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La rescissione contrattuale
A cura della Redazione
 

1. La nozione di rescissione
I vizi che possono affliggere un contratto sono diversi e danno luogo a conseguenze differenti. Quelli più gravi comportano, a parte l’inesistenza – figura riconosciuta qualora manchi in radice un atto socialmente valutabile come contratto – la nullità del negozio, determinata, in linea di massima, dalla mancanza di volontà di una delle parti contrattuali, oggetto di violenza fisica, ovvero dalla mancanza o illiceità o impossibilità di uno dei requisiti essenziali del negozio o dalla illiceità del motivo comune alle parti.
Sul “gradino” immediatamente inferiore si pongono i vizi che determinano l’annullabilità, consistenti nella violenza morale, nel dolo a danno di una parte contrattuale o nell’errore in cui questa sia caduta nel momento della formazione o dell’esternazione della volontà negoziale.
A differenza della nullità, che opera ipso iure, è rilevabile d’ufficio ed in relazione alla quale la pronuncia giudiziale ha valore di mero accertamento, l’annullamento deve essere dichiarato dal giudice; da ciò discende non solo che, fino a tale momento, il contratto continua a produrre – seppure in via potenzialmente precaria – i propri effetti , ma altresì che, se tale pronuncia non interviene a seguito di tempestiva azione da parte del soggetto nel cui interesse è prevista, il vizio non è più rilevabile in via diretta, rimanendo peraltro eccepibile qualora il soggetto sia evocato in giudizio al fine di ottenere l’esecuzione del contratto.
Altri vizi, ancora, danno luogo ad una conseguenza simile all’annullamento, ma caratterizzata da elementi suoi propri: la rescissione, posta a tutela della parte negoziale che contragga a condizioni inique a cagione della presenza di un proprio particolare “stato personale”.
Anche in questo caso, come nell’annullamento, si ha una perturbazione – ma non l’assenza - della volontà di una delle parti contrattuali, con conseguente vulnus originario del sinallagma contrattuale, il quale, proprio a cagione ciò, è anormalmente squilibrato a favore di una parte.
I casi di rescissione previsti dal codice sono due, e, di questi, il secondo altro non è se non una specificazione del primo:
il contratto concluso in stato di bisogno;
il contratto concluso in stato di pericolo.


2. La figura generale di rescissione: il contratto concluso in stato di bisogno.
La figura generale di negozio rescindibile è quella disciplinata dall’art. 1448 c.c., ossia il contratto concluso a condizioni inique a cagione dello stato di bisogno in cui versa una parte e della quale l’altra abbia tratto vantaggio.
La figura risponde perfettamente alla definizione sopra data e chiarisce il modo in cui l’ordinamento reagisce a tutela di coloro i quali, a causa della presenza di situazioni particolari, vedono la loro volontà sostanzialmente coartata a contrarre a condizioni inique (1)La parte, dunque, ha una reale volontà di stipulare, anche se, proprio a cagione dello stato di bisogno in cui è venuta a trovarsi, accetta condizioni assolutamente svantaggiose (in sostanza, il contratto è voluto nell’an ma non nel quomodo) (2)Il fatto che un soggetto contratti a condizioni estremamente svantaggiose, pertanto, non è di per sé stesso indicativo della presenza di una anomalia genetica del negozio né tantomeno causa di rescissione del medesimo: lo svantaggio, infatti, potrebbe essere conseguenza di un preciso disegno– come nel caso in cui contragga a condizioni deteriori al fine di ottenere un breve tempo un buon giro di clientela – ovvero dovuto ad imperizia commerciale.
Di fronte a queste situazioni, l’ordinamento giuridico, correttamente, non appronta alcun rimedio, il quale costituirebbe peraltro una grave menomazione dell’autonomia negoziale riconosciuta dall’art. 1322 c. 1 c.c..
Perché il contratto sia viziato occorre quindi un quid pluris rispetto al mero svantaggio (3).In particolare, secondo l’art. 1448 c.c. è necessario il contemporaneo4 verificarsi dei seguenti presupposti:
il contratto deve essere a prestazioni corrispettive (sinallagmatico) e commutativo.
La rescissione è un istituto posto a tutela della parte “debole” che, per ragioni particolari, si trovi a contrattare a condizioni deteriori e, pertanto, non è applicabile né agli atti né ai negozi giuridici giuridici unilaterali (5).Costituisce eccezione a tale regola la donazione, per la quale l’applicabilità dell’istituto de quo è espressamente prevista dall’art. 1448 c. 5 c.c..
Per quanto riguarda i contratti con obbligazioni del solo proponente, la dottrina è ondivaga, anche se propende per l’innapplicabilità della disciplina di cui si tratta(6).Dalle brevi osservazioni sopra operate potrebbe dirsi che la rescissione sia un rimedio applicabile ai soli contratti a prestazioni corrispettive (ossia sinallagmatici). Una simil conclusione è solo in parte corretta: ferma restando, infatti, l’inapplicabilità ex lege dell’istituto ai contratti aleatori (ex art. 1448 c. 4 c.c.) ed alle transazioni (ex art. 1970 c.c.), oltre alla sinallagmaticità è richiesta anche la commutatività delle prestazioni oggetto del negozio, ossia la loro oggettiva equivalenza economica7;
deve esservi una sproporzione fra la prestazione di una parte e quella dell’altra.
La necessità che il contratto sia commutativo, comporta che la rescissione sia ammissibile nel solo caso in cui, già nel momento della nascita del vincolo contrattuale, sia presente una sproporzione notevole fra le prestazioni dovute dalle parti.
L’entità della spoporzione deve essere valutata nel caso concreto dal giudice, ma comunque per dar luogo alla rescissione la lesione che ne consegue a carico della parte danneggiata deve essere superiore alla metà (ultra dimidium) del valore della sua prestazione al tempo della conclusione del contratto (cfr. art. 1448 c. 2 c.c.); a tale regola fa eccezione il contratto di divisione dei beni ereditari, in relazione al quale la rescissione è possibile qualora la lesione sia superiore ad un quarto (ex art. 763 c. 1 c.c.)
La lesione, oltre ad essere “genetica”, ossia esistente al momento della conclusione, deve perdurare fino al momento in cui il danneggiato propone domanda di rescissione per lesione (cfr. art. 1448 c. 3 c.c.). Dottrina e giurisrpudenza maggioritarie interpretano tale norma nel senso di non ritenere sufficiente che, al momento della domanda, la lesione prodotta a carico del soggetto danneggiato sia rientrata nei limiti della metà (o del quarto allorché si verta in tema di divisione di beni ereditari), essendo, all’opposto, necessaria l’integrale eliminazione dello squilibrio e, dunque, la completa eliminazione di ogni conseguenza negativa della presenza dello stato di bisogno
Una simile interpretazione, però, non appare corretta. Non si riesce infatti a spiegare per quale ragione la rescissione venga impedita solo dal completo riassorbimento della lesione, seppure intervenuto successivamente alla conclusione del negozio, non essendo invece sufficiente una riduzione entro i limiti previsti dalla norma per l’esercizio dell’azione, quando invece una tale riduzione sia sufficiente a garantire la legittima della reductio ad aequitatem ad opera della parte non in danno ex art. 1450 c.c..
Al fine della determinazione della lesione subita, la valutazione delle prestazioni al tempo della conclusione del contratto deve essere effettuata in base ai valori storici esistenti in quel periodo8, quella da operare al momento della proposizione della domanda di rescissione – al contrario – deve essere effettuata mediante in base a valori attuali.
La sproporzione deve essere dipesa dallo stato di bisogno di una parte della quale l’altra abbia approfittato per trarne vantaggio.
Ultimo degli elementi richiesti è che la sproporzione sia dipesa dalla presenza di uno stato di bisogno
10, definibile come una qualsiasi esigenza seria ed impellente di carattere patrimoniale11 che colpisce il soggetto e che abbia idoneità tale da menomare la sua potestà decisionale e di scelta tale da costringerlo a contrattare a condizioni di svantaggio personale.
Questo non deve necessariamente consistere in uno stato di totale povertà o indigenza, potendo essere integrato anche dalla semplice transitoria difficoltà economica o dalla momentanea mancanza di denaro (12), né tantomeno deve necessariamente riferirsi al contraente, ben potendo colpire un altro soggetto (13). Ancora, dottrina (14) e giurisprudenza ritengono che possa anche concretizzarsi nella necessità di approvvigionarsi di un bene diverso dal denaro, come in caso di beni commercializzati solo da un determinato offerente il quale di fatto impone le proprie condizioni
(15)In ogni caso, lo stato di bisogno, anche se cagionato volontariamente dal soggetto danneggiato, deve essere reale e non solo putativo – a differenza di quanto vedremo in ordine allo stato di pericolo, laddove è rilevante anche la presenza del pericolo putativo.
L’importante è che sussista un nesso conseguenziale fra lo stato di bisogno e la sproporzione economica del contratto, tale da fare apparire la conclusione del negozio come strumentale al soddisfacimento del bisogno e, pertanto, questo come la “molla” che ha spinto la parte a concludere a condizioni così svantaggiose(16).
Altro requisito necessario affinché lo stato di bisogno possa portare, ricorrendo gli altri elementi, alla rescissione del contratto è che l’altra parte ne abbia tratto vantaggio. Secondo la migliore dottrina (17)tale comportamento, che deve essere consapevole, risulta integrato dal fatto stesso di concludere il contratto a condizioni ingiustificatamente vantaggiose accompagnato dalla conoscenza dello stato di bisogno in cui versa la controparte (18).Il contraente avvantaggiato non deve dunque porre necessariamente in essere comportamenti “attivi”, diretti a spronare la controparte a concludere il negozio a condizioni inique, essendo, all’opposto, sufficiente che accondiscenda alla richiesta di questi.


3. La figura particolare: il contratto concluso in stato di pericolo.
Altro caso di contratto rescindibile – ma in realtà non si tratta altro se non di una specificazione della precedente – è quello concluso in stato di pericolo, ossia per la necessità di salvare se o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (art. 1447 c. 1 c.c.)
La rescindibilità è, in tal caso, subordinata alla presenza delle seguenti condizioni:
il contratto deve essere a prestazioni corrispettive (sinallagmatico) e commutativo;
deve essere presente uno stato di pericolo attuale di un danno grave alla persona.
Il codice non richiede il già intervenuto verificarsi del danno, essendo all’opposto sufficiente il pericolo che questo si verifichi nel futuro; tale pericolo, però, deve essere attuale, nel senso che deve, da un lato, essere già presente – e non solo futuro - al momento della conclusione del negozio20 e, dall’altro, riferirsi ad un danno potenzialmente in grado di prodursi nell’immediato futuro.
Se è vero che il pericolo deve essere attuale, il codice non specifica che esso debba essere anche realmente esistente, con la conseguenza che dottrina21 e giurisprudenza ritengono configurabile la rescissione allorché il pericolo sia solo putativo, ossia erroneamente ritenuto esistente da parte del soggetto danneggiato, e ciò in base all’ovvia considerazione che, anche in tal caso, la sfera volitiva del soggetto, o meglio la sua autonomia negoziale ne rimane offesa.
La rilevanza della putatività del pericolo permane anche qualora la parte danneggiata si trovi in stato di colpa grave, ossia la presenza del pericolo sia incontestabilmente esclusa dal reale stato di fatto, e ciò in quanto si tratta comunque – ai fini della rescissione - di un errore di cui la controparte si è accorta e del quale ha approfittato.
E’ reputato rilevante anche lo stato di pericolo cagionato volontariamente dal soggetto danneggiato. Sul punto la dottrina non è unanime, anche se è sicuramente preferibile la ricostruzione che giunge alla soluzione appena esposta facendo leva sulla differenza letterale esistente fra l’art. 1447 e l’art. 2045 c.c. in tema di responsabilità extracotrattuale, laddove – in particolare - per la seconda disposizione, e non la prima, esclude espressamente l’insorgere di responsabilità a carico di un soggetto per il fatto dannoso da questi commesso in stato di necessità allorché ciò sia conseguenza dell’esigenza di salvare sé o altri da un danno grave non volontariamente cagionato e non altrimenti evitabile.
Medesimo argomento letterale viene addotto dalla dottrina al fine di ritenere rilevante, ai fini della rescissione, anche il pericolo di danno altrimenti evitabile.
La differente disciplina è la conseguenza del fatto che lo stato di necessità, di cui all’art. 2045 c.c., e lo stato di pericolo previsto in sede di rescissione contrattuale sono due figure completamente diverse, seppure comuni per certi aspetti. Il primo, infatti, costituisce causa di esclusione dell’antigiuridicità del comportamento tenuto dal soggetto agente, il quale pertanto non può essere chiamato a risarcire il danno prodotto ad un soggetto terzo per l’esigenza di salvare sé o altri da un pericolo grave ed imminente alla persona; per questa ragione, l’operatività di tale causa di esclusione è circondata da particolari cautele – sconosciute alla disciplina della rescissione – quali la necessità che lo stato di necessità non sia stato volontariamente cagionato né che il danno sia altrimenti evitabile. Lo stato di pericolo di cui all’art. 1447 c.c., all’opposto, non costituisce causa di esclusione dell’antigiuridicità del comportamento del soggetto agente e, soprattutto, non ne esclude la responsabilità, avendo piuttosto l’effetto di spingerlo a contrattare con un soggetto terzo – ad esclusivo vantaggio di questi – a condizioni particolarmente svantaggiose.
Questo per quanto riguarda il pericolo. Relativamente, invece, al secondo elemento oggettivo richiesto dalla norma – ossia il danno – questo deve necessariamente essere:
grave, ossia di rilevanza tale da assurgere a motivo determinante del consenso prestato dalla parte danneggiata;
riferito alla persona.
In assenza di una differente specificazione normativa, non viene considerato applicabile il disposto di cui all’art. 1436 c.c., con la conseguenza che la “persona” in pericolo può essere – indifferentemente –la parte come un suo congiunto o, addirittura, un estraneo.
Ciò che importa, comunque, è che il riferimento personale abbia caratteristiche tali da fare reputare sussistente il nesso di causalità fra il pericolo di danno e la conclusione del contratto a condizioni di sfavore;
la controparte deve essere a conoscenza di tale stato
Altro elemento richiesto per la rescissione è di tipo soggettivo e consiste nella conoscenza che abbia la controparte dello stato di pericolo in cui versa il danneggiato.
La valutazione in ordine all’esistenza di tale requisito costituisce un giudizio di merito come tale insuscettibile di ricorso in Cassazione salva la presenza dei motivi di cui all’art. 395 c.p.c..
il contratto deve essere concluso a condizioni inique.
A differenza di quanto visto per lo in stato di bisogno, qui la disposizione richiede solo l’iniquità – valutata secondo un criterio oggettivo - delle condizioni di contrattazione, senza predeterminare un minimum per il quantum della lesione a carico del danneggiato.
Sarà dunque compito del giudice di merito, sempre con valutazione insindacabile in sede di legittimità, stabilire se, nel caso concreto, le condizioni contrattuali siano talmente sproporzionate da apparire inique.
Una particolarità della rescissione del contratto concluso in stato di pericolo è che la norma non prevede l’inesperibilità della relativa azione qualora la lesione – ossia l’iniquità – perduri fino al momento della proposizione della domanda.
Ciò potrebbe far ritenere che il riassorbimento della lesione non sia ostativo all’esercizio dell’azione. In realtà così non è: se è vero, come è vero, che anche al contratto concluso in stato di pericolo trova applicazione l’istituto della reductio ad aequitatem di cui all’art. 1450 c.c., la modificazione del quantum della lesione intervenuta successivamente alla conclusione del negozio ha effetti diretti sull’esperibilità della relativa azione, indipendentemente dalla presenza di una specifica disposizione in tal senso.


4. Gli aspetti processuali ed effetti dell'azione di recessione.
Per quanto riguarda gli aspetti processuali della rescissione, l’art. 1449 c.c. – con ciò avvicinandone la disciplina a quella di annullamento – dispone che la relativa azione (diretta ad ottenere una sentenza costitutiva con efficacia ex tunc24) debba essere esperita entro il termine di prescrizione di un anno dalla conclusione del contratto, salvo che il fatto costituisca reato; in tale ipotesi, infatti, per il combinato disposto dell’art. 1449 c. 1 e dell’art. 2947 c. 3 c.c., se per il reato è previsto un termine di prescrizione maggiore, questo si applica anche all’azione di rescissione.
Dal momento dell’estinzione del reato o del passaggio in giudicato di una sentenza penale, torna ad applicarsi il termine di prescrizione annuale di cui all’art. 1449 c. 1 c.c..
I termini di prescrizione di cui sopra si applicano all’esercizio, in via principale, dell’azione di rescissione. Per quanto riguarda la possibilità per il convenuto di far valere la rescissione a titolo di eccezione, a differenza di quanto previsto in materia di annullamento, la norma la esculde in modo radicale qualora sia già trascorso il termine di prescrizione della relativa azione (cfr. art. 1449 c. 2 c.c.).
Un fervido dibattito è sorto in ordine al dies a quo dal quale fare decorrere il termine di prescrizione annuale. Nonostante la chiara disposizione legislativa, la giurisprudenza è giunta infatti a statuire che, in caso di contratto in cui il prezzo di una delle prestazioni non sia determinato ma solo determinabile, il dies a quo coincida con il momento in cui il prezzo viene concretamente determinato.
Anche in ordine alla rilevabilità in via di eccezione della rescissione la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi in senso apparentemente difforme dal dettato legislativo, osservando, in particolare, come la parte convenuta in giudizio per la pronuncia di una sentenza ex art. 2932 c.c. –produttiva degli effetti del contratto definitivo non concluso – possa eccepire la rescissione anche dopo il decorso del termine annuale dalla conclusione del contratto, e ciò in quanto il concreto pregiudizio sorge solo a seguito dell’esercizio di una specifica azione diretta all’esecuzione del negozio ad opera della controparte.
Legittimata ad agire in giudizio per ottenere la rescissione del negozio è solo la parte danneggiata (cfr. artt. 1447 c. 1 e 1448 c. 1 c.c.), essendo invece radicalmente precluso alla controparte la possibilità di agire in tal senso.
La migliore dottrina29, facendo leva sull’impossibilità di operare la convalida del negozio concluso in stato di pericolo o di bisogno, ritiene che l’azione di rescissione sia irrinunciabile.
Più discussa è, invece, la configurabilità di un accordo transattivo in ordine all’esercizio di tale domanda. Parte della dottrina si pronuncia nel senso della non ammissibilità facendo leva sul fatto che, non solo la transazione comporta sempre una rinuncia, ma, nel caso di specie, viene ad incidere su un diritto che, essendo irrinunciabile, è da considerare non rientrante nel potere dispositivo delle parti; altra dottrina ritiene invece ammissibile la transazione considerandola un negozio autonomo rispetto a quello rescindibile.
La reductio ad aequitatem: nozione ed effetti sul procedimento pendente a seguito di azione di rescissione.
La controparte – ossia l’approfittatore – può bloccare in radice la possibilità per il danneggiato di ottenere la rescissione del negozio offrendone la riconduzione ad equità (cfr. art. 1450 c.c.), e ciò anche prima ed indipendentemente dalla presentazione della domanda di rescissione.
Premesso, infatti, che ragione principale dell’istituto è quella di impedire l’illegittimo approfittamento da parte di un soggetto della situazione di pericolo o di bisogno in cui un altro soggetto si sia venuto a trovare e che abbia alterato geneticamente il sinallagma contrattuale, l’ordinamento consente al primo di evitare il prodursi dell’effetto invalidante offrendo una modificazione delle condizioni negoziali idonea a ricondurle ad equità.
Tale “offerta” – che, seppure non specifica, deve comunque contenere elementi tali da rendere concretamente individuabili le modifiche proposte32 - non costituisce nuova proposta contrattuale, ma, bensì, come un negozio giuridico unilaterale e recettizio33 espressione di un diritto potestativo non necessitante di accettazione alcuna ad opera della controparte negoziale.
Se quest’ultima vuole contestare la congruità della reductio ad aequitatem – che, per inciso, non deve necessariamente riportare il negozio ad una situazione di assoluta parità economica delle prestazioni dovute dalle parti35, secondo una quantificazione che faccia riferimento al loro valore attuale36, ma, piuttosto, diminuire la lesione al di sotto del limite ultima dimidium o ultra quartum nel contratto concluso in stato di bisogno ovvero eliminare l’iniquità in quello concluso in stato di pericolo – dovrà agire in giudizio, a mezzo di una normale azione cognitoria, al fine di ottenere il riconoscimento dell’incongruità dell’offerta.
Gli effetti della rescissione nei confronti delle parti e dei terzi.
Effetto principale della sentenza che pronuncia la rescissione contrattuale è quello di privare ex tunc il negozio di ogni effetto tra le parti, con la conseguenza che le prestazioni già adempiute dovranno essere restituite con applicazione della disciplina di cui all’art. 2033 c.c. in materia di indebito oggettivo.
Ciascuna delle parti, dunque, avrà diritto alla restituzione di ciò che ha pagato, maggiorato:
degli interessi sulle somme corrisposte, decorrenti:
per la parte in buona fede, ossia quella danneggiata, dal momento dell’esercizio dell’azione, ossia dal giorno della notificazione della domanda giudiziale;
per la parte in mala fede, fin dal momento del percepimento delle somme cui gli interessi accedono;
dei frutti percepiti, calcolati dal momento:
della presentazione della domanda giudiziale, per la parte in buona fede;
della conclusione del negozio, per la controparte.
In ogni caso, comunque, alla parte tenuta alla restituzione dei frutti è riconosciuto (cfr. artt. 821 c. 2 e 1149 c.c.) – indipendentemente dal suo stato di buona o mala fede – il diritto al rimborso delle spese incontrate per la loro produzione e raccolto;
delle spese sostenute per l’effettuazione di riparazioni, miglioramenti ed addizioni, calcolati secondo le seguenti modalità:
per le riparazioni straordinarie, compete sempre il rimborso di quanto effettivamente corrisposto;
per le riparazioni ordinarie, compete il rimborso delle sole spese sostenute nel periodo in relazione al quale è dovuta la restituzione dei frutti;
per i miglioramenti, se ancora esistenti al tempo della restituzione, compete il diritto alla percezione di una indennità calcolata come segue:
per la parte in buona fede, in misura pari all’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti;
per la parte in mala fede, in misura pari alla minor somma fra tra l’importo della spesa e l’aumento di valore del bene.
per le addizioni, trova applicazione l’art. 936 c.c., a meno che non costituiscano miglioramenti, nel qual caso infatti è riconosciuto solo al soggetto in buona fede il pagamento di un’indennità pari all’aumento di valore conseguito dalla cosa.
Oltre alla ripetizione delle prestazioni già adempiute, la parte danneggiata ha diritto ad ottenere il risarcimento del danno, determinato nella misura dell’interesse negativo, ossia del nocumento patito per aver confidato in buona fede nella piena validità ed efficacia del contratto (cfr. artt. 1337 e 1338 c.c.).
Nel solo caso di contratto concluso in stato di pericolo, l’art. 1447 c. 2 c.c. – in questo punto pienamente conforme alla disciplina in tema di responsabilità aquiliana per il caso dello stato di necessità – prevede che il giudice possa assegnare alla parte non legittimata all’esercizio dell’azione di rescissione un equo compenso per l’opera prestata.
Per quanto concerne, invece, gli effetti nei confronti dei terzi – intendendo per tali sia gli aventi causa delle parti sia i loro creditori – trova applicazione l’art. 1452 c.c.: la rescissione dunque non pregiudica i loro diritti, salvi gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale disposta ex artt. 2652 n. 1 e 2690 n. 1 c.c. e gli effetti dell’applicazione della regola del possesso vale titolo ex art. 1153 c.c. in ordine ai beni mobili.
La salvezza dei diritti dei terzi prescinde dal loro stato di buona o di mala fede. Tale unicità di disciplina costituisce un ulteriore elemento di distinzione rispetto alla disciplina dell’annullamento, laddove vengono fatti salvi i diritti dei terzi ma solo se di buona fede.


5. I rapporti fra il contratto rescindibile e la rescissione dei contratti di appalto di opera pubblica: un uso improprio del termine.
Istituto completamente diverso da quello qui in esame è la rescissione del contratto di appalto di opera pubblica in via di autotutela disciplinato dall’art. 340 della L. 2248/1865 all. F).
La denominazione usata dal legislatore è quantomeno inadeguata: la disposizione, infatti, prevede che “l’Amministrazione ha diritto di rescindere il contratto quando l’appaltatore si renda colpevole di frode o grave negligenza, e contravvenga agli obblighi ed alle condizioni dello stipulante. In questi casi l’appaltatore avrà ragione soltanto al pagamento dei lavori eseguiti regolarmente e sarà passibile del danno che provenisse all’Amministrazione dalla stipulazione di un uovo contratto o dall’esecuzione d’ufficio”.
Appare icto oculi come l’istituto qui delineato sia tutto fuorché una rescissione, presentando, piuttosto, elementi di similitudine con la risoluzione per inadempimento, la quale, fra l’altro, è oggetto di altre previsioni legislative (per gli appalti di lavori pubblici, nella fattispecie, è disciplinata dall’art. 25 L. 109/1994 e dagli artt. 118 e ss. d.P.R. 554/1999), anche se – a ben guardare –tra i due istituti permangono alcune difformità.
Infatti, mentre la risoluzione – al di fuori dei casi di cui è obbligatoria (ex art. 118 d.P.R. 554/1999 per il caso di intervenuta condanna dell’appaltatore per taluni reati ovvero ex art. 25 c. 4 L. 109/1994 per il caso in cui l’importo delle varianti rese necessarie a seguito del manifestarsi di errori o omissioni del progetto esecutivo sia superiore ad un quinto dell’importo originario del contratto) – è possibile solo nei casi di grave inadempimento, grave irregolarità e grave ritardo, e si configura come l’omologo istituto civilistico (salva la predeterminazione di una rigida procedura per giungere alla declaratoria della risoluzione ed alcune differenze in ordine alle conseguenze patrimoniali derivanti), la rescissione ex art. 340 L. 2248/1985 all. F):
da un lato, è subordinata alla presenza di presupposti oggettivi – integrati allorché “l’appaltatore si renda colpevole di frode o grave negligenza e contravvenga agli obblighi ed alle condizioni stipulate” – parzialmente diversi (specie in ordine al caso di frode) da quelli richiesti per la risoluzione facoltativa e sicuramente diversi, in quanto non presupponenti alcuna sentenza passata in giudicato contro l’appaltatore ovvero alcun accertamento giudiziale della sua colpevolezza o responsabilità, da quelli richiesti per la risoluzione obbligatoria;
dall’altro lato, comporta conseguenze totalmente differenti in quanto, lungi dal comportare (in linea di principio) la restituzione delle prestazioni già adempiute ed il risarcimento del danno positivo patito, determina il diritto per l’Amministrazione di trattenere la prestazione già correttamente adempiuta dall’appaltatore – al quale, correlativamente, compete il pagamento dei lavori regolarmente eseguiti – salvo ottenere il risarcimento del danno negativo derivante dalla necessità di stipulare un nuovo contratto o provvedere “in economia” al completamento dei lavori.
Ciò detto e premesso, i presupposti oggettivi che possono portare alla rescissione ex art. 340 L. 2248/1985 all. F) sono anche idonei, salvo alcune ipotesi configuranti fronde (specie se in danno di soggetti terzi), a comportare la risoluzione per inadempimento, in quanto costituenti – ovviamente se provati – chiare ipotesi di inadempimento “imputabile” dell’appaltatore.
L’Amministrazione può dunque scegliere, a propria discrezione, di avvalersi dell’una piuttosto che dell’altra per la tutela della propria posizione. Una tale conclusione, però, non appare del tutto corretta, specie alla luce della giurisprudenza intervenuta nel corso degli anni la quale, sul presupposto che la rescissione ex art. 340 L. 2248/1985 all. F) comporta l’esercizio di un potere gravemente lesivo delle posizioni giuridiche soggettive dell’appaltatore, ne limita l’applicabiltà ai soli casi in cui sia giustificato dall’esigenza di garantire la pronta e spedita esecuzione dell’appalto, costituendo ogni diversa ipotesi di utilizzo un caso di eccesso di potere per sviamento.
Peraltro, non trova applicazione il principio sussunto nel brocardo electa una via non datur recursus ad alteram, con la conseguenza che, disposta la rescissione ex art. 340 L. 2248/1985 all. F), in caso di annullamento (reciuts: disapplicazione, per le ragioni che meglio vedremo) del relativo provvedimento, l’Amministrazione potrà, ricorrendone i presupposti, operare la risoluzione per inadempimento.
La scelta, fra l’uno e l’altro mezzo ha conseguenze pratiche minori rispetto a quanto si potrebbe pensare. A parte, infatti, la già esaminata differenza in ordine alle conseguenze patrimoniali derivanti, va detto che anche l’esercizio del potere di rescissione “speciale” – nonostante costituisca una chiara ipotesi di limitazione all’applicabilità delle disposizioni di diritto civile “comune” al fine di garantire l’efficienza del soggetto pubblico – è soggetto al controllo del giudice ordinario.
La giurisprudenza è giunta a tale conclusione prendendo spunto da due argomentazioni, entrambe ineccepibili:
da un lato, l’atto per mezzo del quale l’Amministrazione lo esercita non è considerato atto amministrativo ma, all’opposto, negozio giuridico unilaterale, ossia atto avente natura negoziale40;
dall’altro, successivamente all’aggiudicazione ed al perfezionamento del procedimento di controllo sul contratto (allorché si tratti di negozi “claudicanti”), l’appaltatore è titolare, nei confronti della Pubblica Amministrazione, di una situazione qualificabile in termini di diritto soggettivo e non di interesse legittimo.


Note
1 Tale ricostruzione è peraltro oggetto di discussione in dottrina. Per Francesco Gazzoni (Manuale di Diritto Privato, E.S.I. 2003, p. 979) la rescissione è posta a tutela non tanto della libera formazione della volontà quanto, piuttosto, dell’equilibrio della contrattazione.
2 Cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 980.
3 “L'iniquità delle condizioni è elemento necessario per la rescissione del contratto, in quanto la legge tutela non tanto una indifferenziata libertà del contraente, quanto la specifica libertà di evitare contratti dannosi” (Corte Cass., Sezione I, 22 ottobre 1979, n. 5482, Scrimitore c. Banca V. Tamborrino di Maglie, Giust. civ. Mass. 1979, fasc. 10).
4 “L'art. 1448 c.c. richiede la presenza simultanea dei requisiti dello stato di bisogno di un contraente, dell'approfittamento di tale stato da parte dell'altro contraente e della sproporzione tra le prestazioni superiore alla metà, per cui, accertata l'inesistenza di uno di tali elementi, non occorre proseguire l'indagine sugli altri” (Corte Appello Roma, 15 luglio 1997, Agrò e altro c. Pilera, Nuova giur. civ. commentata 1998, I, 332 nota di Colaiacomo).
“L'azione generale di rescissione per lesione prevista dall'art. 1448 c.c. richiede la simultanea ricorrenza di tre requisiti e cioè l'eccedenza di oltre la metà della prestazione rispetto alla controprestazione, l'esistenza di uno stato di bisogno, che funzioni come motivo della accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato ed, infine, l'avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall'altrui stato di bisogno del quale era consapevole. Fra i tre elementi predetti non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità o precedenza, per cui riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell'esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua l'indagine circa la sussistenza degli altri due e l'azione di rescissione deve essere senz'altro respinta” (Corte Cass., Sezione II, 1 marzo 1995, n. 2347, Mansi c. Mansi, Giust. civ. Mass. 1995, 489).
In senso assoluamente conforme: Corte Cass., Sezione II, 5 settembre 1991, n. 9374, Colnaghi c. Comune Brembate, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 9.
In qualche sentenza, peraltro, in considerazione del fatto che mancando la lesione enorme (ultra dimidium o ultra quartum, a seconda dei casi), non è esperibile il rimedio della rescissione contrattuale, la giurisprudenza, pur continuando ad affermare la pari “dignità” di tutti i presupposti di cui all’art. 1448 c.c., ha comunque sottolineato la necessità di provvedere in primis all’individuazione del quantum della lesione patita dalla parte danneggiata e, solo qualora questa sia superiore alla metà, procedere alla valutazione degli ulteriori elementi richiesti per la rescissione.
Si può così leggere che: “in tema di azione generale di rescissione per lesione, l'accertamento della sproporzione fra le reciproche prestazioni è preliminare all'accertamento sia dello stato di bisogno sia dell'approfittamento di tale stato, come si ricava da un lato dalla lettura dell'art. 1448, comma 2, c.c. e dall'altro dalla considerazione che è proprio dalla constatata sproporzione che il giudice può trarre elementi presuntivi in ordine al consapevole approfittamento a fine di lucro” (Corte Cass., Sezione II, 30 marzo 1989, n 1553, Minotti c. Società Adrinari, Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 3).
In realtà, precedente giurisprudenza già aveva chiarito come, non esistendo graduazione “gerarchica” fra i tre elementi richiesti per l’azione generale di rescissione, l’indagine in ordine alla loro sussistenza deve essere condotta simultaneamente, posto che la mancanza anche di uno solo di essi impedisce al giudice di pronunciare una sentenza di accoglimento della relativa domanda di parte. Era stato infatti deciso che: “l'azione generale di rescissione per lesione prevista dall'art. 1448 c.c. richiede la simultanea ricorrenza di tre requisiti e cioè l'eccedenza di oltre la metà delle prestazioni rispetto alla controprestazione, l'esistenza di uno stato di bisogno, inteso non come assoluta indigenza ma come una situazione di difficoltà economica che incide sulla libera determinazione a contrarre e funzioni cioè come motivo dell'accettazione della sproporzione fra le prestazioni da parte del contraente danneggiato ed, infine, l'avere il contraente avvantaggiato tratto profitto dall'altrui stato di bisogno del quale era consapevole. Fra i tre elementi predetti non intercede alcun rapporto di subordinazione od alcun ordine di priorità e precedenza, per cui riscontrata la mancanza o la mancata dimostrazione dell'esistenza di uno dei tre elementi, diviene superflua ogni indagine circa la sussistenza degli altri due e l'azione di rescissione deve essere senz'altro respinta” (Corte Cass., Sezione II, 9 dicembre 1982, n. 6723, Nuxis c. Savanrese, Giust. civ. Mass. 1982, fasc. 12). In piena conformità: “le condizioni dell'azione generale di rescissione per lesione, fissate dall'art. 1448 c.c., non sono legate da rapporto di subordinazione od ordine di priorità, con la conseguenza che, riscontrata la mancanza o l'omessa dimostrazione dell'esistenza di una di esse [lesione ultra dimidium] diviene superflua ogni indagine sulla ricorrenza delle altre e la domanda va senz'altro respinta” (Corte Cass., Sezione II, 22 ottobre 1981, n. 5535, De Santi c. Vettori, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 10).
5 “La norma dell'art. 1447 e dell'art. 1448 c.c. non sono applicabili, neppure in via analogica, alle dimissioni, che costituiscono un atto unilaterale del lavoratore non implicante alcuna prestazione in favore del datore di lavoro” (Corte Cass., Sezione Lavoro, 20 novembre 1990, n. 11179, Cristofari c. Banca popolare Novara, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 11).
6 Francesco Gazzoni, op. cit., p. 980.
7 Cfr. Massimo Bianca, “Il contratto”, in Diritto Civile, Ed. Giuffré, p. 462; Francesco Gazzoni, op. cit., p. 980.
8 “In tema di azione generale di rescissione per lesione, la determinazione del valore delle prestazioni corrispettive, con riferimento all'epoca della conclusione del contratto, al fine di stabilire la ricorrenza o meno di una sproporzione ultra dimidium, implica una indagine di fatto, rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove sorretta da congrua motivazione” (Corte Cass., Sezione II, 22 ottobre 1981, n. 5535, De Santi c. Vettori, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 10).
“Ai fini dell'ammissibilità dell'azione di rescissione per lesione di un contratto di compravendita, occorre aver riguardo, per accertare l'esistenza della lesione ultra dimidium in danno del venditore, ai prezzi correnti o mediamente ottenibili in una normale contrattazione, sicché è del tutto irrilevante che lo stesso venditore pressato dalle difficoltà economiche e dall'urgenza di procurarsi denaro abbia inutilmente offerto in vendita a terzi il bene compravenduto, per un prezzo vile, uguale o anche inferiore a quello poi ottenuto dall'altro contraente, a nulla rilevando che quei terzi non abbiano voluto o potuto approfittare dell'offerta in questione” (Corte Cass., Sezione II, 24 febbraio 1979, n. 1227, Augusta c. Angelo, Giust. civ. Mass. 1979, fasc. 2).
Per la dottrina, il calcolo deve essere effettuato avendo riguardo a tutte le prestazioni oggetto di contratto, ivi comprese quelle accessorie e gli eventuali modi imposti, dovendo restare escluse unicamente le spese affrontate per la stipula dell’atto (cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 985).
9 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 647.
10 “Ai fini dell'azione di rescissione per lesione, lo stato di bisogno, di cui all'art. 1448 c.c., pur potendo consistere anche in una situazione di difficoltà economica, tuttavia non può prescindere da un nesso di strumentalità tale da incidere sulla libera determinazione del contraente, in mancanza degradandosi, nella possibilità della libera scelta dei mezzi, a quella mera esigenza della realizzazione più conveniente del fine perseguito dal contraente che è presente in ogni negozio” (Corte Cass., Sezione II, 22 maggio 1990, n. 4630, Leitempergher c. Società Pergher, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 5).
11 “Lo stato di bisogno si distingue dallo stato di pericolo in termini di natura degli interessi. Nel primo caso, infatti, gli interessi in questione sono di carattere patrimoniale mentre nel secondo caso essi sono di carattere strettamente personale” (cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 984).
12 “Ai fini della rescissione per lesione, lo stato di bisogno non coincide con l'indigenza, essendo sufficiente una deficienza di mezzi pecuniari che abbia costituito il concreto impulso alla conclusione del contratto svantaggioso. Il giudizio sul punto costituisce una valutazione di fatto incensurabile in sede di legittimità” (Corte Cass., Sezione II, 19 agosto 1998, n. 8200, Tonello c. Fallimento Cucco, Giust. civ. Mass. 1998, 1734).
“Ai fini della rescissione per lesione, lo stato di bisogno non coincide con l'indigenza, e ricorre anche nel caso di una deficienza di mezzi pecuniari che abbia costituito il concreto impulso alla stipulazione del contratto svantaggioso” (Corte Cass., Sezione II, 6 dicembre 1988, n. 6630, Squitieri c. Gragnaniello, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 12).
“In tema di azione generale di rescissione per lesione, se lo Stato di bisogno non coincide con l'assoluta indigenza o totale incapacità patrimoniale potendo essere ravvisato anche nella semplice difficoltà economica o nella contingente carenza di liquidità, perché la rescissione possa essere pronunciata è tuttavia necessario che le momentanee difficoltà economiche siano in rapporto di causa ad effetto con la determinazione a contrarre, costituiscano cioè il motivo per cui è stata accettata la sproporzione tra le prestazioni” (Corte Cass., Sezione I, 3 agosto 1988, n. 4807, Spimpoco c. Spimpoco, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 8/9).
“Ai fini della rescissione del contratto di compravendita per lesione a norma dell'art. 1448 c.c., lo stato di bisogno va riconosciuto allorché il venditore si trovi, anche per cause transitorie, in obiettive difficoltà economiche cagionate da temporanea mancanza di denaro liquido, in quanto aventi riflesso sulla libertà di contrattazione del soggetto e, quindi, suscettibili di determinarlo con rapporto di causa ad effetto, ad accettare un corrispettivo non proporzionato alla sua prestazione” (Corte Cass., Sezione II, 26 marzo 1986, n. 2166, Frangiamone c. Bucchieri, Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 3).
13 Qualora in stato di bisogno si trovi una persona il cui patrimonio viene amministrativo, ex lege o in forza di pronuncia giudiziaria, da un altro soggetto, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire– ma la cosa sembrava già palese – come lo stato di bisogno debba essere valutato in riferimento al titolare del patrimonio (ossia al soggetto che realmente si trova in stato di bisogno) e non in riferimento al suo amministratore. Si può così leggere che: “lo stato di bisogno richiesto per l'esercizio dell'azione di rescissione per lesione ai sensi dell'art. 1448 c.c. in caso di patrimonio amministrato da soggetto diverso dal suo titolare, va riferito unicamente alla situazione in cui versa il patrimonio amministrato. Conseguentemente, lo stato di bisogno può ravvisarsi anche con riguardo alla eredità giacente, in quanto la particolare disciplina prevista dagli art. 498 e 530 per la liquidazione dei debiti ereditari, non esclude che il curatore dell'eredità sia costretto, dalla mancanza di denaro liquido, a vendere i beni amministrati a un prezzo inadeguato al loro valore, per evitare che i creditori diano inizio ad azioni esecutive” (Corte Cass., Sezione II, 26 marzo 186, n. 2166, Frangiamone c. Bucchieri, Giust. civ. Mass. 1986, fasc. 3). Conforme, in dottrina: Francesco Gazzoni, op. cit., p. 983..
14 Cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 983.
15 “In tema di rescissione per lesione, si può ipotizzare l'approfittamento di un contraente ai danni dell'altro nel caso in cui sussista un unico offerente, ma non nel caso in cui più soggetti siano in grado di fornire la medesima prestazione a costi concorrenziali” (Tribunale Milano, 12 febbraio 1996, Soc. Il Cremonese c. Soc. Business Agency, Gius 1996, 1842).
16 “Lo stato di bisogno di cui all'art. 1448 c.c. consiste nell'esigenza di far fronte ad una difficile situazione economica personale o familiare, che sia in rapporto di causalità con l'atto vantaggioso per l'altro contraente” (Corte Appello Roma, 15 luglio 1997, Agrò e altro c. Pilera, Nuova giur. civ. commentata 1998, I, 332 nota di Colaiacomo).
17 Francesco Gazzoni, op. cit., p. 984. E’ però da rilevare la presenza di alcune voci di dissenso (per tutte: Quadri, in un articolo pubblicato su Corriere Giuridico 1996, p. 363) in forza delle quali è necessaria la dimostrazione della specifica intenzione di trarre vantaggio dalla posizione del soggetto in stato di bisogno.
18 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 648.
19 “Ai fini della rescissione per lesione del contratto, perché sussista l'approfittamento dell'altrui stato di bisogno, non è richiesta la prova di una specifica attività posta in essere dal contraente avvantaggiato allo scopo di promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, ma occorre pur sempre che dalla compiuta istruzione emerga una situazione tale che consenta di ritenere, attraverso una motivata valutazione complessiva del comportamento dell'acquirente, che la conoscenza dello stato di bisogno della controparte abbia costituito la spinta psicologica a contrarre” (Corte Cass., Sezione I, 28 giugno 1994, n. 6204, Valentini Resta c. Caputo, Giust. civ. Mass. 1994, fasc. 6. solo massima).“Ai fini della rescissione per lesione, perché sussista l'approfittamento dell'altrui stato di bisogno, non è richiesta, da parte del contraente avvantaggiato, un'attività diretta a promuovere o sollecitare la conclusione del contratto, essendo sufficiente che la conoscenza dello stato di bisogno costituisce la spinta psicologica a contrarre, desumibile anche dal contegno passivo integrato e lumeggiato dalla realizzazione effettiva del vantaggio conseguito” (Corte Cass, Sezione II, 6 dicembre 1988, n. 6630, Squitieri c. Gragnaniello, Giust. civ. Mass. 1988, fasc. 12).
“Ai fini della rescissione del contratto per lesione a nulla rileva che il contraente avvantaggiato abbia soltanto aderito alla pressante offerta del contraente bisognoso senza aver svolto alcuna attività più o meno maliziosa intesa a promuovere o sollecitare la stipulazione del contratto, perché ai fini dell'art. 1448 c.c., è sufficiente che egli abbia profittato della situazione - a lui nota - di menomati potere e libertà contrattuale dell'altra parte consentendo alla stipulazione di un contratto, a prestazioni fortemente sperequate, con suo consapevole vantaggio” (Corte Cass., Sezione II, 24 febbraio 1979, n. 1227, Augusta c. Angelo, Giust. civ. Mass. 1979, fasc. 2).
20 Cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 981.
21 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 645; Francesco Gazzoni, op. cit., p. 982.
In senso difforme, Carresi ritiene che il contratto concluso in stato di pericolo “putativo” sia nullo per inutilità della prestazione
22 Cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 981.
23 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 645.
24 Cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 989.
25 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 651.
26 cfr. Corte Cass., 5 dicembre 1960, n. 3180, Giust. Civ. 1961, I, 230.In applicazione del medesimo principio, nel caso di contratti assoggettati a condizione, il dies a quo per il decorso del termine prescrizionale è dato dall’avveramento dell’evento dedotto come condizione.
“La disposizione dell'art. 1449 c.c., per la quale il termine annuale di prescrizione dell'azione di rescissione decorre dalla data di conclusione del contratto, deve essere coordinata con la regola generale che fa decorrere ogni termine di prescrizione solo dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) e non è applicabile, quindi, ai contratti sottoposti a condizione sospensiva, per i quali il termine annuale di prescrizione dell'azione di rescissione, essendo questa esperibile solo in presenza dei presupposti previsti dall'art. 1447 c.c. (per il contratto concluso in stato di pericolo) e dell'art. 1448 c.c. (per l'ordinaria azione di rescissione), può farsi decorrere solo dalla data in cui si è verificato l'evento dal quale dipendono gli effetti del contratto e, per la rescissione del contratto concluso in stato di pericolo, la concreta operatività, quindi, delle condizioni inique che, con l'azione di rescissione, si vogliono rimuovere” (Corte Cass., Sezione II, 30 maggio 1995, n. 6050, Mariani c. Lanti, Giust. civ. Mass. 1995, 1111).
“Il termine annuale di prescrizione dell'azione generale di rescissione per lesione, previsto dall'art. 1449 comma 1 c.c., con riguardo ad un contratto di compravendita di un bene immobile sottoposto a condizione sospensiva decorre non dalla data di conclusione del contratto, bensì dal giorno in cui la condizione si è avverata atteso che il detto contratto diventa efficace con la produzione degli effetti reali solo con il verificarsi dell'evento dedotto in condizione” (Corte Cass., Sezione II, 13 maggio 1995, n. 3055, Kronbichier c. Von Grebmer Hayno, Giust. civ. Mass. 1992, fasc. 3).
“Nell'ipotesi in cui il prezzo della vendita non sia determinato al momento della conclusione del contratto, ma risulti determinabile in un momento successivo, il termine di prescrizione dell'azione di rescissione per lesione inizia a decorrere non dal giorno della conclusione del contratto, ma dal momento successivo in cui il prezzo sia stato determinato, giacché solo da tale momento il pregiudizio patrimoniale del soggetto danneggiato, derivante dalla sproporzione ultra dimidium tra le prestazioni, diviene reale ed effettivo e sorge la possibilità giuridica di sperimentare l'azione” (Corte Cass., Sezione II, 4 gennaio 1993, n. 10, Grandinetti c. Grandinetti, Giust. civ. Mass. 1993, 5 solo in massima).
27 “La rescissione del contratto preliminare per lesione può essere fatta valere anche se è già decorso un anno dalla conclusione di tale contratto qualora il soggetto sia convenuto in un giudizio volto a conseguire una sentenza produttiva degli effetti del contratto definitivo non concluso” (Corte Cass., Sezione III, 23 novembre 2000, n. 15139, Petrolito c. Liistro e altro, Giur. it. 2001, 1611 in nota di Tommasi).“Il promittente venditore, convenuto in giudizio per l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, può chiedere in riconvenzione la rescissione del contratto preliminare per lesione, anche se dalla data di conclusione di questo sia già decorso il termine annuale di prescrizione fissato dall'art. 1449 c.c., perché solo con l'azione giudiziale per l'esecuzione specifica sorge per detto convenuto in concreto la lesione” (Corte Cass., Sezione II, 6 novembre 1990, n. 10666, Rota c. Di Bonito, Giust. civ. Mass. 1990, fasc. 11).“Nell'ipotesi prevista dall'art. 2932 c.c., il giudice, dovendo sostituire alla volontà della parte inadempiente, il proprio comando imperativo, non può fare a meno di accertare, sia pure incidenter tantum, le condizioni di legittimità e validità del negozio di cui è domandata l'esecuzione, sicché ove il convenuto deduca la rescindibilità del contratto, tale sua deduzione rimane nei limiti dell'eccezione riconvenzionale, in quanto è diretta semplicemente a fare valere un controdiritto che si oppone all'accoglimento della domanda dell'attore, con la conseguenza che essa deve essere necessariamente esaminata nello stesso processo e va ritenuta ammissibile, anche se proposta dopo la prima udienza, purché entro il termine di un anno stabilito dall'art. 1449 c.c.” (Corte Cass., Sezione II, 10 gennaio 1981, n. 246, Gragnaniello c. Squitieri, Giust. civ. Mass. 1981, fasc. 1).“Il promittente, convenuto in giudizio per l'esecuzione specifica dell'obbligo di concludere il contratto definitivo, può chiedere in via riconvenzionale la rescissione del contratto preliminare per lesione anche se dalla data di conclusione di questo sia già decorso il termine annuale di prescrizione previsto dall'art. 1449 c.c., poiché per detto promittente la lesione sorge in concreto solo con l'azione giudiziaria per l'esecuzione specifica” (Corte Cass., Sezione III, 5 novembre 1980, n. 5938, Pollastro c. Coppola, Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 11).Qualora, invece, a seguito della conclusione di un preliminare in stato di necessità o bisogno a condizioni particolarmente svantaggiose, le parti addivengano alla conclusione di un contratto definitivo privo dei caratteri idonei a determinare la rescissione, la giurisprudenza ha correttamente ritenuto non esperibile il relativo rimedio.“Sia dal contratto preliminare che dal successivo contratto definitivo sorgono distinte azioni di rescissione, con un proprio annuale termine di prescrizione, decorrente dalla data di rispettiva conclusione. Pertanto, se dopo la stipulazione del contratto preliminare le parti stipulano il contratto definitivo, l'azione di rescissione di quest'ultimo contratto in tanto è fondata in quanto ricorrano al momento della sua conclusione le condizioni dell'azione stessa, fra cui lo stato di bisogno, non essendo sufficiente che le suddette condizioni ricorressero nel momento della stipula del preliminare” (Corte Cass., Sezione III, 3 maggio 1980, n. 2907, Società IALF c. Patron, Giust. civ. Mass. 1980, fasc. 5).“Il contratto definitivo, stipulato in esecuzione di contratto preliminare rescindibile per lesione, è autonomamente impugnabile per lesione, se di questa perdurano gli estremi soggettivi ed oggettivi, ed il termine di prescrizione dell'azione di rescissione inizia a decorrere dalla data della sua stipulazione” (Corte Cass., Sezione II, 22 novembre 1978, n. 5458, Manzo c. Soc. ICESNEI, Foro it. 1979, 1206, I).Di estremo interesse anche: Corte Cass., 23 aprile 1977, n. 1526, Giust. Civl. 1977, I, 1377.
28 Non è applicabile all’azione di rescissione la previsione di cui all’art. 427 c. 2 c.c. in forza della quale l’azione di annullamento può essere promossa, nell’interesse di una persona interdetta o inabilitata, anche dal suo tutore.
La ragione è semplice: il contratto concluso da una persona priva della capacità di agire, infatti, è annullabile ex art. 1425 c.c.; l’interdetto o l’inabilitato, pertanto, ricorrendone i presupposti di legge, verrà tutelato dall’annullamento del negozio piuttosto in modo sicuramente più efficace di quanto avrebbe potuto esserlo mediante la sua rescissione.Resta invece salvo ed impregiudicato il diritto degli eredi e degli aventi causa della parte danneggiata di fare valere l’azione di rescissione.
29 Cfr.: Massimo Bianca, op. cit., p. 653; Francesco Gazzoni, op. cit., p. 986.
30 Di sicuro, comunque, ogni dubbio sull’eventuale ammissibilità o meno della transazione viene a cessare a favore della prima soluzione allorché l’accordo raggiunto sia idoneo a riportare ad equità il contratto ex art. 1450 c.c..
31 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 655.
32 “L'offerta di reductio ad aequitatem ad opera della parte contro la quale è chiesta una pronuncia di rescissione per lesione non richiede l'esatta indicazione delle clausole da modificare e dei limiti entro cui debbano essere modificate, potendo la parte anche rimettersi al giudice per la concreta individuazione delle modifiche, ma è pur sempre necessario al fine di impedire la pronuncia di rescissione che, ove manchi l'adesione del destinatario, l'offerta presenti un minimo di specificazione, onde consentire al giudice, sostituendosi alla parte, di valutarne l'adeguatezza” (Corte Cass., Sezione II, 23 aprile 1994, n. 3891, D'Arienzo c. Lauriola, Giust. civ. Mass. 1994, 553 solo in massima).“L'offerta di reductio ad aequitatem ad opera della parte contro la quale è chiesta una pronuncia di risoluzione per eccessiva onerosità o di rescissione per lesione, non avendo natura di atto prenegoziale diretto a provocare con l'accettazione della controparte la stipula di un nuovo accordo modificativo del precedente, non occorre che, per evitare la richiesta risoluzione, indichi esattamente le clausole da modificare ed i limiti entro cui debbano essere modificate, ma può anche rimettersi al giudice per l'esatta individuazione delle modificazioni stesse, anche a mezzo delle opportune indagini istruttorie” (Corte Cass., Sezione II, 25 maggio 1991, n. 5922, Moscatiello c. Cerbo, Giust. civ. Mass. 1991, fasc. 5).
33 “La riduzione ad equità costituisce un potere della parte destinataria dell’azione di rescissione. Sebbene la formula del codice parli di una offerta di modificazione del contratto, può escludersi che l’esercizio della riduzione ad equità abbia il valore di una proposta contrattuale. Analogamente, alla rettifica del contratto annullabile, si tratta piuttosto di un potere riconosciuto alla parte di evitare la rescissione rimuovendo la lesione sofferta dal contraente che ha contrattato in stato di pericolo o di bisogno. L’atto di esercizio di tale potere non richiede alcuna accettazione da parte dell’altro contraente” (cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 655).
Concorda con tale ricostruzione anche Massimo Bianca (op. cit., p. 987) il quale, peraltro, ammette anche la configurabilità di una reductio ad aequitatem di tipo negoziale, mediante apposito contratto di transazione.
34 La reductio ad aequitatem può essere esercitata sia giudizialmente sia al di fuori del giudizio da parte della parte non danneggiata. Se in entrambe i casi la relativa “offerta” costituisce negozio unilaterale recettizio espressione di un potere, è chiaro che la reductio esercitata in ambito giudiziale costituisce una eccezione processuale a tutti gli effetti..
35 Contro: Cass. Civ., Sezione II, 22 novembre 1978, n. 5458, Manzo. Socià INESNEI, Foro It. 1979, 1206, I (“la modificazione necessaria per ricondurre ad equità il contratto rescindibile per lesione deve essere tale da rendere il valore dell'una prestazione uguale a quello dell'altra con riferimento alla data della pronuncia del giudice, tenendosi conto della svalutazione monetaria frattanto intervenuta anche per rivalutare la prestazione pecuniaria già eseguita dal contraente contro il quale è domandata la rescissione”)..
36 Cfr. Massimo Bianca, op. cit., p. 654.“Il giudizio sull’equità dell’offerta va reso con riferimento al momento della pronuncia, tenendosi quindi conto se del caso anche della svalutazione monetaria nonché degli interessi legali sul supplemento offerto, a far tempo dalla conclusione del contatto” (cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 988)
37 “Il giudice può solo accertare se l’offerta è o non è atta a ricondurre ad equità il contratto, dopo aver accertato, dunque, che sussisterebbero i presupposti per la rescissione del contratto, ma in caso negativo non potrà intervenire con integrazioni o modificazioni, salvo, secondo la tesi processualista, che ne sia stato richiesto espressamente dall’offerente, in funzione di arbitratore. In tale eventualità, il potere di determinazione giudiziale si giustificherebbe perché l’offerta in giudizio non è una proposta contrattuale, che dovrebbe incontrarsi con l’accettazione della controparte al fine di provocare un accodo modificativo ed è comunque riconducibile all’autonomia della parte interessata” (cfr. Francesco Gazzoni, op. cit., p. 988).
38 Cfr. Lorenzo Canullo, “La rescissione nell’appalto di opere pubbliche. Limiti e tutela giurisdizionale dell’appaltatore”, articolo pubblicato su www.diritto.it.
39 Corte Cass., 19 novembre 1975, n. 3063, Mass. Foro It. 1975, 735.
40 “Gli art. 6 e 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici, si riferiscono alla sola fase pubblicistica dell'appalto (compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dei concorrenti), ma non riguardano anche la fase relativa all'esecuzione del rapporto. Rientra pertanto nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle controversie inerenti ai diritti e agli obblighi scaturenti dal contratto di appalto di opere pubbliche, a nulla rilevando che l'amministrazione committente si sia avvalsa della facoltà di rescindere il rapporto con proprio atto amministrativo ai sensi dell'art. 340 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, data l'inidoneità di questo ad incidere sulle posizioni soggettive nascenti dal rapporto contrattuale ed aventi consistenza di diritti soggettivi, o che l'appaltatore abbia formalmente impugnato tale atto, atteso che la giurisdizione si determina in ragione dell'intrinseca consistenza della posizione soggettiva addotta in giudizio, rientrando, d'altra parte, nei poteri del giudice ordinario stabilire, verificando in via incidentale la legittimità dell'atto rescissorio, se l'amministrazione abbia violato le clausole contrattuali e vulnerato il diritto soggettivo dell'appaltatore a proseguire nel rapporto” (Corte Cass., Sezione Unite, 18 aprile 2002, n. 5640, Soc. Ideacasa c. Com. Fondi, Giust. civ. Mass. 2002, 675).
“Spettano alla cognizione del giudice ordinario le controversie tra stazione appaltante ed appaltatore in materia di c.d. "rescissione in danno" nei riguardi di quest'ultimo per gravi suoi inadempimenti in sede di esecuzione del contratto, non restando esclusa la giurisdizione ordinaria dal fatto che la p.a. si sia avvalsa della facoltà, prevista dall'art. 340 all. F), l. 20 marzo 1865 n. 2248, che non altera la natura delle posizioni soggettive delle parti del contratto” (Cons. Stato, Sezione V, 11 giugno 2001, n. 3127, Impr. edile Corsini e altro c. Provincia di Bergamo, Foro amm. 2001, f. 6).
“Il contratto di appalto di opere pubbliche è un contratto di diritto privato dal quale, una volta esaurita la procedura di affidamento dei lavori, sorgono diritti ed obblighi a carico di entrambi i contraenti. Da ciò consegue che gli atti con i quali l'Amministrazione esercita la facoltà di recedere dal contratto o di risolverlo unilateralmente con prosecuzione d'ufficio dei lavori in danno dell'appaltatore inadempiente non hanno natura provvedimentale e non debbono essere sottoposti all'esame del giudice amministrativo allorquando se ne contesti la legittimità, poiché la relativa controversia investe posizioni di diritto soggettivo, avendo a oggetto il corretto esercizio di una facoltà accordata dalla legge ad uno dei contraenti in vista dell'interesse alla sollecita esecuzione dell'opera pubblica” (Corte Cass., Sezioni Unite, 7 marzo 2001, n. 95, Vita c. Atc, Giust. civ. Mass. 2001, 352).
“In caso di rescissione ex art. 340 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. F, di un contratto di appalto di lavori pubblici, con conseguenti pretese risarcitorie, va dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Dal raffronto degli art. 6 e 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, appare evidente come la devoluzione alla giurisdizione esclusiva delle controversie relative a procedure di affidamento dei lavori, servizi o forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all'applicazione della normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale (contemplata nell'art. 6), sia distinta dalla omologa devoluzione contenuta nell'art. 33 comma 2 lett. e), nel testo riformulato dall'art. 7 della richiamata l. n. 205 del 2000, concernente i diritti patrimoniali conseguenziali relativi alla sola materia dei servizi pubblici. La clausola del contratto di appalto, sottoscritta ex art. 1341 c.c., ai sensi della quale "ogni contestazione in ordine alla risoluzione d'ufficio potrà dare luogo soltanto al risarcimento danni", rende ultronea la verifica della natura dei poteri esercitati dalla p.a. in fase di esecuzione dei contratti, poiché tale fase pertiene oramai a situazioni di diritto oggettivo” (Cons. Stato, Sezione IV, 29 novembre 2000, n. 6325, Soc. Servizi Tecnici c. Soc. Saline costruz. Scambia e Co., Foro amm. 2000, f. 11 solo massima).
“Appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario la controversia riguardante l'atto di rescissione del contratto d'appalto d'opera pubblica ai sensi dell'art. 340 l. 20 marzo 1865 n. 2248 e dell'art. 27, r.d. 25 maggio 1895 n. 350, in quanto attinente alla fase d'esecuzione del contratto che, anche ai sensi dell'art. 7, l. 21 luglio 2000 n. 205, rimane esclusa dalla giurisdizione del giudice amministrativo” (T.A.R. Piemonte, Sezione II, 17 novembre 2000, n. 1193, Soc. Mazzilli edil. c. Agenzia territoriale casa Torino, Foro amm. 2001, 923 solo massima).
“La controversia avente per oggetto l'atto col quale, ai sensi dell'art. 340 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. f, l'amministrazione esercita il diritto di rescissione da un contratto di appalto per gravi impedimenti dell'appaltatore, investe in via immediata un rapporto giuridico ormai perfezionato ed operativo e pertanto, riguardando posizioni di diritto soggettivo, è demandata alla cognizione del giudice ordinario” (Cons. Stato, Sezione V, 16 marzo 1999, n. 258, Soc. Sirius c. Com. Mentana e altro, Appalti urbanistica Edilizia 2000, 83 nota di Garri).
In senso conforme: Corte Cass., 4 febbraio 2000, n. 1217; Corte Cass., 11 novembre 1994, n. 9409, Fall. 1995, 805; Cons. Stato, Sezione IV, 28 febbraio 1956, n. 281, Cons. Stato, 1956, p. 148.



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