei limiti della prova fornita, ordina all'autore del comportamento denunciato, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo, la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
2. L'efficacia esecutiva del decreto non puo' essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice definisce il giudizio instaurato a norma del comma seguente.
3. Contro il decreto e' ammessa entro quindici giorni dalla comunicazione alle parti opposizione davanti al giudice che decide con sentenza immediatamente esecutiva. Si osservano le disposizioni degli articoli 413 e seguenti del codice di procedura civile.
4. L'inottemperanza al decreto di cui al primo comma o alla sentenza pronunciata nel giudizio di opposizione e' punita ai sensi dell'articolo 650 del codice penale.
5. Ove le violazioni di cui al primo comma riguardino dipendenti pubblici si applicano le norme previste in materia di sospensione dell'atto dall'articolo 21, ultimo comma, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034.
6. Ferma restando l'azione ordinaria, le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano in tutti i casi di azione individuale in giudizio promossa dalla persona che vi abbia interesse o su sua delega da un'organizzazione sindacale o dalla consigliera o dal consigliere provinciale o regionale di parita'.


Note all'art. 38:
- Le disposizioni di cui all'art. 5, comma 2, lettera a) e b) della legge 9 dicembre 1977, n. 903 sono ora contenute nell'art. 53 del testo unico approvato con decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, il cui testo si riporta:
«Art. 53 (Lavoro notturno) (Legge 9 dicembre 1977, n. 903, commi 1 e 2, lettere a) e b)). - 1. E' vietato adibire le donne al lavoro, dalle ore 24 alle ore 6, dall'accertamento dello stato di gravidanza fino al compimento di un anno di eta' del bambino. 2. Non sono obbligati a prestare lavoro notturno:
a) la lavoratrice madre di un figlio di eta' inferiore a tre anni o, in alternativa, il lavoratore padre convivente con la stessa;
b) la lavoratrice o il lavoratore che sia l'unico genitore affidatario di un figlio convivente di eta' inferiore a dodici anni.
3. Ai sensi dell'art. 5, comma 2, lettera c), della legge 9 dicembre 1977, n. 903, non sono altresi' obbligati a prestare lavoro notturno la lavoratrice o il lavoratore che abbia a proprio carico un soggetto disabile ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e successive modificazioni.».
- L'art. 413 del codice di procedura civile e' di seguito riportato:
«Art. 413 (Giudice competente). - Le controversie previste dall'art. 409 sono in primo grado di competenza del tribunale in funzione di giudice del lavoro.
Competente per territorio e' il giudice nella cui circoscrizione e' sorto il rapporto ovvero si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale e' addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.
Tale competenza permane dopo il trasferimento dell'azienda o la cessazione di essa o della sua dipendenza, purche' la domanda sia proposta entro sei mesi dal trasferimento o dalla cessazione.
Competente per territorio per le controversie previste dal numero 3) dell'art. 409 e' il giudice nella cui circoscrizione si trova il domicilio dell'agente, del rappresentante di commercio ovvero del titolare degli altri rapporti di collaborazione di cui al predetto numero 3) dell'art. 409.
Competente per territorio per le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e' il giudice nella cui circoscrizione ha sede l'ufficio al quale il dipendente e' addetto o era addetto al momento della cessazione del rapporto.
Nelle controversie nelle quali e' parte una Amministrazione dello Stato non si applicano le disposizioni dell'art. 6 del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611.
Qualora non trovino applicazione le disposizioni dei commi precedenti, si applicano quelle dell'art. 18.
Sono nulle le clausole derogative della competenza per territorio.».
- Per l'art. 650 del codice penale, si veda la nota all'art. 37.
- La legge 6 dicembre 1971, n. 1034, reca «Istituzione del tribunali amministrativi regionali» ed e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 13 dicembre 1971, n. 314.


Art. 39.
Ricorso in via d'urgenza(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 14)


1. Il mancato espletamento del tentativo di conciliazione previsto dall'articolo 410 del codice di procedura civile non preclude la concessione dei provvedimenti di cui agli articoli 37, comma 4, e 38.


Nota all'art. 39:
- Per l'art. 410 del codice di procedura civile, si
veda la nota all'art. 36.


Art. 40.
Onere della prova(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 6)


1. Quando il ricorrente fornisce elementi di fatto, desunti anche da dati di carattere statistico relativi alle assunzioni, ai regimi retributivi, all'assegnazione di mansioni e qualifiche, ai trasferimenti, alla progressione in carriera ed ai licenziamenti, idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell'esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso, spetta al convenuto l'onere della prova sull'insussistenza della discriminazione.


Art. 41.
Adempimenti amministrativi e sanzioni(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 4, comma 12; legge 9 dicembre 1977, n. 903, articolo 16, comma 1)


1. Ogni accertamento di atti, patti o comportamenti discriminatori ai sensi degli articoli 25 e 26, posti in essere da soggetti ai quali siano stati accordati benefici ai sensi delle vigenti leggi dello Stato, ovvero che abbiano stipulato contratti di appalto attinenti all'esecuzione di opere pubbliche, di servizi o forniture, viene comunicato immediatamente dalla direzione provinciale del lavoro territorialmente competente ai Ministri nelle cui amministrazioni sia stata disposta la concessione del beneficio o dell'appalto. Questi adottano le opportune determinazioni, ivi compresa, se necessario, la revoca del beneficio e, nei casi piu' gravi o nel caso di recidiva, possono decidere l'esclusione del responsabile per un periodo di tempo fino a due anni da qualsiasi ulteriore concessione di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero da qualsiasi appalto.
Tale disposizione si applica anche quando si tratti di agevolazioni finanziarie o creditizie ovvero di appalti concessi da enti pubblici, ai quali la direzione provinciale del lavoro comunica direttamente la discriminazione accertata per l'adozione delle sanzioni previste. Le disposizioni del presente comma non si applicano nel caso sia raggiunta una conciliazione ai sensi degli articoli 36, comma 1, e 37, comma 1.
2. L'inosservanza delle disposizioni contenute negli articoli 27, commi 1, 2 e 3, 28, 29, 30, commi 1, 2, 3 e 4, e' punita con l'ammenda da 103 euro a 516 euro.


Capo IV
Promozione delle pari opportunita'


Art. 42.
Adozione e finalita' delle azioni positive(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, commi 1 e 2)


1. Le azioni positive, consistenti in misure volte alla rimozione degli ostacoli che di fatto impediscono la realizzazione di pari opportunita', nell'ambito della competenza statale, sono dirette a favorire l'occupazione femminile e realizzate l'uguaglianza sostanziale tra uomini e donne nel lavoro.
2. Le azioni positive di cui al comma 1 hanno in particolare lo scopo di:
a) eliminare le disparita' nella formazione scolastica e professionale, nell'accesso al lavoro, nella progressione di carriera, nella vita lavorativa e nei periodi di mobilita';
b) favorire la diversificazione delle scelte professionali delle donne in particolare attraverso l'orientamento scolastico e professionale e gli strumenti della formazione;
c) favorire l'accesso al lavoro autonomo e alla formazione imprenditoriale e la qualificazione professionale delle lavoratrici autonome e delle imprenditrici;
d) superare condizioni, organizzazione e distribuzione del lavoro che provocano effetti diversi, a seconda del sesso, nei confronti dei dipendenti con pregiudizio nella formazione, nell'avanzamento professionale e di carriera ovvero nel trattamento economico e retributivo;
e) promuovere l'inserimento delle donne nelle attivita', nei settori professionali e nei livelli nei quali esse sono sottorappresentate e in particolare nei settori tecnologicamente avanzati ed ai livelli di responsabilita';
f) favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l'equilibrio tra responsabilita' familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilita' tra i due sessi.


Art. 43.
Promozione delle azioni positive(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 1, comma 3)
1. Le azioni positive di cui all'articolo 42 possono essere promosse dal Comitato di cui all'articolo 8 e dalle consigliere e dai consiglieri di parita' di cui all'articolo 12, dai centri per la parita' e le pari opportunita' a livello nazionale, locale e aziendale, comunque denominati, dai datori di lavoro pubblici e privati, dai centri di formazione professionale, delle organizzazioni sindacali nazionali e territoriali, anche su proposta delle rappresentanze sindacali aziendali o degli organismi rappresentativi del personale di cui all'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.


Nota all'art. 43:
- L'art. 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, cosi' reca:
«Art. 42 (Diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro) (Art. 47 del D.Lgs. n. 29 del 1993, come sostituito dall'art. 6 dei D.Lgs. n. 396 del 1997). - 1. Nelle pubbliche amministrazioni la liberta' e l'attivita' sindacale sono tutelate nelle forme previste dalle disposizioni della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Fino a quando non vengano emanate norme di carattere generale sulla rappresentativita' sindacale che sostituiscano o modifichino tali disposizioni, le pubbliche amministrazioni, in attuazione dei criteri di cui all'art. 2, comma 1, lettera b), della legge 23 ottobre 1992, n. 421, osservano le disposizioni seguenti in materia di rappresentativita' delle organizzazioni sindacali ai fini dell'attribuzione dei diritti e delle prerogative sindacali nei luoghi di lavoro e dell'esercizio della contrattazione collettiva.
2. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, le organizzazioni sindacali che, in base ai criteri dell'art. 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, possono costituire rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'art. 19 e seguenti della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni. Ad esse spettano, in proporzione alla rappresentativita', le garanzie previste dagli articoli 23, 24 e 30 della medesima legge n. 300 del 1970, e le migliori condizioni derivanti dai contratti collettivi.
3. In ciascuna amministrazione, ente o struttura amministrativa di cui al comma 8, ad iniziativa anche disgiunta delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2, viene altresi' costituito, con le modalita' di cui ai commi seguenti, un organismo di rappresentanza unitaria del personale mediante elezioni alle quali e' garantita la partecipazione di tutti i lavoratori.
4. Con appositi accordi o contratti collettivi nazionali, tra 1'ARAN e le confederazioni o organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dell'art. 43, sono definite la composizione dell'organismo di rappresentanza unitaria del personale e le specifiche modalita' delle elezioni, prevedendo in ogni caso il voto segreto, il metodo proporzionale e il periodico rinnovo, con esclusione della prorogabilita'. Deve essere garantita la facolta' di presentare liste, oltre alle organizzazioni che, in base ai criteri dell'art. 43, siano ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi, anche ad altre organizzazioni sindacali, purche' siano costituite in associazione con un proprio statuto e purche' abbiano aderito agli accordi o contratti collettivi che disciplinano l'elezione e il funzionamento dell'organismo.
Per la presentazione delle liste, puo' essere richiesto a tutte le organizzazioni sindacali promotrici un numero di firme di dipendenti con diritto al voto non superiore al 3 per cento del totale dei dipendenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative fino a duemila dipendenti, e del 2 per cento in quelle di dimensioni superiori.
5. I medesimi accordi o contratti collettivi possono prevedere che, alle condizioni di cui al comma 8, siano costituite rappresentanze unitarie del personale comuni a piu' amministrazioni o enti di modeste dimensioni ubicati nel medesimo territorio. Essi possono altresi' prevedere che siano costituiti organismi di coordinamento tra le rappresentanze unitarie del personale nelle amministrazioni e enti con pluralita' di sedi o strutture di cui al comma 8.
6. I componenti della rappresentanza unitaria del personale sono equiparati ai dirigenti delle rappresentanze sindacali aziendali ai fini della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, e del presente decreto. Gli accordi o contratti collettivi che regolano l'elezione e il funzionamento dell'organismo, stabiliscono i criteri e le modalita' con cui sono trasferite ai componenti eletti della rappresentanza unitaria del personale le garanzie spettanti alle rappresentanze sindacali aziendali delle organizzazioni sindacali di cui al comma 2 che li abbiano sottoscritti o vi aderiscano.
7. I medesimi accordi possono disciplinare le modalita' con le quali la rappresentanza unitaria del personale esercita in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione riconosciuti alle rappresentanze sindacali aziendali dall'art. 9 o da altre disposizioni della legge e della contrattazione collettiva. Essi possono altresi' prevedere che, ai fini dell'esercizio della contrattazione collettiva integrativa, la rappresentanza unitaria del personale sia integrata da rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatari e del contratto collettivo nazionale del comparto.
8. Salvo che i contratti collettivi non prevedano, in relazione alle caratteristiche del comparto, diversi criteri dimensionali, gli organismi di cui ai commi 2 e 3 del presente articolo possono essere costituiti, alle condizioni previste dai commi precedenti, in ciascuna amministrazione o ente che occupi oltre quindici dipendenti. Nel caso di amministrazioni o enti con pluralita' di sedi o strutture periferiche, possono essere costituiti anche presso le sedi o strutture periferiche che siano considerate livelli decentrati di contrattazione collettiva dai contratti collettivi nazionali.
9. Fermo restando quanto previsto dal comma 2, per la costituzione di rappresentanze sindacali aziendali ai sensi dell'art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni ed integrazioni, la rappresentanza dei dirigenti nelle amministrazioni, enti o strutture amministrative e' disciplinata, in coerenza con la natura delle loro funzioni, agli accordi o contratti collettivi riguardanti la relativa area contrattuale.
10. Alle figure professionali per le quali nel contratto collettivo del comparto sia prevista una disciplina distinta ai sensi dell'art. 40, comma 2, deve essere garantita una adeguata presenza negli organismi di rappresentanza unitaria del personale, anche mediante l'istituzione, tenuto conto della loro incidenza quantitativa e del numero dei componenti dell'organismo, di specifici collegi elettorali.
11. Per quanto riguarda i diritti e le prerogative sindacali delle organizzazioni sindacali delle minoranze linguistiche, nell'ambito della provincia di Bolzano e della regione Valle d'Aosta, si applica quanto previsto dall'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 6 gennaio 1978, n. 58, e dal decreto legislativo 28 dicembre 1989, n. 430.».


Art. 44.
Finanziamento(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 2, commi 1, 2, 4 e 5)


1. A partire dal 1° ottobre ed entro il 30 novembre di ogni anno, i datori di lavoro pubblici e privati, i centri di formazione professionale accreditati, le associazioni, le organizzazioni sindacali nazionali e territoriali possono richiedere al Ministero del lavoro e delle politiche sociali di essere ammessi al rimborso totale o parziale di oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive presentati in base al programma-obiettivo di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c).
2. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Comitato di cui all'articolo 8, ammette i progetti di azioni positive al beneficio di cui al comma 1 e, con lo stesso provvedimento, autorizza le relative spese. L'attuazione dei progetti di cui al comma 1, deve comunque avere inizio entro due mesi dal rilascio dell'autorizzazione.
3. I progetti di azioni concordate dai datori di lavoro con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale hanno precedenza nell'accesso al beneficio di cui al comma 1.
4. L'accesso ai fondi comunitari destinati alla realizzazione di programmi o progetti di azioni positive, ad eccezione di quelli di cui all'articolo 45, e' subordinato al parere del Comitato di cui all'articolo 8.


Art. 45.
Finanziamento delle azioni positive realizzate mediante la formazione professionale(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 3)
1. Al finanziamento dei progetti di formazione finalizzati al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, autorizzati secondo le procedure previste dagli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, ed approvati dal Fondo sociale europeo, e' destinata una quota del Fondo di rotazione istituito dall'articolo 25 della stessa legge, determinata annualmente con deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica.
2. La finalizzazione dei progetti di formazione al perseguimento dell'obiettivo di cui all'articolo 42, comma 1, viene accertata, entro il 31 marzo dell'anno in cui l'iniziativa deve essere attuata, dalla commissione regionale per l'impiego. Scaduto il termine, al predetto accertamento provvede il Comitato di cui all'articolo 8.
3. La quota del Fondo di rotazione di cui al comma 1 e' ripartita tra le regioni in misura proporzionale all'ammontare dei contributi richiesti per i progetti approvati.


Nota all'art. 45:
- Gli articoli 25, 26 e 27 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, recante: «Legge-quadro in materia di formazione professionale», sono di seguito riportati: «Art. 25 (Istituzione di un Fondo di rotazione). – Per favorire l'accesso al Fondo sociale europeo e al Fondo regionale europeo dei progetti realizzati dagli organismi di cui all'articolo precedente, e' istituito, presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, con l'amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio, ai sensi dell'art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041, un Fondo di rotazione.
Per la costituzione del Fondo di rotazione, la cui dotazione e' fissata in lire 100 miliardi, si provvede a carico del bilancio dello Stato con l'istituzione di un apposito capitolo di spesa nello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale per l'anno 1979.
A decorrere dal periodo di paga in corso al 1° gennaio 1979, le aliquote contributive di cui ai numeri da 1) a 5) dell'art. 20 del decreto-legge 2 marzo 1974, n. 30, convertito, con modificazioni, nella legge 16 aprile 1974, n. 114, e modificato dall'art. 11 della legge 3 giugno 1975, n. 160, sono ridotte:
1) dal 4,45 al 4,15 per cento;
2) dal 4,45 al 4,15 per cento;
3) dai 3,05 al 2,75 per cento;
4) dal 4,30 al 4 per cento;
5) dal 6,50 al 6,20 per cento.
Con la stessa decorrenza l'aliquota del contributo integrativo dovuto per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria ai sensi dell'art. 12 della legge 3 giugno 1975, n. 160, e' aumentata in misura pari allo 0,30 per cento delle retribuzioni soggette all'obbligo contributivo.
I due terzi delle maggiori entrate derivanti dall'aumento contributivo di cui al precedente comma affluiscono al Fondo di rotazione. Il versamento delle somme dovute al Fondo e' effettuato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale con periodicita' trimestrale.
La parte di disponibilita' del Fondo di rotazione non utilizzata al termine di ogni biennio, a partire da quello successivo alla data di entrata in vigore della presente legge, rimane acquisita alla gestione per l'assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria.
Alla copertura dell'onere di lire 100 miliardi, derivante dall'applicazione della presente legge nell'esercizio finanziario 1979, si fara' fronte mediante corrispondente riduzione dello stanziamento del capitolo 9001 dello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro per l'anno finanziario anzidetto.
Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.
Le somme di cui ai commi precedenti affluiscono in apposito conto corrente infruttifero aperto presso la tesoreria centrale e denominato «Ministero del lavoro e della previdenza sociale - somme destinate a promuovere l'accesso al Fondo sociale europeo dei progetti realizzati dagli organismi di cui all'art. 8 della decisione del consiglio delle Comunita' europee numero 71/66/CEE del 1° febbraio 1971, modificata dalla decisione n. 77/801/CEE del 20 dicembre 1977.». «Art. 26 (Finanziamento integrativo dei progetti speciali). - Un terzo delle maggiori entrate derivanti dall'aumento contributivo di cui al quarto comma dell'articolo precedente e' versato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale, con periodicita' trimestrale, in un conto corrente aperto presso la tesoreria centrale dello Stato, per la successiva acquisizione all'entrata del bilancio statale e contemporanea iscrizione ad apposito capitolo di spesa dello stato di previsione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, al fine di integrare il finanziamento dei progetti speciali di cui all'art. 36 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616, eseguiti dalle regioni, per ipotesi di rilevante squilibrio locale tra domanda ed offerta di lavoro, nei territori di cui all'art. 1 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1978, n. 218.
La dotazione di cui al comma precedente e' gestita con amministrazione autonoma fuori bilancio ai sensi dell'art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
Il Ministro del tesoro e' autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio.».
«Art. 27 (Erogazione dei finanziamenti). - A seguito dell'approvazione da parte del Fondo sociale europeo dei singoli progetti, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, e' stabilito, anche sotto forma di acconti, il contributo a carico del Fondo di rotazione di cui al precedente art. 25 a favore degli organismi di cui all'art. 24, primo comma.
Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro del tesoro, e' disposta l'erogazione, a favore delle regioni interessate, dei contributi di cui al primo comma dell'art. 26.».


Art. 46.
Rapporto sulla situazione del personale(legge 10 aprile 1991, n. 125, articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4)


1. Le aziende pubbliche e private che occupano oltre cento dipendenti sono tenute a redigere un rapporto almeno ogni due anni sulla situazione del personale maschile e femminile in ognuna delle professioni ed in relazione allo stato di assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli, dei passaggi di categoria o di qualifica, di altri fenomeni di mobilita', dell'intervento della Cassa integrazione guadagni, dei licenziamenti, dei prepensionamenti e pensionamenti, della retribuzione effettivamente corrisposta.
2. Il rapporto di cui al comma 1 e' trasmesso alle rappresentanze sindacali aziendali e alla consigliera e al consigliere regionale di parita'.
3. Il rapporto e' redatto in conformita' alle indicazioni definite nell'ambito delle specificazioni di cui al comma 1 dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto.
4. Qualora, nei termini prescritti, le aziende di cui al comma 1 non trasmettano il rapporto, la Direzione regionale del lavoro, previa segnalazione dei soggetti di cui al comma 2, invita le aziende stesse a provvedere entro sessanta giorni. In caso di inottemperanza si applicano le sanzioni di cui all'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520. Nei casi piu' gravi puo' essere disposta la sospensione per un anno dei benefici contributivi eventualmente goduti dall'azienda.


Nota all'art. 46:
- L'art. 11 del decreto del Presidente della Repubblica 19 marzo 1955, n. 520, e' di seguito riportato:
«Art. 11. - 1. Le inosservanze delle disposizioni legittimamente impartite dagli ispettori nell'esercizio delle loro funzioni sono punite con la sanzione amministrativa da lire duecentomila a lire un milione quando per tali inosservanze non siano previste sanzioni diverse da altre leggi.
2. Si applica la pena dell'arresto fino a un mese o dell'ammenda fino a lire ottocentomila se l'inosservanza riguarda disposizioni impartite dagli ispettori del lavoro in materia di sicurezza o igiene del lavoro.».


Art. 47.
Richieste di rimborso degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di azioni positive(decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 10, comma 1)


1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze e delle pari opportunita' e su indicazione del Comitato di cui all'articolo 8, determina, con apposito decreto, eventuali modifiche nelle modalita' di presentazione delle richieste di cui all'articolo 45, comma 1, nelle procedure di valutazione di verifica e di erogazione, nonche' nei requisiti di onorabilita' che i soggetti richiedenti devono possedere.
2. La mancata attuazione del progetto comporta la decadenza dal beneficio e la restituzione delle somme eventualmente gia' riscosse.
In caso di attuazione parziale, la decadenza opera limitatamente alla parte non attuata, la cui valutazione e' effettuata in base ai criteri determinati dal decreto di cui al comma 1.


Art. 48.
Azioni positive nelle pubbliche amministrazioni (decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, articolo 7, comma 5)


1. Ai sensi degli articoli 1, comma 1, lettera c), 7, comma 1, e 57, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le province, i comuni e gli altri enti pubblici non economici, sentiti gli organismi di rappresentanza previsti dall'articolo 42 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ovvero, in mancanza, le organizzazioni rappresentative nell'ambito del comparto e dell'area di interesse, sentito inoltre, in relazione alla sfera operativa della rispettiva attivita', il Comitato di cui all'articolo 10, e la consigliera o il consigliere nazionale di parita', ovvero il Comitato per le pari opportunita' eventualmente previsto dal contratto collettivo e la consigliera o il consigliere di parita' territorialmente competente, predispongono piani di azioni positive tendenti ad assicurare, nel loro ambito rispettivo, la rimozione degli ostacoli che, di fatto, impediscono la piena realizzazione di pari opportunita' di lavoro e nel lavoro tra uomini e donne. Detti piani, fra l'altro, al fine di promuovere l'inserimento delle donne nei settori e nei livelli professionali nei quali esse sono sottorappresentate, ai sensi dell'articolo 42, comma 2, lettera d), favoriscono il riequilibrio della presenza femminile nelle attivita' e nelle posizioni gerarchiche ove sussiste un divario fra generi non inferiore a due terzi.
A tale scopo, in occasione tanto di assunzioni quanto di promozioni, a fronte di analoga qualificazione e preparazione professionale tra candidati di sesso diverso, l'eventuale scelta del candidato di sesso maschile e' accompagnata da un'esplicita ed adeguata motivazione. I piani di cui al presente articolo hanno durata triennale. In caso di mancato adempimento si applica l'articolo 6, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
2. Resta fermo quanto disposto dall'articolo 57, decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.


Nota all'art. 48:
- Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, reca «Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche» ed e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 9 maggio 2001, n. 106, S.O.


Art. 49.
Azioni positive nel settore radiotelevisivo (legge 6 agosto 1990, n. 223, articolo 11)
1. La concessionaria pubblica e i concessionari privati per la radiodiffusione sonora o televisiva in ambito nazionale, promuovono azioni positive volte ad eliminare condizioni di disparita' tra i due sessi in sede di assunzioni, organizzazione e distribuzione del lavoro, nonche' di assegnazione di posti di responsabilita'.
2. I concessionari di cui al comma 1 redigono, ogni due anni, un rapporto sulla situazione del personale maschile e femminile in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione, della promozione professionale, dei livelli e della remunerazione effettiva da trasmettere alla Commissione per le pari opportunita' fra uomo e donna di cui al libro I, titolo II, capo II.


Art. 50.
Misure a sostegno della flessibilita' di orario


1. Le misure a sostegno della flessibilita' di orario, finalizzate a promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, sono disciplinate dall'articolo 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53.


Nota all'art. 50:
- Si riporta di seguito il testo dell'art. 9 della legge 8 marzo 2000, n. 53, recante «Disposizioni per il sostegno della maternita' e della paternita', per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle citta»:
«Art. 9 (Misure a sostegno della flessibilita' di orario). - 1. Al fine di promuovere e incentivare forme di articolazione della prestazione lavorativa volte a conciliare tempo di vita e di lavoro, nell'ambito del Fondo per l'occupazione di cui all'art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, e' destinata una quota fino a lire 40 miliardi annue a decorrere dall'anno 2000, al fine di erogare contributi, di cui almeno il 50 per cento destinato ad imprese fino a cinquanta dipendenti, in favore di aziende che applichino accordi contrattuali che prevedono azioni positive per la flessibilita', ed in particolare:
a) progetti articolati per consentire alla lavoratrice madre o al lavoratore padre, anche quando uno dei due sia lavoratore autonomo, ovvero quando abbiano in affidamento o in adozione un minore, di usufruire di particolari forme di flessibilita' degli orari e dell'organizzazione del lavoro, tra cui part-time reversibile, telelavoro e lavoro a domicilio, orario flessibile in entrata o in uscita, banca delle ore, flessibilita' sui turni, orario concentrato, con priorita' per i genitori che abbiano bambini fino ad otto anni di eta' o fino a dodici anni, in caso di affidamento o di adozione;
b) programmi di formazione per il reinserimento dei lavoratori dopo il periodo di congedo;
e) progetti che consentano la sostituzione del titolare di impresa o del lavoratore autonomo, che benefici del periodo di astensione obbligatoria o dei congedi parentali, con altro imprenditore o lavoratore autonomo.
2. Con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri per la solidarieta' sociale e per le pari opportunita', sono definiti i criteri e le modalita' per la concessione dei contributi di cui al comma 1.».


Capo V
Tutela e sostegno della maternita' e paternita'


Art. 51.
Tutela e sostegno della maternita' e paternita'


1. La tutela ed il sostegno della maternita' e paternita' e' disciplinata dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151.


Nota all'art. 51:
- Il decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, recante «Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e della paternita', a norma dell'art. 15 della legge 8 marzo 2000, n. 53», e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 aprile 2001, n. 96, S.O.


Titolo II
PARI OPPORTUNITA' NELL'ESERCIZIO DELL'ATTIVITA' D'IMPRESA


Capo I
Azioni positive per l'imprenditoria femminile


Art. 52.
Principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile(legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 1, commi 1 e 2)


1. Il presente capo indica i principi generali volti a promuovere l'uguaglianza sostanziale e le pari opportunita' tra uomini e donne nell'attivita' economica e imprenditoriale, e, in particolare, i principi diretti a:
a) favorire la creazione e lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, anche in forma cooperativa;
b) promuovere la formazione imprenditoriale e qualificare la professionalita' delle donne imprenditrici;
c) agevolare l'accesso al credito per le imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile;
d) favorire la qualificazione imprenditoriale e la gestione delle imprese familiari da parte delle donne;
e) promuovere la presenza delle imprese a conduzione o a prevalente partecipazione femminile nei comparti piu' innovativi dei diversi settori produttivi.


Art. 53.
Principi in materia di beneficiari delle azioni positive (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 2, comma 1)


1. I principi in materia di azioni positive per l'imprenditoria femminile si rivolgono ai seguenti soggetti:
a) le societa' cooperative e le societa' di persone, costituite in misura non inferiore al 60 per cento da donne, le societa' di capitali le cui quote di partecipazione spettino in misura non inferiore ai due terzi a donne e i cui organi di amministrazione siano costituiti per almeno i due terzi da donne, nonche' le imprese individuali gestite da donne, che operino nei settori dell'industria, dell'artigianato, dell'agricoltura, del commercio, del turismo e dei servizi;
b) le imprese, o i loro consorzi, le associazioni, gli enti, le societa' di promozione imprenditoriale anche a capitale misto pubblico e privato, i centri di formazione e gli ordini professionali che promuovono corsi di formazione imprenditoriale o servizi di consulenza e di assistenza tecnica e manageriale riservati per una quota non inferiore al settanta per cento a donne.


Art. 54.
Fondo nazionale per l'imprenditoria femminile (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 3, comma 1)


1. A valere sulle disponibilita' del Fondo, istituito con l'articolo 3, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n. 215, con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero delle attivita' produttive, possono essere concesse ai soggetti indicati all'articolo 53, comma 1, lettera a), nel rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento anche comunitario, le agevolazioni previste dalla disciplina vigente:
a) per impianti ed attrezzature sostenute per l'avvio o per l'acquisto di attivita' commerciali e turistiche o di attivita' nel
settore dell'industria, dell'artigianato, del commercio o dei servizi, nonche' per i progetti aziendali connessi all'introduzione di qualificazione e di innovazione di prodotto, tecnologica od organizzativa;
b) per l'acquisizione di servizi destinati all'aumento della produttivita', all'innovazione organizzativa, al trasferimento delle tecnologie, alla ricerca di nuovi mercati per il collocamento dei prodotti, all'acquisizione di nuove tecniche di produzione, di gestione e di commercializzazione, nonche' per lo sviluppo di sistemi di qualita'.
2. Ai soggetti di cui all'articolo 53, comma 1, lettera b), possono essere concesse agevolazioni per le spese sostenute per le attivita' ivi previste.


Nota all'art. 54:
- L'art. 3 della legge 25 febbraio 1992, n. 215, recante «Azioni positive per l'imprenditoria femminile» e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 7 marzo 1992, n. 56, e' di seguito riportato:
«Art. 3 (Fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile). - 1. E' istituito il Fondo nazionale per lo sviluppo dell'imprenditoria femminile, di seguito denominato «Fondo», con apposito capitolo nello stato di previsione della spesa del Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato. La dotazione finanziaria del Fondo e' stabilita in lire trenta miliardi per il triennio 1992-1994, in ragione di lire dieci miliardi annui.».


Art. 55.
Relazione al Parlamento (legge 25 febbraio 1992, n. 215, articolo 11)


1. Il Ministro delle attivita' produttive verifica lo stato di attuazione dei principi di cui al presente capo, presentando a tale fine una relazione annuale al Parlamento.


Libro IV
PARI OPPORTUNITA' TRA UOMO E DONNA NEI RAPPORTI CIVILI E POLITICI


Titolo I
PARI OPPORTUNITA' NELL'ACCESSO ALLE CARICHE ELETTIVE


Capo I
Elezione dei membri del Parlamento europeo


Art. 56.
Pari opportunita' nell'accesso alla carica di membro del Parlamento europeo (legge 8 aprile 2004, n. 90, articolo 3)


1. Nell'insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia, successive alla data di entrata in vigore della legge 8 aprile 2004, n. 90, nessuno dei due sessi puo' essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati;
ai fini del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede all'arrotondamento all'unita' prossima.
2. Per i movimenti e i partiti politici presentatori di liste che non abbiano rispettato la proporzione di cui al comma 1, l'importo del rimborso per le spese elettorali di cui alla legge 3 giugno 1999, n. 157, e' ridotto, fino ad un massimo della meta', in misura direttamente proporzionale al numero dei candidati in piu' rispetto a quello massimo consentito. Sono, comunque, inammissibili le liste circoscrizionali composte da piu' di un candidato che non prevedono la presenza di candidati di entrambi i sessi.
3. La somma eventualmente derivante dalla riduzione di cui al comma 2 e' erogata ai partiti o gruppi politici organizzati che abbiano avuto proclamata eletta, ai sensi dell'articolo 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, e successive modificazioni, una quota superiore ad un terzo di candidati di entrambi i sessi. Tale somma e' ripartita in misura proporzionale ai voti ottenuti da ciascun partito o gruppo politico organizzato.


Note all'art. 56:
- La legge 8 aprile 2004, n. 90, recante «Norme in materia di elezioni dei membri del Parlamento europeo e altre disposizioni inerenti ad elezioni da svolgersi nell'anno 2004», e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 9 aprile 2004, n. 84.
- La legge 3 giugno 1999, n. 157, recante «Nuove norme in materia di rimborso delle spese per consultazioni elettorali e referendarie e abrogazione delle disposizioni concernenti la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici» e' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 4 giugno 1999, n. 129.
- L'art. 22 della legge 24 gennaio 1979, n. 18, recante «Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia» e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 30 gennaio 1979, n. 29, e' di seguito riportato:
«Art. 22. - L'ufficio elettorale circoscrizionale, ricevute da parte dell'Ufficio elettorale nazionale le comunicazioni di cui al penultimo comma del precedente articolo, proclama eletti i candidati, nei limiti dei seggi ai quali ciascuna lista ha diritto, seguendo la graduatoria prevista al numero 4) dell'art. 20.
Quando in una circoscrizione sia costituito un gruppo di liste con le modalita' indicate nell'art. 12, ai fini della assegnazione dei seggi alle singole liste che compongono il gruppo l'ufficio elettorale circoscrizionale provvede a disporre in un'unica graduatoria, secondo le rispettive cifre individuali, i candidati delle liste collegate. Proclama quindi eletti, nei limiti dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, i candidati che hanno ottenuto le cifre individuali piu' elevate.
Qualora nessuno dei candidati della lista di minoranza linguistica collegata sia compreso nella graduatoria dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, l'ultimo posto spetta a quel candidato di minoranza linguistica che abbia ottenuto la maggior cifra individuale, purche' non inferiore a 50.000.
L'ufficio elettorale circoscrizionale invia, quindi, attestato ai candidati proclamati eletti.».


Art. 57.
Disposizioni abrogate


1. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
a) la legge 9 gennaio 1963, n. 7;
b) l'articolo 1 della legge 9 febbraio 1963, n. 66;
c) gli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 10, 11, 12, 15 e 16, comma 1, della legge 9 dicembre 1977, n. 903;
d) gli articoli 1 e 2 della legge 13 dicembre 1986, n. 874;
e) l'articolo 11 della legge 6 agosto 1990, n. 223;
f) la legge 10 aprile 1991, n. 125, ad eccezione dell'articolo 11;
g) la legge 25 febbraio 1992, n. 215, ad eccezione degli articoli 10, comma 6, 12 e 13;
h) l'articolo 5 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 303;
i) il decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24;
l) il decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, ad eccezione dell'articolo 10, comma 4;
m) il decreto legislativo 31 luglio 2003, n. 226, ad eccezione degli articoli 6, comma 2, e 7, comma 1;
n) l'articolo 3 della legge 8 aprile 2004, n. 90.


Art. 58.
Disposizioni finanziarie


1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e di farlo osservare.


Dato a Roma, addi' 11 aprile 2006
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri
Prestigiacomo, Ministro per le pari opportunita'
Baccini, Ministro per la funzione pubblica
Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali
Berlusconi, Ministro della salute (ad interim)
Scajola, Ministro delle attivita' produttive
Visto, il Guardasigilli: Castelli



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