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Il ritardo nei pagamenti dei pubblici appalti. Interessi legali e moratori
A cura di Lorenzo Fertitta
 

Sommario
1. Cenni introduttivi
2. Gli interessi per il ritardato pagamento degli acconti. Il certificato di pagamento e il mandato di pagamento.
3. Il ritardato pagamento della rata di saldo.
4. Ritardi imputabili all’ente finanziatore.- Clausole di esonero da responsabilità.
5.Modalità di corresponsione degli interessi.
6. L’eccezione di inadempimento e la risoluzione del contratto per inadempimento a seguito del ritardo nel pagamento degli acconti.
7. Il decreto legislativo n. 231/2002.


1. Cenni introduttivi
La procedura di spesa della stazione appaltante per il pagamento dei lavori eseguiti dall’appaltatore si sviluppa, com’è noto, attraverso tre momenti:
1) Il primo è lo stato di avanzamento dei lavori che viene redatto dal direttore dei lavori ricavato dal registro di contabilità;
2) Il certificato di pagamento basato sugli stati di avanzamento presentato dal direttore dei lavori (art. 169 D.P.R. 21/12/1999 n.554)
3) Il mandato di pagamento ( o titolo di spesa)
Il pagamento di una rata di acconto ,che in passato era operato dall’ing. Capo(ex art. 57 Regio Decreto 25 maggio 1895 n. 350) , adesso è disposto dal responsabile del procedimento(art. 169 Reg n 554/99.) sulla base dei certificati che dovranno essere emessi non appena scaduto il termine fissato nel capitolato speciale oppure appena raggiunto l’importo prescritto per ciascuna rata e, in ogni caso, non oltre 45 giorni dal verificarsi del termine o del maturarsi della rata. (art. 29 comma 1 del D.M. 19 aprile 2000 n.145; in precedenza art. 33 del Cap. Gen d’appalto Ministero lavori pubblici n. 1063/’62).
Detti certificati si dovranno basare sullo stato di avanzamento dei lavori che vengono redatti dal direttore dei lavori nel quale sono riassunte tutte le lavorazioni e le somministrazioni eseguite (ricavate dal registro di contabilità) dall’inizio dell’appalto fino ad allora ed al quale è unita una copia degli eventuali elenchi dei nuovi prezzi, indicando l’intervenuta approvazione ai sensi dell’art. 136 del Reg. 554/99 (art. 168 del Reg DPR 21/12/1999 n.554 ).
Nel caso di sospensione dei lavori di durata superiore a 90 giorni, la stazione appaltante dispone comunque il pagamento in acconto degli importi maturati fino alla data di sospensione (art. 114 3° comma del Reg. 554/99)
Sulla base di questi due importantissimi documenti: stato di avanzamento dei lavori e certificato di pagamento della rata, l’organo competente della stazione appaltante emetterà il mandato di pagamento o titolo di spesa L’ipotesi di ritardato pagamento di ciascuna rata di acconto e della rata di saldo è disciplinata, per quanto concerne gli appalti di opere pubbliche dall’art. 26 comma 1 della l. 109/94, dall’ art.116 del Regolamento n.554/99 e in dettaglio dagli articoli 29 , e 30 del Cap. Generale d’Appalto n. 145 del 2000.
L’art. 29 del Cap. Gen. D’Appalto n. 145/2000 contempla l’ipotesi del ritardo nell’emissione del certificato di pagamento della rata di acconto e l’art. 30 del ritardo nell’emissione del titolo di spesa a favore dell’appaltatore.
La disciplina contenuta in detti articoli sostituisce quella dettata dagli articoli 35 e 36 del Cap. Gen. D’Appalto n. 1063 del 16/11/1962 che successivamente fu estesa anche ai pagamenti delle somme per revisione prezzi con la legge 21/12/1974 n.700.
L’art. 26 della legge n.109/94 comma 1° stabilisce che “in caso di ritardo nell’emissione dei certificati di pagamento o dei titoli di spesa relativi agli acconti ,rispetto alle condizioni ed ai termini stabiliti dal capitolato speciale che non devono comunque superare quelli fissati dal capitolato generale, spettano all’esecutore dei lavori gli interessi legali e moratori , questi ultimi nella misura accertata annualmente con decreto del Ministero dei Lavori Pubblici , di concerto con il Ministero del Tesoro,del bilancio e della programmazione economica, ferma restando la sua facoltà ,trascorsi i termini di cui sopra, o nel caso in cui l’ammontare delle rate di acconto , per le quali non sia stato tempestivamente emesso il certificato o il titolo di spesa, raggiunga il quarto dell’importo netto contrattuale, di agire ai sensi dell’art.1460 del codice civile,ovvero, previa costituzione in mora dell’amministrazione e trascorsi 60 giorni dalla data della costituzione stessa, di promuovere il giudizio arbitrale per la dichiarazione di risoluzione del contratto.”


2. Gli interessi per il ritardato pagamento degli acconti
L’art. 116 del Regolamento n. 554/99 dispone al comma 4 che l’importo degli interessi per ritardato pagamento viene computato e corrisposto in occasione del pagamento ,in conto o a saldo, immediatamente successivo a quello eseguito in ritardo senza necessità di apposite domande o iscrizioni di .riserve.
Da ciò deriva::
Se il certificato di pagamento viene emesso entro i 45 giorni dallo stato di avanzamento, l’amministrazione appaltante ha 30 giorni di tempo per disporre il pagamento degli importi dovuti a decorrere dalla data del certificato stesso. Se il pagamento non avviene in questi 30 giorni all’appaltatore spettano gli interessi che saranno nella misura del tasso legale per 60 giorni e cioè dal 31° giorno al 91° giorno (1) e nella misura degli interessi di mora per i giorni successivi..
Se il certificato di pagamento non viene emesso entro i 45 giorni consentiti , gli interessi decorrono dal 46° giorno al 106 ° giorno al tasso legale e oltre il 106° giorno al tasso di mora fino alla data di emissione del certificato di pagamento.
L’interesse di mora sarà pari a quello praticato dalle banche ed istituti di diritto pubblico accertato annualmente con decreto del Ministro dei Lavori Pubblici.(ora Infrastrutture e Trasporti) di concerto con il Ministro del Tesoro , del Bilancio e dell’Economia e Finanze.
Il Decreto Ministeriale 19/3/2003 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n 82 dell’8/4/03) ha determinato che la misura del tasso di mora è pari a 7,375 per il periodo 1 gennaio 2003- 31 dicembre 2003 .
1) Tabella del saggio di interesse legale dal 1942 al 2004
Dal 21.4.1942 – 15.12.1990 5% (art. 1284 cod. civ.)
Dal 16.12 1990 31.12.1996 10% (art. 1 legge.26/11/1990 n.353)
Dal 01.01 1997 31.12.1998 5% (art. 2 comma 185 legge 23/12/1996 n.662)
Dal 01.01 1999 31.12.2000 2,5%( D.M. Tesoro 10/12/’98 in G.U.R.I. 11/12/’98 n.289)
Dal 01.01.2001 31.12.2001 3,5%(D.M Tesoro 11/12/’00 in G.U.R.I. 15/12/’00 n.292)
Dal 01.01.2002 31.12.2003 3%(D.M.Economia 11/12/2001 in GURI.14/12/’01 n290)
Dal 01.01.2004 2,5%(D.M. Economia 1/12/’03 in GURI 10/12/03 N.286)
Qualora il pagamento a favore dell’appaltatore ritardi oltre 30 giorni dalla data del certificato di pagamento (comma 2 dell’art.30 del Cap. Spec. D’Appalto n. 145/2000 ) spettano all’appaltatore gli interessi legali sulle somme dovute dallo spirare del termine suddetto.
Ove tale pagamento ritardi ancora per ulteriori 60 giorni e quindi 90 giorni (30+ 60) dalla data del certificato di pagamento sono dovuti gli interessi moratori.
Riassumendo tre sono le fasi principali che portano al pagamento degli acconti:
1) la prima è l’emissione dello stato di avanzamento dei lavori che il direttore dei lavori ha l’obbligo di redigere non appena raggiunto l’importo per il pagamento come rileva dal registro di contabilità. Suscita non poche perplessità che il termine per l’emissione del certificato di pagamento da parte del responsabile del procedimento sia frutto di una determinazione unilaterale dell’amministrazione appaltante “in relazione alle modalità specificate nel capitolato speciale d’appalto “( art.168 del Reg.) e non predeterminato da alcuna norma A limitare l’autonomia dell’Amministrazione appaltante nella misura del termine , che troppo ampio finirebbe per penalizzare ingiustamente l’impresa, interviene l’art. 155 comma. 3 del Regolamento n. 554/99. , il quale prevede che una volta maturato l’importo per l’acconto secondo le risultanze della contabilità , la direzione dei lavori debba “ rilasciare prontamente”gli stati di avanzamento.
Ne consegue che la stazione appaltante deve stabilire nel capitolato speciale un tempo ragionevolmente breve che di norma non deve superare i 30 giorni , in caso contrario e cioè se nel capitolato speciale fosse indicato un termine più lungo ,senza alcun giustificato motivo , tale termine eccedente è da considerare nullo perché in contrasto con la disposizione cogente dell’art. 155 comma.3 del Reg. , una norma che obbliga le stazioni appaltanti a rilasciare prontamente gli stati di avanzamento.
Un caso certamente anomalo , ma non impossibile a verificarsi si ha quando nel capitolato speciale non è indicato alcun termine ; in tal caso supplisce l’art. 1183 del Codice Civile che “ se non è determinato il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita , il creditore può esigerla immediatamente “ e così l’amministrazione appaltante deve emettere immediatamente lo stato di avanzamento non appena raggiunto l’importo dei lavori prestabilito.
2) La seconda fase è caratterizzata dal fatto che il responsabile del procedimento deve emettere il certificato di pagamento entro 45 giorni dalla data dello stato di avanzamento (art.29 comma.1 Cap Spec Appalto n.145/2000)
3) Il pagamento deve avvenire con l’emissione del mandato (titolo di spesa) entro 30 giorni dalla data del certificato di pagamento (art. 29 del Cap speciale d’appalto n.145/2000, 2° periodo).
Così ad esempio se nel capitolato speciale è previsto che l’emissione dello stato di avanzamento debba avvenire entro 25 giorni , il termine che la stazione appaltante ha per non pagare interessi è di 100 giorni in quanto : 25 giorni è il termine massimo per l’emissione dello stato di avanzamento, 45 giorni per il certificato di pagamento e 30 per il pagamento E’ importante chiarire che i termini su indicati sono termini massimi non consecutivi ed il pagamento deve in ogni caso avvenire entro 30 giorni dall’emissione del certificato di pagamento anche se quest’ultimo sia stato emesso prima del 45° giorno dello stato di avanzamento.
Così ad esempio se uno stato di avanzamento è emesso il 30° giorno e il certificato di pagamento il successivo 15° giorno , la stazione appaltante ha il termine complessivo di 75 giorni per effettuare il pagamento in favore dell’impresa poiche l’ultimo termine di 30 giorni decorre dalla data di effettiva emissione di quest’ultimo e non dalla scadenza del termine per l’emissione del certificato di pagamento che, come detto, è di 45 giorni.
Un’importantissima precisazione in tema di pagamenti , valida sia per il pagamento della rata di acconto che per quella di saldo, è stata operata dalla Corte dei conti (Sez contr. Stato 11/9/’92 n.52) ( 1 ) secondo la quale non va operata confusione fra il momento della liquidazione della spesa con quello successivo (logicamente e cronologicamente ) dell’ordinazione , per cui la stazione appaltante non può esimersi da responsabilità per la circostanza che la liquidazione sia intervenuta tempestivamente, quando in concreto il titolo sia poi rimasto giacente per esigenze di meccanizzazione presso gli uffici della ragioneria.
Analogamente ,secondo la Cass. 2 giugno 1999 n. 5349 (2) per “emissione “ del certificato di pagamento ( o come dicevasi prima : titolo di spesa) non è la mera redazione dello stesso , bensì tale redazione seguita dall’invio del titolo all’organo destinato al pagamento di esso , costituendo tale invio un’attività indispensabile perché il titolo stesso risulti idoneo a produrre l’effetto suo proprio che è quello di pagare l’appaltatore per l’opera prestata.


3. Il ritardato pagamento della rata di saldo
La disciplina degli interessi per ritardato pagamento della rata di saldo è contenuta nell’art 28 comma 9 della 109/94 che stabilisce che il pagamento della rata di saldo , disposto previa garanzia fideissoria, deve essere effettuato non oltre il 90° giorno dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio ovvero dal certificato di regolare esecuzione e non costituisce presunzione di accettazione dell’opera , restando così ferme le eventuali responsabilità dell’appaltatore accertate in sede di collaudo dell’opera (’art. 1666,secondo comma del codice civile).
Questa disposizione trova attuazione nell’art.30 comma 3 del Cap:gen. d’Appalto : “qualora il pagamento della rata di saldo non intervenga nel termine stabilito dall’art.29 del Cap Gen d’Appalto n.145/2000 ( e cioè 90 giorni dall’emissione del certificato di collaudo provvisorio o dal certificato di regolare esecuzione, per causa imputabile alla stazione appaltante), spettano all’appaltatore gli interessi legali sulle somme dovute per 60 giorni ( e cioè dal 91° giorno successivo all’emanazione del certificato fino al 151° giorno) e poi quelli moratori qualora il ritardo superi i 60 giorni dal termine stesso.”
Non può neppure superare i 90 giorni lo svincolo delle fideiussioni prestate a garanzia dell’esatto adempimento delle obbligazioni contrattuali e cioè la cauzione definitiva (art. 101 comma 1 del D.P.R. 554/99 ) nell’importo residuo risultante da quanto previsto dall’art. 30 comma 2 della legge 109/94, nonché la polizza di assicurazione per danni di esecuzione e responsabilità civile verso terzi (art. 103 comma 3 del D.P.R. 554/1999)
Come si vede il pagamento della rata di saldo è condizionata da tutti quegli adempimenti
riguardanti l’effettuazione del collaudo , il cui espletamento è necessario affinché ad opera ultimata possa dirsi che l’appaltatore abbia adempiuto al contratto .
A norma dell’art. 28 comma 1 e 3 e del richiamato art. 192 comma 1 del Reg. n. 554/99 il collaudo provvisorio deve essere concluso entro 6 mesi dall’ultimazione dei lavori , mentre quello di regolare esecuzione , a norma dell’art. 208 del Reg n. 554/99. , deve essere rilasciato nei 3 mesi successivi all’ultimazione dei lavori..
Ma il Capitolato speciale d’appalto n.145/2000 , pur fissando termini perentori non prevede l’ipotesi del ritardo nell’emissione del certificato di collaudo o di regolare esecuzione , nonostante l’infruttuoso decorso di tali termini determini importanti conseguenze ( presa in consegna dell’opera, svincolo della cauzione definitiva, pagamento della rata di saldo) e cagioni danni considerevoli all’impresa appaltatrice.
1) Corte dei conti Sez. Contr. Stato 11/9/ 1992 n.52 (in Consiglio di Stato ’92 II, 1779)
2) Cass. 2 giugno 1999 n. 5349 (in Giust. Civ. Mass. ’99, 1243 )
Infatti , oltre al già esaminato ritardo nella corresponsione della rata di saldo , si avrà a carico dell’appaltatore un ingiustificato protrarsi degli oneri di manutenzione e custodia dell’opera.
In un solo caso l’appaltatore non è penalizzato : quest’ultimo non subirà maggiori premi per il mantenimento delle fideiussioni poiché dette cauzioni si estinguono di diritto , in forza dell’art. 37 comma 1 del Cap. Gen. d’Appalto n145/2000 , alla scadenza del sesto mese dall’ultimazione dei lavori.
In tali casi però l’appaltatore , per eccepire l’estinzione del diritto delle garanzie fideiussorie deve inviare una comunicazione scritta al fideiussore e così interrompere il versamento allo stesso dei premi per effetto dell’avvenuta risoluzione di diritto della fideiussione “Quid iuris “ nel caso in cui il certificato di collaudo o di regolare esecuzione non siano rilasciati nei termini sopra indicati ?
Riteniamo per logica coerenza ed analogia a quanto previsto per la rata di acconto che i 90 giorni di franchigia decorreranno verosimilmente dalla scadenza del termine per emettere o il certificato di collaudo o quello di regolare esecuzione , cosicché da tale scadenza , successivamente per 60 giorni cominceranno a maturare per l’appaltatore gli interessi legali e poi ,dopo tale termine, gli interessi moratori.
L’amministrazione appaltante risponderà del procurato ritardo nell’emissione del certificato di collaudo e dovrà risarcire i danni arrecati all’appaltatore il quale, in ogni caso ,dovrà formulare le relative riserve sul certificato di collaudo allorché gli verrà sottoposto (, ai sensi dell’art. 203 del Regolamento 554/99), per la sua accettazione, rientrando tale colpevole ritardo, a pieno titolo, nelle “operazioni di collaudo” previste dal 1° comma del succitato articolo.
In ogni caso l’appaltatore, decorsi infruttuosamente i termini sopra indicati , è pienamente legittimato ad agire secondo gli ordinari principi civilistici , per la risoluzione del contratto o per la sua esecuzione in aggiunta al risarcimento dei danni, senza la necessità di previa intimazione o diffida in quanto esistono termini perentori imposti dalla normativa vigente.
Un’importante precisazione è d’obbligo per quanto riguarda la garanzia fideiussoria : che, in base all’art. 205 comma 2 del Reg. 554/99 l’appaltatore deve prestare alla stazione appaltante per ottenere il pagamento della rata di saldo. Tale garanzia , che deve essere pari all’importo della rata stessa , maggiorata degli interessi legali per il periodo intercorrente tra il collaudo provvisorio e quello definitivo ( art. 102 comma 3 del Reg. 554/99 ed art. 28 della legge n. 109/94) , dovrà essere prestata dall’appaltatore prima o contestualmente all’emissione del certificato di collaudo provvisorio , in quanto se l’appaltatore lo fa in un momento successivo il termine di franchigia di 90 giorni comincerà a decorrere non dalla data del certificato di collaudo ma dalla data di presentazione della garanzia fideiussoria.
Analogamente se il collaudo non ha luogo nel termine stabilito, l’appaltatore , per avere diritto agli interessi a decorrere dal 91° giorno successivo alla scadenza dei 6 mesi dall’ultimazione, dovrà presentare la garanzia entro la scadenza del sesto mese altrimenti, se presentata dopo, i 90 giorni della franchigia cominceranno a decorrere dal giorno della presentazione della cauzione fideiussoria.
Per quanto riguarda le modalità applicative della disciplina speciale dettata dagli att.29 e 30 Cap gen. d’appalto n.145 /2000 ,( come gli articoli 35 e 36 dell’abrogato DPR 1063/62), dottrina e giurisprudenza concordano sul fatto che si tratta di una norma derogatrice alla disciplina civilistica sull’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie e ciò sia sotto il profilo della misura degli interessi ( fissati con decreto dal Ministro e comprensivi del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 C.C.) sia sotto il profilo della costituzione in mora che l’appaltatore non è tenuto a porre in essere.
Ne consegue che tale normativa non è applicabile nel caso in cui il ritardo in cui incorra la stazione appaltante sia dovuto non già ai tempi fisiologicamente occorrenti per le procedure amministrative di pagamento delle rate e del saldo del prezzo d’appalto , ma a specifiche negligenze nella conduzione delle procedure stesse, il che configura inadempimento colpevole da assoggettarsi ai comuni principi di cui all’art. 1224 Cod. Civ. . Deve quindi trattarsi di inadempimenti sostanziali ed obblighi assunti dalla stazione appaltante per i quali , ove è accertato che siano ad essa addebitabili, è dovuto il risarcimento dei danni secondo le regole ordinarie comprese quelle da svalutazione monetaria.
Pertanto in caso di inadempimento volontario(dolo) o gravemente colposo,tale da compromettere il rapporto sinallagmatico tra le contrapposte prestazioni ,da parte degli organi dell’amministrazione l’obbligo del risarcimento del danno da ritardo è regolato dalle norme comuni ,comprese quelle dipendenti da svalutazione monetaria (art. 1224 e 1282) sull’adempimento delle obbligazioni pecuniarie ma con presunzione di colpa della parte debitrice(stazione appaltante) e con il trasferimento dell’onere della prova del dolo o della colpa grave alla parte creditrice(appaltatore) così in dottrina il Cianflone (1) e in giurisprudenza Cass. 29/11/2000 n.15289 (2) ; Cass. 24/10/1985 n. 5232; (3)Cass. Sez. Unite 23/11/1974 n. 3800 (4) Cass. 19/11/1973 n. 3089 ) (5)
Riteniamo pertanto che la particolare normativa di cui agli articoli 29 e 30 del citato Regolamento n. 554/1999. , contenente limitazione di responsabilità in favore della P.A. riguarda i ritardi nell’adempimento dovuti alle caratteristiche proprie dell’apparato e della organizzazione dell’amministrazione medesima, o comunque alla complessità dei procedimenti attraverso i quali si realizza la sua attività.
In ogni caso non è necessaria nè l’iscrizione della riserva né la costituzione in mora per far valere il relativo diritto alla corresponsione degli interessi per ritardato pagamento e le domande possono essere proposte in qualsiasi momento anche dopo l’ultimazione dei lavori. (Cass. 9/5/1972 n.1355)(6)
Infatti in materia di appalti di opere pubbliche ,l’onere dell’iscrizione nel registro di contabilità , che condiziona la tutelabilità delle pretese dell’appaltatore non accolte dall’amministrazione committente, riguarda esclusivamente le annotazioni e le riserve concernenti le partite di lavoro eseguite e le somministrazioni fatte dall’appaltatore medesimo non anche le diverse pretese estranee alla necessità di documentazione cronologica della fase esecutiva del contratto di appalto. Ne consegue che non devono essere annotate nel predetto registro le questioni concernenti la decorrenza e la commisurazione degli interessi per ritardo nel pagamento degli acconti e/o del saldo Cassazione Sez. I Civile 30 maggio 1997 n.4851 (7)
In conseguenza di quanto suesposto riteniamo che il diritto dell’appaltatore nasca in virtù del mero decorso dei termini stabiliti per i pagamenti e pertanto il ritardato pagamento di quanto dovuto all’appaltatore comporti automaticamente l’obbligo della Pubblica Amministrazione di corrispondere gli interessi non rilevando le cause del ritardo .Cass. 12/7/1983 n.4729 (8)
Pertanto il riconoscimento degli interessi è legato al mero decorso dei termini, prescindendo dalla causa generatrice del ritardo , richiamando il carattere oggettivo della situazione in cui matura il ritardo della stazione appaltante.
1) Cianflone A. “L’appalto di opere pubbliche -XI ed. Giuffrè 2002 pag. 945
2) Cass. 29/11/2000 n. 15289 in Giust. Civ. Mass.,2000, 2458
3) Cass 24/10/1985 n. 5232 in Arch. Giur. OO.PP. ’86 ,I pag. 216
4) Cass. Sez. Unite 23/11/1974 n. 3800 in Arch. Giur. OO.PP. ’75 ,II pag 64
5) Cass. 19/11/1973 n.3089 in Mass. Foro it. 1973 , pag 869
6) (Cass. 9 maggio 1972 n. 1355 (in Riv. Giur. Edil 1972, I, 387 e spec.390) ed anche :
Lodo 24 dicembre 1998 n.113 (in Arch. Giur. OO.PP. 2000, 1359)
Lodo 28 luglio 1998 n.76 (in Arch. Giur. OO.PP. 2000 , 1230)
Lodo 8 aprile 1997 n.37 (in Arch Giur. OO.PP. 1999 , 179 )
7) Cass. Sez. I Civile 30 maggio 1997 n. 4851 ( in Arch. Giur. OO.PP: ’97 ,I pag. 298)
8) Cass. 12 /7/1983 n.4729 in ( Arch. Giur. OO.PP: 1984, , pag. 171)
La mancata riproduzione nell’art 26 del Cap. gen. d’appalto n.145/2000 della frase contenuta nell’art 35 del vecchio Capitolato generale d’appalto n.1063/’62 “ per qualsiasi altro motivo attribuibile all’amministrazione”è un elemento probante che lega la decorrenza degli interessi legali prima e moratori dopo al semplice verificarsi del ritardo senza indugiare sulla eventuale esistenza o meno di colpa del committente.
La specificità degli articoli 29 e 30 del Cap. rispetto alla disciplina del codice civile ha determinato sia in dottrina che in giurisprudenza un’interpretazione restrittiva dei succitati articoli ,affermando che le suddette disposizioni con il meccanismo sanzionatorio ad esse collegato, sono applicabili solo nel caso di ritardo dei pagamento degli acconti e del saldo contrattuale; ma detta specificità fa anche sì che il semplice decorso del tempo sia suscettibile di determinare “ipso facto” un ritardo imputabile a colpa della stazione appaltante , senza che l’appaltatore sia tenuto a provare ,
contrariamente alle ipotesi di dolo o colpa grave, la responsabilità dell’amministrazione debitrice , la quale“ anche senza colpa o colpa altrui è sempre tenuta al pagamento degli interessi all’impresa esecutrice per i lavori pagati in ritardo e debitamente accertati.
Il ritardo nei pagamenti determina una presunzione di colpa in capo alla stazione appaltante in caso contrario la posizione delle imprese risulterebbe fortemente penalizzata in considerazione delle difficoltà normalmente connesse alla necessità di accertare la colpa della Pubblica Amministrazione con la conseguenza che la vera finalità della normativa verrebbe ad essere elusa..
A riprova di quanto sostenuto citiamo due sentenze della Suprema Corte : la prima (Cass.24/10/1988 n. 5755 ) (1) , nell’ipotesi di responsabilità da ritardo , ha ribadito che,a prescindere dal grado di colpa della stazione appaltante “ il ritardo nell’adempimento da parte della P.A. dovuto al mancato esaurimento dei vari stadi cui è assoggettata la spesa, lungi dal liberare la stazione appaltante dalla responsabilità per inadempimento ,costituisce un non equivoco elemento di colpa nel comportamento della stessa che,pur consapevole del tempo necessario per i vari incombenti , non si è curata di iniziare le pratiche e di seguirle diligentemente nel loro iter , così da potere adempiere esattamente alle obbligazioni assunte”. In sostanza il ritardo della stazione appaltante nell’emissione dei certificati di pagamento delle rate di acconto e di saldo è suscettibile di determinare l’aspettativa di un tempestivo soddisfacimento del credito e pertanto il ritardo, risultando privo di giustificazione per il contesto oggettivo in cui si sviluppa , costituisce elemento inequivocabile di colpa nel comportamento della Pubblica Amministrazione.
La seconda sentenza della Cassazione ( Cass.25/7/1986 n.4756)(2) sostiene che, nell’ipotesi in cui il prezzo sia predeterminato e non contestato , verrebbe a crearsi una situazione certa, sicuramente suscettibile di determinare l’aspettativa dell’impresa di un tempestivo soddisfacimento del credito e pertanto il ritardo, risultando privo di giustificazione per il contesto oggettivo in cui si sviluppa, costituisce elemento inequivocabile di colpa nel comportamento della stazione appaltante.
Da quanto esposto emerge chiaramente che in caso di ritardo della stazione appaltante siamo in presenza di un’ipotesi di mora ex re , ossia automatica per il solo fatto del ritardo previsto dalla specifica normativa dei lavori pubblici.
L’art. 30 del CGA prevede che il pagamento degli interessi è dovuto quando il ritardo nel pagamento degli acconti o del saldo dipenda “ da causa imputabile alla stazione appaltante”
La più corretta interpretazione da dare alla questione è che, una volta stabilita ex lege la mora della Pubblica Amministrazione, all’appaltatore incomba soltanto l’onere di dimostrare il puro e semplice ritardo oggettivo nei pagamenti da parte della stazione appaltante , mentre, trovandoci di fronte ad
1) Cass. Civile ,Sez III, 24 ottobre 1988 n.5755 (in Giust. Civile Mass. 1988 fascicolo 10)
2) Cass. Civile ,Sez.I, 25 luglio 1986 n.4756 (in Arch Giur. OO.PP 1986 vol.4° ,1764 e Riv trim appalti 1987, pag.1264 ) una presunzione semplice di imputabilità del ritardo del debitore , è chiaro che tale presunzione può essere smentita solo nel caso della prova , il cui onere grava esclusivamente sul debitore ( e cioè la stazione appaltante) di una impossibilità dell’adempimento.
In pratica è la stazione appaltante se vuole sottrarsi all’obbligo del pagamento degli interessi che deve dimostrare la sua non imputabilità del ritardo, una cosa, per la verità, non sempre facile da dimostrare. Cass. 19 marzo 1991 n.29338 (1)


4. Ritardi imputabili all’ente finanziatore – Clausole di esonero da responsabilità
Un problema molto delicato si presenta quando il ritardo dipende non da negligenza della stazione appaltante , ma da ritardi imputabili all’ente finanziatore nell’accreditamento di una rata del finanziamento concesso.
Sulla questione riteniamo sia irrilevante il ritardo da parte dell’ente finanziatore rispetto al diritto dell’appaltatore ad avere gli interessi per ritardato pagamento, Infatti ,il soggetto appaltante è tenuto ad assolvere ai suoi obblighi contrattuali nei confronti dell’appaltatore a prescindere dalla tempestività degli adempimenti dell’ente finanziatore ricorrendo, nel caso di ritardo di questo ultimo, temporaneamente a proprie risorse finanziarie.
In definitiva si ribadisce l’impossibilità di prendere in considerazione la natura delle cause dei ritardati pagamenti al fine di liberare la singola stazione appaltante dalla relativa responsabilità.
Il ritardo nei pagamenti costituisce sempre e comunque un fatto pregiudizievole per l’appaltatore anche quando sia dipeso da circostanze non imputabili alla singola amministrazione. Essa quindi rimane comunque responsabile nei confronti dell’appaltatore , salvo poi l’eventuale esercizio del diritto di rivalsa nei confronti di chi il ritardo ha effettivamente provocato.
L’ente appaltante con l’affidamento dell’appalto assume l’impegno contrattuale diretto nei riguardi dell’appaltatore,per cui la sussistenza di un suo rapporto di finanziamento con un soggetto terzo non assume alcuna rilevanza nei riguardi dell’appaltatore medesimo che, in ogni caso,ne rimane estraneo Cass Civ. SS.UU. 12/2/1973 n. 410 ; Cass. 13/1/ 1981 n. 269 (2) In ogni caso la Committente è obbligata alla tempestiva erogazione dei corrispettivi,, ne può considerarsi ricondotto a terzi il ritardo derivante da altri organi dell’Amministrazione poiché gli altri , non importa se di amministrazione attiva , consultiva o di controllo , non possono considerarsi soggetti giuridicamente diversi dalla Pubblica Amministrazione ( Lodo 23 /10/1997 n. 89 .) (3)
Da ciò deriva che il committente è il solo responsabile di tutta l’attività inerente alla realizzazione dell’opera e, come tale,unico legittimato nelle controversie istaurate dall’appaltatore. In definitiva l’imputabilità del ritardo nei pagamenti alla stazione appaltante sussiste anche quando il ritardo sia dipeso in tutto o in parte da lungaggini o omissioni del soggetto finanziatore in considerazione del principio che la stazione appaltante ,in quanto l’altra parte del rapporto contrattuale è tenuta a garantirne l’adempimento indipendentemente da comportamenti colpevoli di terzi.
Un problema di particolare interesse è di accertare quale rilevanza giuridica abbiano quelle clausole che di frequente le stazioni appaltanti inserisce nei capitolati speciali , clausole che escludono la maturazione degli interessi a favore dell’appaltatore per effetto di ritardi da parte dell’ente finanziatore negli accrediti all’amministrazione appaltante delle rate di finanziamento.
Riteniamo che clausole del tipo descritto siano nulle in quanto in contrasto con la disciplina speciale dei lavori pubblici avente carattere cogente e pertanto non esplicano alcuna efficacia.
1) Cass. Civile sez.I 19 marzo 1991 n.29338 (in Arch. Giur.OO.PP. 1991 Vol.2 pag 806)
2) Cassazione Civile , sez. I, 13 gennaio 1981 n269 (in Giust. Civ. Mass 1981 , fasc. 1)
3)Lodo 23 ottobre 1997 n. 89 (in Arch Giur. OO.PP: 1999 ,2 vol. pag 1019)
Un’ulteriore conferma ci è data dal LODO 12/5/1998 n. 43 (1) il quale ribadisce inequivocabilmente che l’eventuale clausola, con la quale il concessionario e l’appaltatore abbiano subordinato i pagamenti a favore di questo ultimo all’erogazione dei corrispettivi ratei di concessione da parte dell’Ente concedente , non concreta una clausola di esonero o di limitazione della responsabilità ai sensi dell’art. 1341 2 comma Cod. Civ., bensì il meccanismo fisiologico dei pagamenti corrispettivi , nell’intento di coordinare la duplice procedura erogativa. Tuttavia ,
“nell’ipotesi di ingiustificato inadempimento dell’Ente concedente , il concessionario non può restare inerte e ribaltare ad nutum sull’impresa appaltatrice lo stato di inadempienza originato dal comportamento del concedente,in quanto violerebbe la concreta finalità di detta clausola.”
Giudizio confermato da un altro più recente LODO 3 luglio 2000 (2) il quale ha ribadito che in casi di ritardi di pagamenti , la mancanza di risorse finanziarie per fatto dell’Ente finanziatore non può mai essere evocata come esimente dell’adempimento della relativa obbligazione , nemmeno quando siano state stipulate clausole contrattuali che correlano espressamente i pagamenti verso l’appaltatore ai corrispettivi accrediti in favore dell’Amministrazione committente da parte dell’Ente finanziatore.
Clausole di tal genere esonererebbero di fatto la stazione appaltante da ogni responsabilità , avendo valutato a priori come non imputabile a sé la mancata erogazione dei fondi da parte dell’ente finanziatore ed impedendo così che l’imputabilità del ritardo sia valutata caso per caso , ed in particolare che sia verificata una propria responsabilità nel fatto della mancata erogazione dei fondi.
Al riguardo ,deve evidenziarsi che le modalità e i termini di finanziamento dell’opera sono decisi dall’amministrazione , che è pertanto tenuta a valutarne la compatibilità con il programma di realizzazione dell’intera opera, non avendo l’appaltatore alcun margine di intervento in tale ambito.
In considerazione di ciò può ritenersi che l’operato dell’ente finanziatore, per quanto si tratti di soggetto terzo sia comunque ascrivibile, in senso lato, alla sfera di intervento , e dunque fonte di responsabilità in capo alla stazione appaltante.
E se è vero che siffatte clausole riguardano l’esecuzione dell’opera , volte cioè alla reciproca tutela di posizioni di diritto soggettivo, ma è anche vero che loro finalità essenziale è quella di assicurare certezza e trasparenza ai rapporti tra amministrazione ed appaltatore in vista del perseguimento del pubblico interesse insito nella realizzazione dell’opera.
Su tale presupposto , deroghe contrattuali a norme essenziali volte a garantire certezza di rapporti in vista di un interesse superiore- quali sono quelle concernenti la disciplina degli interessi per ritardato pagamento- sono da ritenere nulle perché lesive di principi ed esigenze inderogabili.
Ciò trova conferma in due disposizioni cogenti:
1) L’art. 1 comma 2 Cap. Gen d’Appalto impone alle amministrazioni appaltanti di richiamare nel contratto le disposizioni del Capitolato Generale ed afferma che “ esse si sostituiscono di diritto alle eventuali clausole difformi di contratto o di capitolato speciale”, manifestando così il loro carattere cogente perché finalizzato ad assicurare trasparenza ed uniformità amministrativa ed evitare situazioni particolari i cui effetti possono risultare confligenti con le finalità legislative perseguite.
2) L’art 26 comma 1 della legge dispone che i termini stabiliti nel capitolato speciale di appalto per i pagamenti “ non devono comunque superare quelli fissati dal capitolato generale”.
1) Lodo 12 maggio 1998 n. 43 in (Arch. Giur. OO.PP. 2000 ,I 248) e inoltre Lodo 15 novembre 1994 n.178 (in Arch. Giur. OO.PP. 1996 II pag. 1122 2) Lodo 3 luglio 2000 (in Arch. Giur. OO.PP. 2001 , I pag 986 )
Dal combinato disposto delle succitate norme , alla luce dei principi generali che ispirano la legislazione speciale sui lavori pubblici, riteniamo che non vi siano dubbi circa il carattere cogente delle norme stesse, con conseguente nullità di clausole contrattuali che vi deroghino.
Alle medesime conclusioni si deve pervenire quando il ritardo di cui trattasi non è causato da fatti omissivi attribuibili alla stazione appaltante bensì dalla perenzione dei fondi stanziati per un’opera pubblica .
In questi casi il ritardo nel pagamento degli acconti non risulta dovuto a ritardi nella contabilizzazione dei lavori, ,essendo stati emessi tempestivamente i certificati di acconto ma alla successiva fase di emissione del titolo di spesa ; in quanto per riutilizzare i fondi dichiarati perenti occorre un complesso iter burocratico che comporta l’avvenuta reiscrizione in bilancio delle somme dichiarate perente agli effetti amministrativi.In proposito occorre far riferimento al parere del Consiglio di Stato n.1578/95 Sez.II del 5 luglio 1995 reso al Ministero dei lavori pubblici su una questione identica ( in Arch. Giur. OO.PP.1995 n.48 pag. 858)
Il Consiglio di Stato , ha escluso che la complessità delle procedure contabili del riaccredito dei fondi caduti in perenzione costituisca di per se causa di esonero di ogni imputabilità per l’eventuale ritardo nei pagamenti da parte della stazione appaltante.
In sostanza , poiché la perenzione amministrativa dei fondi è conseguenza ,per lo più, di una insufficiente programmazione della spesa da parte della P.A. , ciò che rileva ai fini della responsabilità del debitore non è tanto il trascorrere del tempo collegato alla procedura di riaccredito dei fondi, quanto il fatto di avere dato luogo ad una situazione di temporanea impossibilità di spesa per carenza di fondi , a causa di una erronea programmazione di disponibilità di somme di denaro in relazione alle scadenze contrattuali preventivamente pattuite e conosciute da parte della stazione appaltante debitrice.
Viceversa , poiché l’appaltatore è estraneo all’attività di programmazione della Pubblica Amministrazione , secondo il Consiglio di Stato , sarebbe contrario al principio di buona fede nell’esecuzione dei contratti ( art. 1176 cod civ ) opporre la perenzione ad una controparte che continuasse ad eseguire con tempestività le proprie prestazioni.
Il quadro normativo fin qui esaminato mira a garantire in primo luogo il più rapido pagamento di quanto dovuto dalla stazione appaltante e ,anche se al contempo restano garantiti i criteri oggettivi di responsabilità , appare chiara la difficoltà della dimostrazione dell’impossibilità di adempiere da parte della Pubblica Amministrazione. Scopo principale della normativa è tutelare con immediatezza il diritto dell’appaltatore agli interessi ex artt.29 e 30 del Cap.gen.d’appalto n. 145 /2000 per conseguire i quali l’appaltatore è tenuto in giudizio ad offrire soltanto la prova del ritardo della stazione appaltante nei pagamenti degli acconti e della rata di saldo. In caso contrario verrebbero vanificati i tentativi diretti a configurare un sistema di responsabilità contrattuale impostato allo scopo di garantire gli interessi economici delle imprese contro i danni derivanti dalle tradizionali disfunzioni della Pubblica Amministrazione ridimensionando la posizione di privilegio dell’amministrazione e preservando le ragioni di un regolare esercizio dell’attività di impresa.
E’ importante ricordare che gli art.29 e 30 del Cap.Gen. d’Appalto n. 145/2000 rappresentano una disposizione speciale e come tale gli interessi nella misura e con la ricorrenza ricordate sono dovute solo ed esclusivamente nell’ipotesi di ritardo dei pagamenti delle rate di acconto e di saldo dei lavori oltre i termini indicati.
Ne consegue la loro non estendibilità in via analogica ad altre ipotesi ( Consiglio di Stato IV 10/1/1990 n.7 (1) Cons. di Stato 7/7 1988 n.590) (2)quali ad esempio il ritardo nel pagamento dell’anticipazione o il ritardo nel pagamento delle somme riconosciute per riserve ritenute fondate a seguito di accordo bonario o di risoluzione in via amministrativa in sede di approvazione di collaudo ( art.113 comma 1 reg. art. 32 comma 3 CGA)
1) Consiglio di Stato IV Sez, 10 gennaio 1990 n.7 (in Riv.Amm. R.I. 1990 , 432)
2) Consiglio di Stato IV sez. 7 luglio 1988 n.590 (in Foro Amm. 1988, 2021)
In casi del genere il ritardo nei pagamenti è disciplinato dalla comune normativa civilistica.
Pertanto ad esempio nel caso di scioglimento dell’appalto per recesso unilaterale dell’amministrazione committente ai sensi dell’art.122 del Reg. sulle somme dovute all’appaltatore in conseguenza della risoluzione del rapporto spettano gli interessi legali e moratori , nella misura e alle condizioni sopraindicate ,soltanto per le voci che attengono al pagamento delle rate già maturate i lavori eseguiti , mentre sulle altre voci di credito dell’impresa ( ad esempio valore dei materiali esistenti in cantiere nonché il decimo dei lavori non eseguiti) sono dovuti soltanto gli interessi legali ed eventualmente il maggior danno ex art. 1224 comma 2 Cod.Civ. a decorrere dalla costituzione in mora (art. 1219 comma 1 cod. civ.) Cass 25/7/1986 n.4756. (1)


5. Modalità di corresponsione degli interessi
L’art.116 ,4 comma del Regolamento n.554/1999 , stabilisce che, nel caso in cui ad uno stato di avanzamento siano maturati interessi , questi devono essere computati e corrisposti in occasione del pagamento immediatamente successivo a quello eseguito in ritardo, senza necessità per l’appaltatore di formulare alcuna domanda o iscrivere riserva negli atti contabili.
Così se il primo stato di avanzamento viene pagato in ritardo ,comportando degli interessi, questi devono essere corrisposti dalla stazione appaltante in occasione del pagamento del secondo stato di avanzamento.E’ chiaro che il pagamento degli interessi potrà essere contestuale al pagamento ritardato dello stesso stato di avanzamento cui detti interessi si riferiscono.
Per cui se all’atto del pagamento dello stato di avanzamento successivo a quello pagato in ritardo vengono corrisposti all’appaltatore gli interessi legali e moratori inerenti il ritardo dello stato di avanzamento precedente, quest’ultimo si deve ritenere pienamente soddisfatto e non gli compete alcun maggiore ristoro per il ritardo a titolo di maggior danno, non trovando nella fattispecie applicazione l’art. 1224 comma 2 Cod. Civ. : Infatti , ai sensi dell’art.30 comma 4 del nuovo Capitolato Generale la corresponsione degli interessi legali e moratori è comprensiva del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 comma 2 del Codice Civile.
Circa l’applicabilità dell’art. 1224 comma 2 Cod. Civ. anche L’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici con Determinazione n.5/2002 del 27 marzo 2002 , richiamando la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n.9653 del 17/7/2001) (2) esclude tale possibilità, in quanto ritiene che la disciplina degli interessi per ritardato pagamento, prevista dalla normativa sui lavori pubblici , copra ogni ipotesi di danno e che pertanto l’appaltatore non possa rivendicare alcuna pretesa risarcitoria ex art. 1224 comma 2. cod. civ.
Ma quali rimedi possiede l’appaltatore se contestualmente al pagamento dello stato di avanzamento successivo a quello effettuato in ritardo non siano pagati gli interessi precedentemente maturati, ?
In tal caso, in base alla già citata sentenza della Corte di Cassazione Sezione Unite ( 17/7/2001 n. 9653) gli interessi maturati all’atto dello stato di avanzamento pagato in ritardo e non corrisposti all’appaltatore restano soggetti alla regola dell’anatocismo di cui all’art. 1283 Cod. Civ. . Ne consegue che in tal caso l’appaltatore ha diritto agli interessi sugli interessi scaduti e non pagati, soltanto dal giorno della domanda giudiziale in base all’articolo 1283 cod. civ. e sempre che si tratti di interessi dovuti per almeno 6 mesi.
1) Cass. Civ. 25 luglio 1986 n.4756 (in Arch. Giur. OO.PP. IV, pag 1764)
2) Cassazione Sez. Unite 17/7/2001 n. 9653 (in Giust. Amm. 2001, 1053)
L’appaltatore che intende far valere tale diritto deve perciò proporre domanda giudiziale in corso d’opera per il pagamento degli interessi scaduti e degli ulteriori interessi maturati sui primi. In tal caso , trovando piena applicazione la disciplina civilistica in luogo di quella speciale di cui agli artt.
29 e 30 del Cap. Gen. D’Appalto , l’appaltatore in sede giudiziale può richiedere sempre a far data dalla domanda giudiziale, anche il maggior danno ex art. 1224 comma 2 cod. civ. ove sia in grado di provare di aver subito un pregiudizio maggiore di quello ristorato con gli interessi legali.
La necessità di dovere proporre in corso d’opera l’azione giudiziale può agevolmente essere evitata dall’appaltatore avvalendosi della disposizione di cui all’art.1194 cod. civ. che consente all’appaltatore di imputare il pagamento prima agli interessi e poi al capitale.
Infatti , a norma dell’art. 1194 del Codice Civile, la stazione appaltante debitrice non può imputare il pagamento al capitale piuttosto che agli interessi e alle spese senza il consenso del creditore appaltatore.
con la conseguenza che sulla parte di capitale residuo continueranno a maturare interessi.
Nessun dubbio che tale rimedio possa essere applicato anche nei casi di ritardato pagamento da parte della stazione appaltante. Ciò , peraltro , è perfettamente coerente con l’indirizzo interpretativo seguito, già da tempo, dalla giurisprudenza , come si evince dalla sentenza del Consiglio di Stato sez IV, 10 luglio 1986 n. 493 (1) nella quale si dispone che “ Le disposizioni contenute nell’art. 1194 c.c., secondo le quali il pagamento parziale dell’obbligazione pecuniaria deve essere imputato prima agli interessi e poi al capitale , si applicano anche ai debiti della pubblica amministrazione”.
L’Autorità per la Vigilanza sui lavori pubblici ,con la Determinazione n. 5 del 27/8/2002 ha chiarito che l’appaltatore all’atto del pagamento di uno stato di avanzamento successivo a quello precedentemente pagato in ritardo , qualora in tale occasione non gli siano corrisposti gli interessi,
può imputare parte dell’importo dello stato di avanzamento agli interessi sicchè lo stato di avanzamento stesso risulterà solo parzialmente adempiuto. Sulla parte dello stato di avanzamento non adempiuto decorreranno di conseguenza automaticamente gli interessi legali e moratori di cui agli artt 29 e 30 del Capitolato Generale.
Si raccomanda, per dar luogo agli effetti ora citati , di inviare successivamente al pagamento dello stato di avanzamento precedente una lettera alla stazione appaltante nella quale si specifichi che parte di quel pagamento copre, ai sensi dell’art. 1194 cod. civ., gli interessi maturati sullo stato di avanzamento precedente..Sulla parte di avanzamento non coperta dal pagamento decorrono gli interessi di cui ai predetti artt. 29 e 30.del Capitolato generale n.145/2000
In altri termini il pagamento va a soddisfare in primo luogo gli interessi maturati a seguito del ritardo del precedente pagamento in acconto ( che a norma dell’art.116 DPR 554/99 sono corrisposti in occasione del pagamento immediatamente successivo); mentre la quota restante va a soddisfare parzialmente il credito maturato per i lavori eseguiti, con la conseguenza che la quota di credito per lavori rimasta insoddisfatta produce a sua volta interessi ai sensi della disciplina vigente.
Il credito riguardante gli interessi maturati per il ritardo nel pagamento dello stato di avanzamento precedente diventa così liquido ed esigibile soltanto quando matura lo stato di avanzamento successivo e soltanto da allora gli interessi potranno produrre altri interessi In conclusione se il pagamento degli interessi non avviene neppure in occasione dello stato di avanzamento successivo è da quest’ultima data che sugli interessi maturati relativamente allo stato di avanzamento precedente pagato in ritardo ( essendo essi divenuti capitale a seguito del fatto che il pagamento è stato imputato prima agli interessi e poi al capitale) decorreranno ipso iure gli interessi legali , nonché la possibilità per l’appaltatore di pretendere,previa dimostrazione , l’eventuale maggior danno da lui subito ex art.1224 comma 2 Cod. Civ.
1) Consiglio di Stato sez. IV 10 luglio 1986 n. 493 ( in Foro Amm. 1986, 1293 )


6. L’eccezione di inadempimento e la risoluzione del contratto per inadempimento a seguito nel ritardo dei pagamenti
In aggiunta al diritto agli interessi per ritardato pagamento degli acconti l’art. 26 della l. 109/94 riconosce all’appaltatore la possibilità di sospendere i lavori avvalendosi dell’eccezione di inadempimento di cui all’art.1460 cod. civ. secondo la previsione dell’art. 26 comma 1 legge 109/94.
Occorre in proposito precisare , onde evitare alle imprese esecutrici decisione spesso affrettate o peggio avventate, che il 2° comma dell’art. 1460 c.c. esclude la possibilità di rifiutare la propria prestazione e sospendere l’esecuzione dei lavori qualora le motivazioni che sorreggono il rifiuto siano contrarie alla buona fede.
Al riguardo la giurisprudenza ( Cass. 21/2/1986 n.1048) (1) ha costantemente interpretato tale disposizione nel senso che la possibilità di rifiutare l’esecuzione non sussiste quando l’inadempimento dell’altro contraente non sia grave.
In buona sostanza perché l’appaltatore possa legittimamente sospendere i lavori è necessario che l’inadempimento della stazione appaltante abbia i caratteri distintivi della gravità.
Ai fini di una corretta applicazione dell’art.1460 del Cod. Civ. occorre procedere alla valutazione comparativa del comportamento dei contraenti con riferimento non solo all’elemento cronologico , ma altresì ai rapporti di causalità e di proporzionalità delle stesse rispetto alla funzione economica –sociale del contratto , in modo da stabilire se effettivamente il comportamento di una parte giustifichi il rifiuto dell’altra di eseguire la prestazione dovuta,tenuto presente il principio che, quando l’inadempimento di una parte non sia grave , il rifiuto dell’altra non è di buona fede e quindi non è giustificato LODO 22 DICEMBRE 2000 (2)
Ciò significa che la facoltà di sospendere i lavori, ai sensi dell’art.1460 cod.civ. sussiste soltanto nei casi in cui l’importo degli stati di avanzamento non tempestivamente corrisposti e dei relativi interessi maturati abbia un peso economico oggettivamente rilevante e significativo nell’economia dell’intero appalto anche in rapporto alle difficoltà che tale circostanza può determinare nella gestione dei lavori.
Ora da una attenta lettura dell’art. 26 della legge 109/94 si rileva che mentre il carattere di gravità sussiste quando i ritardi nei pagamenti di acconti nel loro complesso superino di un quarto l’importo netto contrattuale , non è detto che sussista nel ritardo del pagamento di una singola rata di acconto.
Infatti , mentre nel primo caso la gravità dell’inadempimento è in “ re ipsa “e l’appaltatore può senza indugi opporre l’eccezione di inadempimento e così sospendere i lavori senza dover procedere ad alcuna valutazione circa la gravità dell’inadempimento da parte dell’amministrazione appaltante.
Nel secondo caso detta gravità va verificata di volta in volta tenendo conto di tutte le circostanze del caso e perciò l’eccezione di inadempimento non è esercitatile automaticamente al semplice verificarsi del ritardo nel pagamento di un acconto, ma soltanto quando l’inadempimento della stazione appaltante o per il protrarsi oltre ragionevole misura del ritardo o per l’entità della rata di acconto assuma quel carattere di gravità richiesto dall’art. 1460 cod. civ. Ad esempio , il ritardato pagamento di una ritenuta di acconto di 50 mila euro in un appalto di 5 milioni di euro non assume quel carattere di gravità richiesto per la legittima attuazione dell’eccezione di inadempimento, mentre sicuramente riveste il richiesto carattere di gravità se tale rata è sempre di 50 mila euro ma di un appalto di 1 milione di euro poiché tale rata costituisce indubbiamente una quota consistente del corrispettivo contrattuale.
La valutazione sull’oggettiva gravità dell’inadempimento da parte della pubblica amministrazione , che legittima o meno l’eccezione opposta dall’appaltatore è rimessa al giudice civile che dovrà anche accertare se il comportamento dell’appaltatore è improntato o meno alla buona fede.
1)Cassazione Civile ,sez. II, 21 febbraio 1986 n.1048 8in Giust. Civ Mass. 1986, fasc. 2)
2)Lodo 22 dicembre 2000 (in Arch. Giur. OO.PP: 2001 pag. 1074 )
Non appena l’appaltatore è in condizione di opporre legittimamente l’eccezione di inadempimento egli può, comunicandolo per iscritto alla stazione appaltante, sospendere l’esecuzione dei lavori fino a quando quest’ultima non paga gli acconti non corrisposti. In questi casi l’appaltatore è esonerato da ogni responsabilità per l’eventuale ritardo nell’ultimazione dell’opera ed ha diritto ad una proroga temporale corrispondente al periodo di tempo durante il quale sono stati sospesi i lavori per l’eccezione di inadempimento.
L’appaltatore per ottenere , oltre agli interessi maturati anche il risarcimento del maggior danno ai sensi del 1224 c.c, dovuto al fermo del cantiere, dovrà scrivere riserva nel registro di contabilità all’atto della firma di questo immediatamente dopo la ripresa dei lavori.
In questo caso il maggior danno ex 1224 , prodotto dall’eccezione di inadempimento , spetta all’appaltatore in quanto la limitazione posta dall’art. 30 comma 4° si riferisce soltanto al maggior danno derivante dal ritardato pagamento degli acconti e non anche dai danni prodotti a seguito dell’eccezione di inadempimento legittimamente attuata.dall’imprenditore .
Analoghe considerazioni valgono per l’altro rimedio concesso all’appaltatore dall’art. 26 della l. 109/94 consistente nel diritto di agire per la risoluzione del contratto per inadempimento della pubblica amministrazione.
Condizioni di procedibilità dell’azione giudiziale è la preventiva costituzione in mora
dell’amministrazione ( l’intimazione scritta dell’appaltatore a provvedere al pagamento) e l’inutile decorso di 60 giorni dalla notifica durante i quali la pubblica amministrazione può evitare la risoluzione del contratto attraverso un adempimento tardivo.
La competenza è sempre del giudice ordinario vertendosi in tema di diritti soggettivi.
Riteniamo infine che l’appaltatore abbia anche titolo ad agire in giudizio in corso d’opera per il pagamento di quanto dovutogli con l’azione ordinaria o con il ricorso per decreto ingiuntivo.


7. Il Decreto Legislativo 231/2002
Prima di concludere un breve accenno va fatto circa le implicazioni civilistiche della disciplina introdotta nel nostro ordinamento dal Decreto Legislativo 9/10/2002 n.231 (G.U.R.I.) n.249 del 23/10/2002 concernente “l’attuazione della Direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali” e se da tali procedure siano o meno esclusi i lavori pubblici. Il succitato decreto ha introdotto dal 7/11/2002 un meccanismo di decorrenza automatica degli interessi moratori senza la necessità di costituzione in mora del debitore e ,superando in questo modo il disposto del 1219 del Cod. Civ., ha fissato i seguenti termini:
1) dal giorno successivo alla scadenza del termine di pagamento , se quest’ultimo è stabilito contrattualmente;
2) decorsi 30 giorni dalla data di ricevimento della fattura da parte del debitore o una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
3) decorsi 30 giorni dalla data di ricevimento delle merci o dalla data di presentazione dei servizi,
quando :
a) non è certa la data di ricevimento della fattura o della richiesta equivalente di pagamento b) la data in cui il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento è anteriore a quella del ricevimento delle merci o della prestazione dei servizi
4) decorsi 30 giorni dalla data dell’accettazione o della verifica eventualmente previste dalla legge o dal contratto ai fini dell’accertamento della conformità della merce o dei servizi alle previsioni contrattuali ,qualora il debitore riceve la fattura o la richiesta equivalente di pagamento in epoca non successiva a tale data.
L’art 5 del D. Lgs 231/2002 fissa il tasso degli interessi pari a quello della Banca Centrale Europea nelle operazioni di rifinanziamento maggiorato di 7 punti percentuali.
Le stesse disposizioni legislative di cui al suddetto D. Lgs 231/2002 ammettono comunque che le parti contraenti possano derogare alle regole stabilite in particolare per quel che riguarda :
il termine di pagamento (art.4 del D. lgs 231/02) le conseguenze in caso di mancato pagamento (art.7 del D.lgs 231/2002) la necessità della formale costituzione in mora del debitore (art 7 D. lgs 231/02) la misura del tasso di interesse applicato (art. 5 D. lgs 231/02) fatta salva la possibilità di nullità del contratto , se questo risulta gravemente iniquo a danno del creditore , secondo la corretta prassi commerciale , la natura della merce o dei servizi oggetto del contratto e le condizioni stabilite dalle parti.
Si ricorda che il Decreto non obbliga le parti a redigere il contratto in forma scritta , ma sembrerebbe opportuno , proprio in ragione dell’eventualità di inserire clausole in deroga alla normativa generale, formalizzare per iscritto tali accordi , ai fini probatori in caso di controversia.
La questione se i contratti di appalto di lavori rientrino o meno nell’ambito dell’applicazione della disciplina è stata in primo luogo affrontata dall’Autorità per la Vigilanza sui Lavori Pubblici che, con determinazione n. 5 del 27 marzo 2002 si è pronunciata sul tema, sostenendo l’inapplicabilità della Direttiva 2000/35/CE alla materia dei lavori ,in virtù del fatto che la suddetta normativa europea limita l’àmbito applicativo ai soli contratti fra imprese e fra imprese e pubblica amministrazione che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi contro pagamento di un prezzo.
Ma la dottrina più avveduta ( Titomanlio Il sole Ore Edilizia e Territorio Ediz.. n.47 del
2/12/2002) dopo un attenta esamina delle tesi con le quali viene giustificata l’esclusione conclude che questa non applicazione sembra risalire più ad una scelta del legislatore nazionale che alla decisione comunitaria.
La tesi negativa fa leva su 3 argomenti:
1) l’appalto dei lavori non è né fornitura di merci né prestazione di servizi
2) esiste una disciplina legislativo regolamentare (art.26 della l.109/94 ed articolo 30 del Dm 145/2000) completa 3) nelle premesse del decreto si fa riferimento alle direttive Forniture, alle direttive Servizi, alle direttive Settori esclusi ma non alla direttiva 93/37Cee.
Senonchè , quello che sembra essere l’argomento più forte e cioè la mancata menzione della direttiva Lavori, si rileva come il più fragile , perché nella direttiva 2000/35/Ce da cui scaturisce il D. lgs 231 è contenuto un preciso riferimento sia alla direttiva Lavori (93/37/Cee) sia alla direttiva settori esclusi , che abbraccia anche i lavori. Per non parlare del richiamo al libro Verde intitolato “ Gli appalti pubblici nell’Unione Europea.”
Quanto agli altri due argomenti , la loro validità è relativa perché “ prestatore di servizi”è una espressione economica che nei trattati internazionali , abbraccia anche i lavori.
Quanto all’esistenza nel nostro ordinamento di una disciplina compiuta sui ritardati pagamenti , si tratta di un argomento che dice poco , perché l’art. 4 sembra legare tutto il sistema o all’accordo delle parti o alle disposizioni dello stesso decreto 231, con l’esclusione di normative diverse Ebbene , il regime di pagamento degli interessi nei lavori pubblici discende non dall’accordo delle parti , ma dal capitolato generale che ha valore regolamentare . Si tratterebbe tutt’al più di stabilire se la disciplina regolamentare sia più favorevole per l’impresa. Ebbene la distanza temporale, è di 45 giorni (art. 30 Dm 145/2000). Se però si considera che per la decorrenza degli interessi moratori occorrono altri 60 giorni , la divaricazione è molto maggiore.
Si comprende così che la non applicazione del D. lgs 231/2002 al settore dei lavori pubblici ,
sembra risalire più ad una scelta del nostro legislatore che alla decisione comunitaria.
Si è dunque di fronte ad un caso di non completo allineamento ad una direttiva che, per essere dettagliata, è vincolante di per sé , e sulle confligenti norme interne.
Ammesso che i lavori pubblici intesi come rapporto Pubblica amministrazione – appaltatori siano esclusi dal raggio d’azione del decreto 231/2002 , vi sarebbero ricompresi i rapporti degli appaltatori con i loro fornitori, progettisti e simili.
Se il regime giuridico della materia deve essere il medesimo per tutti , non si capisce la ragione per la quale l’appaltatore o il concessionario non possa usufruire di questa nuova norma che, invece, può essere invocata dal suo fornitore o progettista.
Sono aspetti che il legislatore farebbe bene a prendere in considerazione prima che si scateni una guerra a base di carta bollata fra tutti i protagonisti della realizzazione dei lavori pubblici. Soprattutto ,bisogna chiarire il motivo per il quale il legislatore nazionale lascia alle parti di aggiungere i 7 punti di maggiorazione nelle ipotesi normali e provveda invece direttamente ad indicarli quando si tratta della fornitura di merci deperibili, con incremento anche di due punti percentuali, per non dire delle subforniture per le quali è prevista un’ulteriore del 5%.
Anche l’Assonime,(Associazione fra le Società italiane per azioni) nella Circolare n.15/2003 ricorda che il testo della Direttiva 2000/35/CE porta a ritenere non convincente la tesi dell’esclusione degli appalti di lavori dal suo ambito di applicazione.Si ricorda infatti che la raccomandazione della Commissione Europea del 1995, riguardante i termini di pagamento nelle transazioni commerciali, si occupava espressamente di appalti pubblici , ivi compresi gli appalti di lavori pubblici.
Con l’emanazione della Direttiva in esame , il legislatore europeo non ha poi abbandonato l’impostazione diretta a comprendere nel suo ambito di applicazione tutti gli appalti pubblici . La definizione di transazione commerciale contenuta nella Direttiva (incentrata sui contratti che comportano la consegna di merci o la prestazione di servizi ) appare infatti funzionale a ricomprendere il più ampio novero di tipologie contrattuali e non invece ad escludere categorie di contratti quali appalti di lavori o, utilizzando la nozione del codice civile , gli appalti di opere.
Per altro verso , nella stessa Direttiva non sembra esservi alcuna indicazione che porti ad escludere , dai contratti tra imprese e pubblica amministrazione rientranti nel suo ambito di applicazione , i contratti di appalto di lavori pubblici.
Sulla base di queste osservazioni . emergono pertanto, ad avviso dell’Assonime alcune perplessità sulla effettiva possibilità che il D. Lgs. 231/2002 non si applichi anche ai contratti tra imprese aventi ad oggetto il compimento di un’attività di rielaborazione e trasformazione dei materiali al fine di produrre un nuovo bene ovvero di modificare sostanzialmente un bene preesistente.
Sulla questione , l’Assonime , inoltre, pur sottolineando che non solo la relazione allo schema di Decreto Legislativo ma lo stesso Decreto, nel suo preambolo , richiama la disciplina in materia di appalti pubblici ad eccezione proprio di quella in materia di lavori pubblici, ritiene che tale esplicita esclusione non risulti pienamente sufficiente a derogare alla nuova disciplina proprio in tema di lavori pubblici. Quindi, sollecita un rapido quanto necessario intervento da parte del Legislatore che, con un ulteriore pronunciamento normativo , dia piena luce alla materia . Tale intervento appare di particolare urgenza , proprio per evitare l’avvio di una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia.
LORENZO FERTITTA



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