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ARTICOLI E COMMENTI

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Principi generali e regime giuridico dei contratti della p.a.
a cura della redazione
 
1. L'autonomia negoziale della pubblica amministrazione.
1.1. Attività privata dell'amministrazione e attività di diritto privato.
L'attività contrattuale della p.a. in passato, era stata sempre considerata specularmente inversa a quella autoritativa e funzionale, dipendendo l'agire iure gestionis o iure imperii dalla posizione di supremazia o meno in cui operasse l'amministrazione.
Oggi, invece, il discrimine si pone tra finalità pubblicistiche e privatistiche perseguite dalla p.a., in quanto è acquisita la consapevolezza che, anche attraverso l'attività contrattuale, la p.a. può realizzare un fine pubblico.
Non è sostenibile però, una completa fungibilità fra contratto e atto amministrativo, almeno con riferimento alla cd. attività di spettanza necessaria della pubblica amministrazione (ad es. quella militare e di pubblica sicurezza).
Dunque in senso stretto, attività privata della p.a. è solo quella che l'organizzazione amministrativa pone in essere per la cura in via immediata di interessi suoi propri e non già per quelli della collettività.
Viceversa, l'attività amministrativa di diritto privato è attività amministrativa in senso proprio, afferendo alla cura di interessi della collettività, con l'unica caratteristica di svolgersi mediante atti di diritto privato.
1.2. La capacità contrattuale della p.a.
La questione investe la più ampia tematica della legittimazione ad agire degli enti pubblici. Al riguardo occorre, però, precisare che il problema non si pone certo per quelli imprenditoriali, in quanto è scontato che essi utilizzano quasi esclusivamente lo strumento contrattuale, quanto, piuttosto, per quelli funzionali. Per essi, infatti, è discusso se possano in qualche modo godere, al pari di quelli privati, anche di autonomia negoziale, in considerazione dei fini pubblici che sono deputati a perseguire per legge e per statuto.
La soluzione è di massima positiva, ma richiede necessariamente alcune precisazioni. Venendo in rilievo l'attività di enti immateriali, occorre verificare quali siano i limiti che il legislatore abbia inteso porre al loro regime giuridico. Sotto questo aspetto, secondo le più moderne vedute di teoria generale che fanno coincidere la soggettività con la capacità giuridica spettante, come tale, a tutti, persone fisiche o giuridiche, ai sensi dell'art. 2 della Costituzione, deve escludersi che possa porsi una distinzione tra enti immateriali pubblici e privati. E, poiché l'autonomia negoziale è il precipitato logico giuridico dell'iniziativa economica, che compete, come manifestazione di libertà, a qualunque soggetto (pubblico o privato che sia), non v'è dubbio che afferisca anche agli organi dell'amministrazione statale e agli enti pubblici funzionali.
Il problema si pone, allora, in termini diversi, investendo i limiti posti dalla legge o dallo statuto a tali soggetti. Vi sono, infatti, organi o enti che perseguono fini generali (come ad es. quelli dell'apparato statale o i comuni), per i quali non è prevista preclusione di sorta alla legittimazione; altri che, invece, presentano limiti legali o statutari in tal senso, per i quali vige il principio nec ultra vires, ed altri ancora, cui lo statuto o la legge assegnano una competenza non puntualmente individuata, ma circoscritta settorialmente, che danno adito a dubbi.
La soluzione che viene prospettata al riguardo, obbedisce ad una regola di prassi, oltre che giuridica: tutto ciò che non è vietato è consentito, ma la giurisprudenza utilizza il criterio secondo cui tutti quei contratti che si presentino strumentali o complementari allo scopo dell'ente, sia pure genericamente inteso, possono essere adottati.
1.3. Le varie categorie di contratto.I contratti che concludono le amministrazioni pubbliche possono suddividersi, alla luce delle indicazioni giurisprudenziali, in tre categorie.
1.3.1. Contratti ordinari.
La prima è costituita dai contratti che possono dirsi ordinari, o di diritto comune, come la compravendita, la locazione, la somministrazione, ecc.; sono quei contratti che qualunque soggetto può concludere avvalendosi della propria autonomia privata e delle norme di diritto privato; essi non subiscono modifiche dovute al fatto che una delle parti sia una amministrazione pubblica.
Tra la giurisprudenza più significativa che fa riferimento a tale categoria di contratti si può ricordare: Corte conti, sez. contr., 24 aprile 1990, n. 14; Cass., 22 novembre 1978, n. 5444; Cons. Stato, sez. I, 7 giugno 1974, n. 3149; Corte conti, sez. contr., 17 maggio 1991, n. 56; Cass., 25 agosto 1993, n. 8975.
Utili indicazioni per la individuazione della categoria di contratti della pubblica amministrazione qualificati "ordinari" si rinvengono ancora nel contributo giurisprudenziale che ha differenziato il contratto di pubblica fornitura dalla compravendita di beni e dall'appalto di opere.
Il contratto di pubblica fornitura è caratterizzato dalla consegna periodica all'amministrazione di quantità determinate di beni mobili per la soddisfazione di particolari e ricorrenti bisogni di questa, indipendentemente dalla circostanza che gli stessi beni siano dal soggetto fornitore reperiti sul mercato ovvero siano da lui prodotti; ove manchino la continuità e la periodicità della prestazione di "dare" e la commisurazione al fabbisogno della parte creditrice, pertanto, non può configurarsi la fattispecie della fornitura somministrazione, bensì quella della compravendita ovvero quella dell'appalto, nella quale ultima i materiali sono forniti dall'appaltatore e passano nella proprietà del committente con l'accettazione (se trattasi di costruzione di cose mobili) ovvero per effetto di accessione, ove si tratti di costruzione di cose immobili (Cons. Stato, sez. VI, l0 marzo 1990, n. 342).
Alla categoria dei contratti ordinari fa riferimento la giurisprudenza quando afferma che sarebbero riferibili ai contratti di locazione stipulati dalla pubblica amministrazione le disposizioni dettate dalla legge sull'equo canone n. 392/1978, e in particolare l’art. 28 sul rinnovo tacito per le locazioni di immobili non adibiti ad uso abitativo (Conti conti, sez. contr., 11 settembre 1990, n. 49; e Cons. Stato, Sez. V, 13 maggio 1991, n. 809).
Inoltre l'amministrazione nell'esplicazione dell'attività contrattuale deve comunque predisporre adeguate misure volte a ridurre i margini di discrezionalità, sia attraverso una più penetrante e analitica valutazione preventiva dei costi, sia limitando la libertà di scelta del contraente, sia svolgendo una idonea azione ispettiva e di controllo consuntivo sui rendiconti (Corte conti, sez. contr. enti, 12 febbraio 1992, n. 5). E più in generale, è stato affermato che lo strumento contrattuale non può prescindere dalla predeterminazione e dalla pubblicazione di criteri diretti in materia (Corte conti, sez. contr., 20 giugno 1990, n. 38).
1.3.1.1. Contratti misti.
Infine, non è escluso che l'amministrazione, nell'ambito del proprio potere contrattuale di natura "ordinaria" possa stipulare contratti "misti", con l'osservanza delle norme di contabilità previste per ciascun negozio compreso nel contratto; pertanto, alla stipulazione devono partecipare di concerto le varie amministrazioni competenti a stipulare ciascun negozio compreso nel contratto misto, con imputazione nei relativi capitoli di bilancio.
In caso di contratti misti, è opportuno che la pubblica amministrazione disciplini con apposite clausole i rapporti esterni con l'altro contraente, stabilendo, per quanto attiene alle vicende contrattuali che esigono una disciplina unitaria (forma, capacità, ecc.), l'applicabilità della normativa vigente per il negozio prevalente e, per la parte relativa alle caratteristiche di ciascun rapporto e agli obblighi e diritti delle parti, l'applicabilità della normativa concernente il singolo corrispondente negozio (Cons. Stato, sez. I, 11 novembre 1977, n. 2062\76).
In presenza di contratti misti la Cassazione ha affermato che ai fini della distinzione tra vendita e appalto, nei casi in cui la prestazione di una parte consista sia in un dare che in un fare, occorre avere riguardo allo scopo essenziale del negozio e al significato che, in relazione ad esso, la fornitura della materia e la prestazione d'opera assumono nella comune intenzione delle parti. Si configura, pertanto, non una vendita, ma un appalto allorquando la prestazione della materia costituisce un semplice mezzo per la produzione di un'opera che sia lo scopo essenziale del negozio, di modo che le modifiche da apportare a cose, pur rientranti nella normale attività produttiva dell'imprenditore che si obbliga a fornirle ad altri, consistono non già in accorgimenti secondari diretti ad adattarle alle specifiche esigenze del destinatario della prestazione, ma siano tali da dar luogo ad un opus perfectum di valore determinante al fine del risultato da fornire alla controparte (Cass., sez. un., 9 giugno 1992, n. 7073).
La Cassazione, inoltre, ha precisato che è da qualificarsi appalto e non vendita, di cosa futura il contratto con cui un imprenditore si obbliga a fornire ad un altro soggetto, manufatti che rientrano nella propria normale attività produttiva apportando ad essi modifiche consistenti non in semplici accorgimenti tecnici marginali e secondari diretti ad adattare il prodotto alle specifiche esigenze dell'acquirente ma tali da dar luogo ad un prodotto diverso, nella sua essenza, da quello realizzato normalmente dal fornitore e richiedente altresì un cambiamento dei mezzi di produzione predisposti per la lavorazione in serie, vale a dire un'attività di progettazione e di assembramento dei pezzi, compiuta dal personale dell'impresa con attrezzature idonee allo scopo, con rilevante incidenza del costo del lavoro, e assunzione, da parte del fornitore medesimo, della piena responsabilità del progetto e dell'esecuzione delle opere a lui affidate.
1.3.2. Contratti speciali.
La seconda categoria è costituita da contratti che possono qualificarsi speciali, nel senso che sono regolati da norme di diritto privato speciali, contenute per lo più in leggi speciali. Così ad esempio, taluni contratti di credito speciale (agrario, cinematografico, industriale, ecc.) propri di enti pubblici creditizi; così il contratto di trasporto ferroviario, di prestito pubblico ed altri.
In tale categoria di contratti rientra anche la concessione di crediti per il finanziamento dello spettacolo, che riveste una particolare finalità, dal momento che la tempestiva erogazione del contributo pubblico, oltre a consentire l'ordinato, svolgimento della attività istituzionale di un ente operante nel campo della cultura - costituisce strumento di miglioramento della situazione economico-finanziaria, in quanto impedisce il maturarsi di interessi passivi e gli indebitamenti connessi alle tardive liquidazioni (Corte conti, sez. contr. enti, 14 giugno 1987, n. 1922).
Questi contratti si distinguono dai precedenti perché solo pubbliche amministrazioni li possono porre in essere; ciò può accadere perché esse sono riservatarie ex lege o monopoliste di quella certa attività imprenditoriale (monopoli del tabacchi e del sale, trasporti ferroviari); perché si accompagnano all'emissione di titoli si credito ai quali occorre in qualche modo dare certezza (cartelle di credito fondiario, cartelle di debito pubblico).
Gruppo a sé formano quei contratti che richiedono organizzazioni complesse e costose, che privati non avrebbero convenienza ad istituire (contratti di ricerca scientifica, ecc.), i quali non tanto sono <> quanto <> tra privati.
1.3.3. Contratti ad oggetto pubblico.
La terza è costituita dai contratti ad oggetto pubblico.
Questi contratti hanno la caratteristica di collegarsi in modo più o meno stretto ad un provvedimento amministrativo, del quale costituiscono un supplemento necessario o una integrazione o talvolta proprio una alternativa di realizzazione.Sono state così coniate all'interno di tale categoria tre specie di contratti, qualificabili come accessivi a provvedimenti, ausiliari o sostitutivi di provvedimento.
Il paradigma normativo si rinviene nell'art. 11, l. n. 241 del 1990. Tale disposizione sancisce che in accoglimento di osservazioni e proposte presentate dai privati interessati e partecipi del procedimento amministrativo, la p.a., senza pregiudicare i diritti dei terzi e comunque nel perseguimento del pubblico interesse, può concludere accordi - da stipulare a pena di nullità con atto scritto, salve le eccezioni di legge - al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale, ovvero, nei casi previsti dalla legge, addirittura in sostituzione di questo. In quest'ultima ipotesi l'accordo è soggetto ai medesimi controlli previsti per il provvedimento sostituito. L'amministrazione conserva il potere di recedere unilateralmente dall'accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, salvo l'obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo per gli eventuali pregiudizi prodottisi in danno del privato. Per favorire la conclusione di tali accordi, è prevista la redazione di un calendario di incontri fra il responsabile del procedimento ed i soggetti interessati o controinteressati al provvedimento finale (o all'accordo sostitutivo).Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

2. Ambito applicativo delle norme di contabilità generale dello Stato.
I contratti dello Stato e degli altri enti pubblici funzionali sono soggetti, relativamente alla loro formazione e alla scelta del contraente privato, alla disciplina dettata dalla legge di contabilità pubblica, approvata con regio decreto n. 2420 del 18 novembre 1923, e, del relativo regolamento attuativo n. 827 del 23 maggio 1924, che richiedono l'esperimento di un particolare iter procedimentale volto ad evidenziare le ragioni di pubblico interesse che giustificano il ricorso allo strumento contrattuale.
Occorre sottolineare che la normativa di contabilità generale è posta in via immediata e diretta a tutela degli enti pubblici e solo di riflesso a salvaguardia delle aspettative delle imprese. Viceversa, la normativa comunitaria in materia di appalti è posta a presidio degli interessi delle imprese a vedere sviluppato il confronto in un ambiente concorrenziale ed è priva di un impianto sistematico.
Il sistema della contabilità di Stato si presenta come un corpo di norme speciali caratterizzate da completezza ed organicità, sicchè l'applicazione delle disposizioni che con esso interferiscono (in quanto derogatrici, integrative o suppletive), va circoscritto entro i limiti che ne hano giustificato l'introduzione, in modo tale da rispettare i dati fondamentali della legislazione contabile pubblica (cfr. Corte conti, sez. contr. Stato, 7 giugno 2000, n. 5).
La materia contrattuale non ha mai avuto caratteristiche di uniformità per tutte le amministrazioni pubbliche potendo essere considerata strumentale alle funzioni dei diversi livelli di governo.
Tuttavia, si registra una sostanziale uniformazione delle regole relative all'aggiudicazione grazie all'influenza della normativa comunitaria tesa a garantire il principio di libera concorrenza; non così per altre fasi della procedura come ad esempio in tema di approvazione (come si vedrà meglio in prosieguo).
2.1. Ambito soggettivo: enti pubblici economici, aziende municipalizzate, contratti speciali e convenzioni organizzatorie.
A tale disciplina erano sottratti gli enti pubblici economici e le aziende municipalizzate, in quanto operanti secondo lo statuto dell'imprenditore privato, salvo che per gli atti di supremo indirizzo e direzione. Regioni ed enti locali, viceversa, si adeguavano al regime dell'evidenza pubblica, gli uni con le proprie leggi ed i propri statuti, gli altri con i regolamenti, per soddisfare esigenze di trasparenza e di controllo.
Del resto furono proprio esigenze di controllo della spesa pubblica e di imparzialità, trasparenza ed efficienza dell'azione amministrativa ad imporre che per legge un procedimento pubblicistico, innestato sul normale iter formativo del contratto, ne verificasse la ricorrenza dei presupposti giustificativi (i motivi di pubblico interesse), il rispetto di requisiti di forma e di pubblicità, l'idoneità e l'affidabilità tecnico - organizzativa ed economica degli aspiranti contraenti fra cui operare la scelta, la rispondenza effettiva delle loro offerte ai criteri tecnici, economici ed efficientistici predeterminati per individuare quella ottimale, il riscontro finale del contratto concluso alla luce di parametri di legittimità e di opportunità.
Con le leggi di privatizzazione del 1992 e del 1994 e la trasformazione degli enti impresa, degli enti di gestione, delle aziende autonome statali e di quelle municipali in società per azioni a partecipazione pubblica, e, la sempre più pervasiva interferenza del diritto comunitario nel diritto interno, soprattutto nella materia dei lavori e delle opere pubbliche, si prospettarono anche per le società di nuovo conio, così come già da tempo era avvenuto per i concessionari di opere, pubbliche, specie per quelli che fungevano da vere e proprie stazioni appaltanti in luogo delle amministrazioni, ponderosi problemi interpretativi concernenti la loro soggezione o meno al regime garantistico dell'evidenza pubblica, imposta a livello comunitario per assicurare i principi di libertà concorrenziale e di non discriminazione, minati dalla presenza sul mercato di soggetti beneficiari di interventi di supporto, sovvenzionamento o agevolazione di qualsiasi tipo da parte di apparati pubblici.
Analogo problema si pose con riferimento alle scelte delle nuove società privatizzate relativamente all'accesso partecipativo di soci privati.
Sembrano prevalere nella giurisprudenza le soluzioni tese a privilegiare la sostanza pubblicistica sulle forme, anche alla luce della nuova figura comunitaria dell'"organismo di diritto pubblico".
Alla procedura dell'evidenza pubblica devono considerarsi soggetti anche i cd. contratti di diritto speciale o amministrativi (oltre, naturalmente quelli previsti dal codice civile, di cui si è già detto), che non presentano particolarità di rilievo, se non per quanto riguarda l'aspetto disciplinatorio, che, in parte, deroga alle corrispondenti figure di diritto civile (si pensi all'appalto pubblico o di pubblica fornitura).
Del pari ne sono assoggettati quei contratti di diritto comune che vengono stipulati tra enti pubblici, detti anche convenzioni patrimoniali di diritto pubblico che non presentano particolarità di rilievo, se non per quanto riguarda la qualità di soggetti pubblici di entrambi i contraenti.
Particolari connotazioni assumono, invece, i cd. contratti di diritto pubblico o ad oggetto pubblico, in quanto presentano un collegamento tra un atto amministrativo (di solito concessorio, cd. concessioni contratto, o autorizzatorio ad esempio le convenzioni di lottizzazione), che ha il ruolo di rimuovere un limite pubblicistico all'accesso a beni, servizi o attività riservate a pubblici poteri da parte di privati (rispetto al quale la p.a. agisce in veste di supremazia), ed un contratto che serve a regolare gli aspetti patrimoniali che afferiscono al rapporto che scaturisce dal provvedimento.
Le convenzioni organizzative utilizzate soprattutto dagli enti pubblici specie locali, per regolare servizi di comune interesse, o, comunque, interferenti nelle rispettive sfere di competenze, sono soggette alla procedura dell'evidenza pubblica, se vengono definite contrattualmente, diversamente sono soggetti al regime procedimentale della legge 241/90 se si traducono negli accordi di cui all'art. 15, ovvero a quello di cui all'art. 22 della legge 142/90, se modellate secondo la forma degli accordi di programma.
Ne consegue (come meglio si vedrà in seguito) che restano esclusi dalla sfera di applicazione del regime dell'evidenza pubblica i cd. contratti di economato, con cui l'amministrazione si procura beni di uso quotidiano e di modesto valore economico ed i c.d. cottimi fiduciari, anch'essi richiedenti la ricorrenza di specifici presupposti, e, soprattutto, una minima entità di spesa.
2.2. La competenza dello Stato a disciplinare la materia contrattuale dopo la riforma in senso federalistico della Costituzione.
La legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha modificato il titolo V della Costituzione, mutando radicalmente il criterio di riparto di competenze legislative e amministrative tra i vari livelli di governo, e riservando allo Stato il potere normativo esclusivo con riferimento ad alcune tassative materie.
Ad una prima lettura del novellato testo costituzionale, sembrerebbe che la materia relativa all’attività contrattuale della p.a. (o meglio la materia dell’evidenza pubblica) non sia più di competenza statale, tranne che per i contratti dello Stato e, più in generale, per quelli che possono essere conclusi nelle materie di competenza statale, nei confronti delle quali l’attività contrattuale potrebbe essere considerata in qualche modo accessiva: né essa è ricompresa tra le materie devolute alla competenza concorrente.
La questione deve essere esaminata anche alla luce di altri indici normativi.
Il nuovo art. 117 Cost., prevede la competenza legislativa statale concorrente in materia di armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; l’art. 119 Cost. dispone che le regioni e gli enti locali rispettino il principio del coordinamento della finanza pubblica, sicché non è escluso che, disciplinando siffatta materia, possano essere sfiorate anche questioni attinenti all’attività contrattuale.
Sempre l’art. 117 Cost. attribuisce allo Stato la competenza legislativa esclusiva sull’ordinamento contabile, ma solo per quanto attiene l’ambito statale. Questa norma sembrerebbe confermare la sussistenza della competenza legislativa statale per i contratti dello Stato: rimane sullo sfondo il problema della effettiva ed attuale riconducibilità della disciplina dei contratti nell’ambito della materia contabile.
In ogni caso, accedendo alla tesi sopra prospettata, in ordine ai contratti dei soggetti non statali, le regioni potrebbero legiferare in materia anche in deroga alla legge di contabilità: gli unici limiti stabiliti dal nuovo art. 117 per la potestà legislativa delle regioni nelle materie di competenza residuale, sembrerebbero, infatti, quelli del rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, oltre ché ovviamente, dalla Costituzione.
Questo sempre che la Corte costituzionale non enuclei dal nuovo testo costituzionale, anche muovendo dal riferimento all’unità dell’ordinamento garantita dall’art. 102 Cost., ed attraverso un’interpretazione tradizionale, il rispetto dei principi generali dello Stato – ricavabili anche dalla legge di contabilità. In questo senso si è già pronunciata, in passato, la Corte costituzionale che ha riconosciuto il carattere sostanziale delle disposizioni costituenti norme fondamentali e principi della legislazione dello Stato, con la precisazione che costituiscono norme fondamentali di riforma economico sociale soltanto i principi desumibili dalle disposizioni di legge e non le singole norme (cfr. Corte cost., 7 novembre 1995, n. 482).
Un’ulteriore problematica è quella relativa alla disciplina delle funzioni fondamentali degli enti locali che spetta allo Stato ex art. 117, e che potrebbe essere invocata per giustificare una disciplina statale di alcuni profili dell’attività contrattuale degli enti locali.
Parrebbe immutata, infine, la disciplina civilistica del contratto dato che, ai sensi del novellato art. 117, l’ordinamento civile rientra fra le materie in cui lo Stato ha competenza esclusiva.
In presenza di un quadro di tal fatta, è forte la preoccupazione di una scoordinata proliferazione di modelli regionali. Comunque, fino a quando le regioni non avranno legiferato in materia, sembra sufficientemente assodato che rimarranno in vigore le disposizioni legislative statali (cfr. Corte cost., 23 gennaio 1974, n. 13).

3. Disciplina dei contratti della P.A. in base alle norme di contabilità generale.
A parte le regole specifiche che si illustreranno nel corso della trattazione, si deve qui sottolineare che, poiché una delle parti del contratto è un organo o un ente pubblico, vige in materia una disciplina che in parte deroga a quella comune.
Le regole sull'evidenza pubblica in quanto di ordine pubblico, sono inderogabili, e, poiché sono poste a salvaguardia dell'azione amministrativa, la loro violazione non può esser fatta valere che dalla Pubblica Amministrazione, il che comporta un aggravamento di oneri e obblighi a carico del contraente privato di non poco momento.
3.1. Il rispetto dei capitolati.
La p.a. suole servirsi, per la conclusione di tali contratti, dei cd. capitolati, incidenti negativamente sulla posizione contrattuale della controparte.
I capitolati sono atti contenenti clausole precettive unilateralmente predisposte dalla p.a., per regolare in modo uniforme modalità e contenuti di certi tipi di contratto, suscettibili di utilizzo non predeterminato.
Si distinguono due tipi di capitolato: generale e speciale.
Il capitolato generale contiene prescrizioni generali ed astratte e per tale caratteristica, l'individuazione della sua natura giuridica ha dato vita a due tesi. La prima propende per la natura normativa, in quanto l'organo deputato alla contrattazione deve uniformare necessariamente le sue scelte alle regole e ai parametri predeterminati dal capitolato, senza potersene discostare, se non incorrendo in responsabilità amministrativa (tale tesi è seguita dalla giurisprudenza più recente della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale).
La seconda tesi opta per la natura contrattuale, assimilando i capitolati a condizioni generali di contratto predisposte unilateralmente per la regolamentazione di una serie di contratti.
Il problema non è solo teorico giacchè, seguendo la tesi contrattuale, troveranno applicazione le norme del diritto civile che tutelano il contraente debole di fronte al fenomeno della contrattazione unilaterale a mezzo condizioni generali, dei contratti di massa o standards, con la conseguente applicabilità della disciplina di derivazione comunitaria (direttiva n. 13 del 1993, recepita in Italia dalla l. 16 febbraio 1996, n. 56), che rafforza la tutela del consumatore e che sicuramente è applicabile allorquando la p.a. opera quale produttrice di beni o servizi, tramite enti pubblici economici, imprese pubbliche, società a partecipazione pubblica, organismi pubblici.
Un cenno a parte merita il capitolato generale sui lavori pubblici (decreto del Ministero dei lavori pubblici 19 aprile 2000, n. 145) che ha, per espressa volontà del legislatore, natura normativa, contenendo la disciplina regolamentare dei rapporti tra le amministrazioni aggiudicatrici e gli affidatari di lavori pubblici (art. 1, comma 1). Le disposizioni del capitolato devono essere pertanto espressamente richiamate nel contratto di appalto, esse si sostituiscono di diritto alle eventuali clausole difformi di contratto o di capitolato speciale, ove non sia diversamente disposto da leggi successive.
Il capitolato speciale, ai sensi dell'art. 2, r.d. n. 827 del 1924, è preordinato a definire particolari aspetti dell'oggetto del contratto ed ha, per pacifica opinione, natura contrattuale.
3.2. L'interpretazione del contratto
Nell'interpretazione del contratto, in deroga a quanto previsto dal codice civile, deve essere data prevalenza al tenore letterale dell'atto, e, ciò perché esso è soggetto ad un rigido formalismo, oltre che ad un rigoroso iter procedimentale. Inoltre, poiché prevede la partecipazione di più organi per la conclusione, sarebbe difficile individuare la cd. comune intenzione delle parti al di là del dato espressivo testuale.
Si riconosce, tuttavia, una certa sfera di applicazione anche alla cd. interpretazione extratestuale, con riferimento soprattutto alla attività esecutiva del contratto o a quella che lo ha preceduto o accompagnato. Il criterio della buona fede interpretativa trova qui un certo spazio che non è, pero, eccessivamente ampio; con esso si cerca di ovviare a quelle incongruenze o cavilli che potrebbero sorgere in sede di esecuzione del contratto. Si ritiene che, in materia, possa operare il principio di conservazione ed, anzi, si afferma che la cd. presunzione di legittimità degli atti amministrativi altro non sarebbe che un criterio di interpretazione oggettiva, per cui, in caso di dubbio, si dovrebbe optare per la soluzione della sua legittimità.
Si ritiene, invece, inapplicabile la clausola contra stipulatorem, per cui, nel conflitto tra le aggiunte o le sostituzioni incompatibili con le norme dei capitolati in caso di loro nebulosità, debbono prevalere quelle predisposte nei capitolati.
Per quanto riguarda i contratti stipulati dagli enti pubblici economici, il principio interpretativo di buona fede trova la più ampia applicazione, in conformità degli schemi privatistici.
Le altre deroghe alla disciplina privatistica riguardano essenzialmente aspetti relativi alla inammissibilità della compensazione di crediti della p.a. verso privati; mentre, per quanto riguarda l'iter procedimentale, a parte l'applicazione delle regole sull'evidenza pubblica alla formazione del contratto, soprattutto in materia di esecuzione contrattuale, trovano generalmente applicazione le norme, del codice civile, e, quindi, esiste un certo spazio anche per il principio di buona fede integrativa, fatta eccezione per qualche deviazione rispetto alle regole generali.
3.3. La forma scritta.
V'è ancora da precisare che proprio le regole dell'evidenza pubblica impongono una deroga al principio della libertà delle forme, richiedendosi, qui, rigorosamente l'esternazione scritta ad substantiam (dell'atto notarile o di altra forma prevista specificamente dalla legge in materia).
In tal senso depongono le norme contenute negli artt. 16 e 17 della legge di contabilità generale.
La ratio dell'obbligo viene identificata nell'esigenza di individuare con esattezza il contenuto negoziale dell'atto, di rendere possibili i controlli delle autorità tutorie, di evitare elusioni al principio di copertura finanziaria degli atti di spesa (cfr. da ultimo Cass. civ., sez. I, 3 gennaio 2001, n. 59; Corte conti, sez. contr. Stato, 3 giugno 1999, n. 39).
In giurisprudenza si ritiene non necessaria la contestualità della manifestazione della volontà negoziale (cfr. Corte Cass., 18 luglio 1997, n. 6629; 13 maggio 1997, n. 4185) e si precisa che in tema di affidamento di incarichi professionali il requisito della forma scritta riguarda il contratto tout court, essendo esclusa la possibilità di ricavarlo aliunde, come sovente accade avuto riguardo alla delibera di conferimento dell’incarico (che è un mero atto presupposto, come tale irrilevante ai fini della validità del contratto non potendo integrare una proposta contrattuale nei confronti del professionista essendo un atto ad efficacia interna), ovvero dall’inclusione della prestazione nel programma economico dell’ente (cfr. Cass. 13 giugno 2000, n. 8023; 8 marzo 2000, n. 2619).
La forma orale è tollerata soltanto per minute ed occasionali spese di economato (cfr. Corte conti, sez. contr., 4 aprile 1995, n. 51).
Un orientamento assolutamente minoritario ritiene sufficiente ad integrare il requisito della forma scritta lo scambio di dichiarazioni scritte tra i contraenti, non considerando indispensabile che il contratto con l’ente pubblico sia redatto in forma pubblico – amministrativa; ciò sull’assunto che la successiva redazione dell’atto in tale forma può ritenersi ordinata a finalità meramente riproduttive del consenso già manifestato ed in vista dei prescritti controlli (cfr. Cass. 20 giugno 1990, n. 6210).
L’art. 17 regio decreto n. 2440 del 1923 prevede che i contratti possano essere conclusi mediante trattativa privata e scambio di corrispondenza (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 19 febbraio 1999, n. 178).
Il formalismo giustifica anche le regole particolari riguardanti la legittimazione degli organi abilitati a stipulare per l'ente, che, come detto, si immedesimano in esso, ma in questa materia solitamente le indicazioni specifiche sono fornite dallo statuto dell’ente.
3.4. Il procedimento dell'evidenza pubblica. Il c.d. contratto claudicante.
L'iter procedimentale dell'evidenza pubblica si articola in varie fasi: quella preliminare o prodromica, cui inerisce la delibera a contrattare; quella della scelta del contraente; quella della conclusione del contratto e quella della sua approvazione (in funzione di controllo).
Il privato fruisce di una diversa tutela giurisdizionale a seconda della fase del procedimento in cui si verifichi la lesione della sua sfera soggettiva. A seguito delle innovazioni introdotte dagli artt. 33 e 35 del d.lgs. n. 80/98 e dall'art. 6 della legge n. 205/2000, sono state attratte alla giurisdizione esclusiva tutte le controversie impugnatorie e risarcitorie attinenti ad atti e comportamenti della p.a. inerenti allo svolgimento dell'intero iter procedimentale dell'evidenza pubblica, col risultato di estendere il sindacato del giudice amministrativo a tutte le questioni di responsabilità precontrattuale derivanti da illegittime limitazioni o esclusioni dalla gara o dall'aggiudicazione, e di concentrare innanzi allo stesso giudice, ed eventualmente, in un si multaneus processus, istanze di annullamento e di risarcimento del danno, an che in forma specifica. Viceversa, tutte le controversie inerenti alla fase successiva alla conclusione della procedura, ossia quelle concernenti l'esecuzione del contratto, in quanto involgenti questioni di lesione di diritti soggettivi perfetti (all'adempimento, alla risoluzione ecc.), sono devolute alla giurisdizione del l'autorità giudiziaria ordinaria, salvo quanto previsto dalla lett. e) del 2° comma dell'art. 33 del d.lgs. 80/98 (controversie riguardanti le attività e le prestazioni rese nell'espletamento dei servizi pubblici), e quanto si dirà in ordine all'impu gnativa degli atti di autotutela decisoria (annullamenti, revoche) adottati nel corso di tale fase.
3.4.1. La delibera a contrarre.
Passando all'analisi degli atti della procedura dell'evidenza pubblica va detto che la delibera a contrattare contrassegna il momento della apertura dell'iter procedimentale ed è, precisamente, l'atto con il quale l'amministrazione manifesta all'organo di controllo, illustrandone le ragioni di pubblico interesse che lo supportano, l'intento di dare corso alla procedura per addivenire alla conclusione di un contratto, allegandovi un progetto puntuale ed esecutivo, ovvero di massima (in caso di concorso di idee) ed indicando la relativa procedura di scelta che intenda adottare. Come manifestazione di desiderio e di rappresentazione d'intento assume, pertanto (soprattutto quando provenga da organi dello Stato), una efficacia puramente interna, purché investa l'apparato statale, diversamente, dovendo essere comunicata all'organo di controllo, avrebbe efficacia esterna.
A chiunque venga indirizzata (ad altro organo dello stesso o di altro ente), essa, perciò, non fa nascere alcuna situazione soggettiva tutelabile in capo a terzi potenzialmente interessati, i quali non potranno pretendere che la delibera in parola venga necessariamente eseguita. Tanto più che quest'ultima spesso non è neppure conoscibile, almeno fino a quando (in esecuzione di essa), non si provveda alla pubblicazione di un bando o all'inoltro delle lettere di invito ai vari concorrenti.
In ogni caso, deve considerarsi un atto ineliminabile del complesso iter procedimentale e la sua mancanza determina illegittimità di tutti gli atti della sequenza procedimentale per invalidità derivata.
Tuttavia, si è ritenuta possibile una sanatoria successiva. Ciò si verifica quando l'amministrazione, aderendo in via postuma all'intervenuta stipulazione con il contraente privato, evidenzi in modo inequivoco proprio quella volontà di contrattare a suo tempo mancata. Prima che fosse varato il programma di semplificazione amministrativa inaugurato con le leggi nn. 59/97 e 127/97, la delibera a contrarre era soggetta, per le amministrazioni statali, al parere di legittimità e di merito del Consiglio di Stato, che si esplicava soprattutto sul progetto di contratto. Successivamente, per non appesantire in modo eccessivo l'iter procedimentale, tale parere è stato abolito, residuando unicamente per i contratti quadro e per quelli di programma.
3.4.2. La scelta del contraente.
3.4.3. I bandi.
Nell'ambito dei modi meccanici di selezione delle offerte e dei contraenti, assume particolare rilievo il bando di gara, contenente l'insieme delle regole che l'amministrazione elabora e si autovincola a rispettare, imponendole anche all'osservanza degli aspiranti, come norme di disciplina del singolo iter procedimentale. Il contenuto del bando di gara è normalmente riproduttivo delle prescrizioni normative e di quelle imposte dai capitolati generali e speciali, che riguardano il singolo contratto. Esso rende ostensibile anche la delibera a contrarre, il sistema di scelta del contraente, il progetto (di solito esecutivo) del contratto ed il prezzo base, ovvero i criteri per individuare quello che l'amministrazione ritiene più idoneo, oltre che i requisiti soggettivi ed oggettivi di partecipazione, specificativi di quelli riportati nei capitolati. E' richiesta, inoltre, l'osservanza di adeguate misure di pubblicità (bollettini, fogli annunzi, quotidiani), e di un lasso di tempo idoneo a consentire la predisposizione di quanto necessario per assicurare agli aspiranti la partecipazione alla gara. Il bando, con le sue prescrizioni procedimentali e sostanziali, viene usualmente considerato, anche a cagione dell'autovincolo che impone alla p.a., lex specialis dell'intero sistema di aggiudicazione. Infatti, se calato negli schemi civilistici, potrebbe presentare gli estremi di una proposta al pubblico di carattere irrevocabile, poi destinata a combinarsi, ai fini del consenso contrattuale, con le offerte degli astanti, quanto quelli di un invito ad offrire (figura, questa, forse più calzante), che richiederebbe la formulazione di una proposta da parte dei concorrenti che, se accettata, varrebbe a contrassegnare il momento perfezionativo dell'accordo.
Si ammette comunemente l'impugnativa, negli ordinari termini di decadenza, del bando che contenga clausole immediatamente lesive nei confronti degli aspiranti partecipanti alla gara. Pertanto, ove ciò si verifichi, il candidato potrà adire il giudice amministrativo, contestando, ad esempio, una clausola che lo escluda illegittimamente dalla gara, ovvero che stabilisca delle modalità di svolgimento di quest'ultima non conformi a diritto; il termine di decadenza decorrerà dall'effettiva conoscenza delle stesse - solitamente quindi, dal momento in cui si presenta domanda di partecipazione o direttamente l'offerta; la presentazione della domanda o dell'offerta, inoltre, è indispensabile per qualificare la posizione soggettiva del privato rispetto a quella del quivis de populo (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 24 gennaio 2002, n. 397; sez. V, 22 marzo 1999, n. 302; sez. V, 11 gennaio 1999, n. 1757).
3.4.4. L'aggiudicazione.
La fase finale dei procedimento di evidenza pubblica si articola in due atti, legati tra loro in sequenza procedimentale: l'aggiudicazione e l'approvazione.
La prima, che contrassegna solitamente il momento terminale dei modi di scelta meccanici, si traduce in un'operazione con cui l'amministrazione, dopo aver verificato i risultati della gara o riscontrato la conformità delle offerte alle condizioni e ai requisiti da essa predeterminati, provvede a formalizzarli in un atto che vale nel contempo a perfezionare il contratto e ad individuare l'altro contraente. Viene, pertanto, annoverata nella (discussa) categoria dei cd. accertamenti costitutivi. Essa, però, può variamente connotarsi sotto il profilo della esternazione, poiché o è atto autonomo cui fa seguito la stipulazione di un formale contratto, o è inglobata in esso (come avviene spesso a seguito di trattativa privata), ovvero esprime direttamente l'accordo contrattuale di cui costituisce espressione formale, che non richiede una successiva stipulazione. Ciò av viene, soprattutto, per le aggiudicazioni che conseguono ai modi di scelta del contraente privato di tipo meccanico, che si concludono con un verbale di aggiudicazione sottoscritto dalle parti, le cui firme vengono debitamente autenticate dal cd. ufficiale rogante.
In ogni caso, quando ad essa fa seguito la stipulazione formale (di regola notarile), occorre verificare quale ruolo la legge attribuisca a quest'ultimo atto.
Se la norma lo richiede ad substantiam, è solo dalla data della stipulazione che il contratto può ritenersi perfezionato. Lo stesso è a dirsi nel caso in cui occorra verificare dopo l'aggiudicazione la ricorrenza di ulteriori atti o fatti, ovvero si richieda la loro integrazione postuma. Diversamente la stipulazione assume mero valore formale riproduttivo di un contratto già perfezionato con l'aggiudicazione. Nelle ipotesi precedentemente indicate non può comunque negarsi all'aggiudicazione la valenza di vincolo preliminare obbligatorio.
L'aggiudicazione, anche se contenga in sé il rapporto negoziale, in quanto atto amministrativo, è soggetta ai normali poteri di ritiro: annullamento (se illegittimo ab origine) o, per quanto discusso, revoca (se sopravvengono nuove e diverse esigenze di interesse pubblico dell'amministrazione procedente).
3.4.5. L'approvazione.
Una volta intervenuta nella gara pubblica l'aggiudicazione, la vicenda procedimentale non può dirsi ancora chiusa e, anche quando (come spesso accade) essa tenga luogo del contratto, è soggetta all'approvazione degli organi competenti. Si tratta di un riscontro sia della legittimità dell'intero iter procedimentale, che del merito, cioè della effettiva convenienza del contratto finale.
Per quanto concerne l'approvazione, il quadro normativo risulta disarmonico e caotico: la sua conformazione non è omogenea, variando la relativa disciplina a seconda del soggetto che pone in essere il contratto.
L'approvazione del contratto di cui si parla non ha funzione di controllo e non ha nulla a che vedere con l'approvazione con cui il dirigente responsabile verifica la regolarità e la legittimità dell'intero iter procedimentale facendo propri i risultati dell'aggiudicazione prima della stipula formale del contratto, in quanto quest'ultimo, nel caso prospettato, non può dirsi ancora perfezionato, dovendo attendere la formalizzazione per iscritto. In tali casi, infatti, l'aggiudicazione produce solo un vincolo preliminare.
La vera e propria approvazione, invece è quella prevista dall'art. 113 del r.d. 827 del 1924 che prevedeva che il ministro o l’autorità delegata all'approvazione, potesse, per "gravi motivi di interesse pubblico", negarla, nonostante il positivo riscontro di regolarità del contratto. Tale disposizione si coordinava a quella dell'art. 119 del r.d. 2440 del 1923, che negava l'obbligatorietà e l'eseguibilità dei contratti per l'amministrazione fino all'approvazione del ministro o dell'ufficiale all'uopo delegato.
Si tratta di disposizioni che non sono state espressamente abrogate dal d.lgs. 29/93 e successive modifiche o integrazioni, anche se i compiti ivi indicati, a causa della sottrazione delle funzioni amministrative agli organi politici sancita dal d.lgs. 80/98 (art. 3), devono considerarsi ormai attratti alla competenza funzionale dei dirigenti, posto che ad essi spetta ogni tipo di compito gestionale, con le connesse responsabilità. Ciò, del resto, è pienamente coerente con l'attribuzione agli stessi dirigenti della legittimazione all'adozione della delibera a contrattare, in quanto la responsabilità derivante dall'impegno contrattuale assunto ne giustifica ora la verifica finale della sua regolarità ed opportunità.
Analoga soluzione va prospettata anche in relazione ai contratti degli enti locali, benché con l'abolizione del visto prefettizio, manchi una previsione specifica in tal senso, in quanto la prassi amministrativa locale vi si è ugualmente uniformata ed il T.U. degli enti locali ha attribuito ai dirigenti responsabili del procedimento di spesa la competenza ad emanare la delibera a contrattare con le relative responsabilità connesse allo svolgimento dell'iter procedimentale, aspetto, questo, su cui la giurisprudenza del Consiglio di Stato fonda la giustificazione dell'intervento di verifica finale.
L’approvazione si atteggia come condicio iuris, in quanto preordinata a dare efficacia al contratto già perfetto, rendendolo eseguibile.
Secondo l'impostazione tradizionale, seppur risalente nel tempo, il contratto soggetto a controllo, prima dell'intervento dell'esito positivo dello stesso, produrrebbe il singolare effetto di non vincolare l'amministrazione alla sua esecuzione (in caso di diniego di approvazione, infatti, non essendo in grado di spiegare efficacia, si considererebbe tamquam non esset), ma solo, e, per di più, in via immediata, l'altra parte, la quale dovrebbe, perciò, essere obbligata ad eseguirlo. Veniva, così, a profilarsi una nuova figura patologica, negoziale: quella del c.d. contratto claudicante.
Una volta, però, configurata l'approvazione come condicio juris di efficacia, la costruzione prospettata non sembra più condivisibile, perché il contratto non è idoneo a produrre i suoi effetti per alcuno dei contraenti in pendenza della stessa.
Per lo più è la legge che pone a carico della p.a. un termine perentorio per l'invio a controllo, e provvede a fissarne uno analogo a carico dell'organo controllante affinché si pronunzi tempestivamente.
In tali casi, a parte eventuali specifiche previsioni che ricolleghino a tali inadempienze, la formazione del silenzio - assenso, dovrebbe oggi consentirsi il ricorso al rimedio di cui all'art. 21 bis della legge n. 1034\71 (come introdotto dalla lege n. 205\2000), che abilita il giudice amministrativo, una volta accertata l'ingiustificata inerzia dell'amministrazione ed imposto alla stessa dì provvedere entro un termine prefissato, a nominare un commissario ad acta che provveda in sua vece, su istanza del privato che denunci la protrazione dell'inerzia oltre quel termine. Ciò sempre che l'aggiudicatario non preferisca, invece, optare per il recesso dal contratto una volta spirato il termine per l'approvazione, che è rimedio previsto dai capitolati o dalla legge (art. 14 del r.d. 827/24).
3.4.6. Il controllo della Corte dei conti.
I contratti dello Stato, una volta registrati (ai fini dell'impegno di spesa), sono inoltre soggetti al controllo preventivo di legittimità della Corte dei Conti, anche se ciò avviene ormai in via residuale per i soli contratti attivi, mentre per quelli passivi sono soggetti solo gli appalti d’opera al di sopra della soglia comunitaria o gli altri contratti di importo superiore ad un decimo del valore su indicato (art. 3, lett. g), l. n. 20 del 1994). I contratti delle Regioni non sono soggetti a controllo e quelli degli enti locali possono esservi sottoposti solo in via eventuale e facoltativa, ove ne fac cia richiesta una minoranza qualificata del consiglio comunale ovvero la giunta (art. 127 t.u. enti locali), ma il controllo del CO.RE.CO. si eser cita solo sulla delibera a contrattare e relativamente ai contratti di appalto di la vori, servizi e forniture di importo superiore alla soglia comunitaria.
3.4.7. La fase esecutiva.
Concluso l'iter procedimentale dì formazione del contratto e divenuto lo stesso efficace a seguito dell'approvazione, la fase della sua esecuzione è interamente governata dal diritto civile, in quanto le situazioni soggettive dei due contraenti, quello pubblico e quello privato, sono di diritto e di obbligo, tipiche dei rapporti contrattuali di diritto comune. Che, poi, l'amministrazione, grazie a specifiche previsioni dei capitolati, sia tributaria di particolari poteri autoritativi, quali quelli di far valere in via unilaterale decadenze o rescissioni per gravi inadempienze contrattuali o di recedere dal contratto, quando accerti difetti di progettazione o gravi ritardi nella esecuzione, ovvero di sostituirsi al contraente privato nell'esecuzione dei lavori, in caso di sospensione degli stessi o di incamerare la cauzione versata da quest'ultimo, non vale di certo a smentire la natura paritetica di tali controversie e a sottrarle al sindacato della autorità giudiziaria ordinaria. Tale soluzione, già da tempo accreditata in dottrina e giurisprudenza, trova ora puntuale conferma nell'art. 6 della legge 205/2000 che attrae alla giurisdizione esclusiva le sole controversie attinenti alle procedure di affidamento di servizi, lavori e forniture, con implicita esclusione di quelli inerenti alla fase successiva, proprio perché involgenti questioni di soli diritti soggettivi. Del resto le giustificazioni addotte a fondamento dell'esclusione sembrano incontrovertibili già alla luce dei pregressi orientamenti. Non v'è dubbio, infatti, che quei poteri autoritativi risultino pienamente assimilabili a quelli di autotutela contrattuale che, anche nelle contrattazioni tra privati, l'una parte può riservarsi nei confronti dell'altra (clausola risolutiva espressa, diffida ad adempiere, sospensione dell'esecuzione della prestazione, solve et repete), a parte, poi, che, anche a volerli considerare manifestazioni di volontà provvedimentali, si tratterebbe in ogni caso di provvedimenti rigorosamente vincolati alla ricorrenza di tassativi presupposti fattuali o tecnici, il cui difetto, incidendo in negativo su diritti soggettivi perfetti, risulta senza meno sindacabile dall'autorità giudiziaria ordinaria. Diverso discorso è a farsi per l'uso illegittimo di poteri di autotutela amministrativa, quali quelli di ritiro di atti della sequenza procedimentale che sono esterni al contratto e frutto di scelte discrezionali, che incidendo su interessi legittimi, sono impugnabili solo innanzi al giudice amministrativo che, come si dirà di qui a breve, ha una competenza esclusiva in materia.
3.5. La responsabilità precontrattuale dell'amministrazione.
L'art. 6 della legge 205/2000, attraendo alla giurisdizione esclusiva tutte le controversie attinenti alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, anche in forma specifica (ai sensi del successivo art.7), riapre il capitolo della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, finora ingiustamente circoscritta a pochi ed esemplari casi, divenuti quasi di scuola, per effetto del generale disconoscimento della risarcibilità dei danni conseguenziali alla lesione di interessi legittimi.
Va preliminarmente precisato che il problema della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ha investito esclusivamente i contratti ad evidenza pubblica, a causa dell'innesto della sequenza procedimentale pubblicistica sull'iter di formazione dell'accordo, mentre non è stata mai posta in discussione nei casi in cui, per la particolare natura di certi contratti o di certi soggetti pubblici (enti impresa, aziende municipalizzate), tale regime non poteva non trovare applicazione.
Oggi le esclusioni di carattere soggettivo sono state sostanzialmente superate dall'art. 6 della legge 205/2000, quanto meno relativamente ai contratti attinenti a servizi, lavori e fomiture, e, quanto a quelle oggettive, a parte i contratti di economato o di cottimo fiduciario, possono ritenersi sottratti al regime dell'evidenza pubblica i contratti di gioco e scommessa gestiti da soggetti pubblici o privati autorizzati (lotto e lotterie, totocalcio, enalotto, ecc. ), i contratti di alienazione di titoli di Stato, e, più in generale, quelli di utenza pubblica indicati, dall'art. 33 del d.lgs. n. 80/98. Va anche precisato che le nuove frontiere del danno risarcibile, aperte dall'art. 7 della legge 205\2000 e dagli artt. 33-35 del d.lgs. n. 80/98, consentono ora di ipotizzare una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione anche relativamente alla formazione dei cd. contratti ad oggetto pubblico (concessioni - contratto, convenzioni urbanistiche, convenzioni di lottizzazione ecc.), anche se non ricompresi nell'ambito degli accordi procedimentali o sostitutivi di cui all'art. 11 della legge 241/90, soggetti alla stessa disciplina.
Le ragioni poste a fondamento dell'inapplicabilità degli artt. 1337 e 1338 c.c. al contraente pubblico, pur incentrandosi precipuamente sul principio di irrisarcibilità del danno connesso alla lesione di interessi legittimi (uniche posizioni soggettive al più riconoscibili nell'ambito del procedimento di formazione dei contratti ad evidenza pubblica fino all'esito dell'approvazione), richiamavano a supporto della soluzione negatrice la natura pubblicistica ed inderogabile della normativa dell'evidenza pubblica, insuscettibile, come tale, di ingenerare affidamenti incolpevoli in ordine al suo effettivo rispetto, anche perché predisposta a tutela dell'interesse esclusivo dell'amministrazione, e, perciò, non invocabile dalla parte privata a sostegno delle sue pretese. Solo quando fu avvertita l'esigenza di dare il giusto peso, nell'ambito dell'iter formativo del contratto, al momento privatistico di determinazione della volontà negoziale, oltre che, quello pubblicistico della sequenza degli atti del procedimento, si riconobbe cittadinanza alle regole della buona fede e si ammise che in certi casi non potevano restare impuniti comportamenti scorretti e captatori degli organi preposti, allo svolgimento delle operazioni procedimentali che avessero ingenerato incolpevoli aspettative in ordine alla conclusione del contratto (richiesta di anticipata esecuzione dello stesso, in pendenza di aggiudicazione o approvazione con l'assicurazione del buon esito delle stesse), in quanto non veniva in discussione l'operato dell'amministrazione come scorretta amministratrice, ma come scorretta contraente, ossia come autrice di un fatto illecito produttivo di un danno ingiusto, riconducibile allo schema dell'art. 2043 c.c., con la mediazione dell'art. 1337 c.c. (attesa la riconduzione della responsabilità precontrattuale al piú ampio genus della responsabilità extracontrattuale).
Con gli artt. 33 - 35 del d.lgs. n. 80/98 e con gli artt. 6 e 7 della legge 205/2000, la responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione nei contratti ad evidenza pubblica, oggi trova formale e pressoché generalizzato riconoscimento, divenendo materia a se stante attratta alla giurisdizione esclusiva dei TAR.
Le controversie sia demolitorie che risarcitorie relative alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture (indipendentemente dal tipo di contratto utilizzato per realizzarli), di cui siano parte soggetti comunque tenuti all'osservanza delle ordinarie norme statali o regionali ovvero comunitarie sull'evidenza pubblica, vengono, così, concentrate innanzi allo stesso organo giurisdizionale amministrativo e possono essere cumulate anche in un unico processo.
Quelle attinenti, invece, alla fase successiva alla conclusione dell'iter procedimentale, ossia alla fase di esecuzione del contratto restano ancora riservate alla giurisdizione ordinaria, in quanto investono la lesione di diritti soggettivi inerenti al rapporto paritetico contrattuale.
Il vero problema posto da tale normativa investe, allora, l'esatta delimitazione delle due aree, quella di formazione e conclusione del contratto e quella della sua esecuzione, rilevante anche ai fini del riparto di giurisdizione. Più in particolare i dubbi investono i casi della stipulazione formale del contratto richiesta dopo la sua aggiudicazione e della successiva approvazione, oltre dell'adozione postuma i provvedimenti di ritiro di atti della sequenza procedimentale, in quanto è incerto se si collochino al di qua o al di là del confine segnato dall'art. 6 della legge n. 205/2000.
A rigore, nel caso in cui la stipula del contratto sia richiesta da leggi di settore o da capitolati a fini di perfezionamento del contratto, o, in mancanza, quando essa sia comunque necessaria per la definizione di aspetti non previsti nell'aggiudicazione non è dubbia la loro appartenenza alla materia attratta alla giurisdizione esclusiva. Quando, invece, abbia funzione solo riproduttiva formale di un contratto già perfezionatosi con l'aggiudicazione, la conclusione dovrebbe essere quella opposta. Del pari l'approvazione del contratto e l'adozione di provvedimenti di ritiro degli atti della sequenza procedimentale, ponendosi cronologicamente dopo il perfezionamento del contratto, perché attinenti alla sua efficacia ed eseguibilità, dovrebbero essere sottratti alla giurisdizione esclusiva. Tuttavia, se si interpreta la portata dell'art. 6 come relativa all'espletamento dell'intero iter procedimentale dei contratti ad evidenza pubblica, le controversie relative a tali atti dovrebbero esservi ricomprese, in quanto pur sempre attinenti alla fase integrativa dell'efficacia, che ne è considerata parte integrante, anche se solo ai fini costitutivi degli effetti.
Del resto, se la ratio sottesa all'attrazione di tali controversie alla giurisdizione esclusiva afferisce alla necessità di assegnare al solo giudice amministrativo il sindacato su questioni in cui si prospetta un intreccio spesso inestricabile di diritti ed interessi legittimi, non v'è dubbio che quelle in cui si controverte su rifiuti illegittimi dì stipulazione e di approvazione, proprio perché liminali ai momenti del perfezionamento del contratto e della sua eseguibilità, vi rientrino a pieno diritto.
Lo stesso è a dirsi quanto alle controversie sul ritiro di atti della sequenza procedimentale, considerata, oltretutto, la loro incidenza negativa diretta sul procedimento di formazione del contratto che sarebbe illogico attrarre o meno alla giurisdizione esclusiva, a seconda che tali provvedimenti vengano adottati, prima o dopo il perfezionamento del contratto, posto che, in definitiva, anche qui è riscontrabile quell'intreccio tra diritti soggettivi ed interessi legittimi che, ne giustificano la vis actractiva.
Nell'ambito di tali controversie risultano, pertanto, pienamente applicabili al contraente pubblico gli artt. 1337 e 1338 c.c., sia pure con la peculiarità che la loro applicazione è ora demandata al giudice amministrativo in sede esclusiva, quale organo preposto alla tutela dei diritti e degli interessi, e, indipendentemente dal fatto che la loro lesione scaturisca dall'adozione di atti illegittimi o da comportamenti violativi del dovere di buona fede in contrahendo.
A dire il vero la nuova giurisdizione esclusiva in tema di responsabilità precontrattuale sembra addirittura trascendere dall'ambito di applicazione dell'art. 1337 c.c., in quanto l'impugnativa delle illegittime esclusioni dalla partecipazione alle gare pubbliche non consente neanche di ipotizzare un recesso dalle trattative, perché queste ultime nei casi prospettati per definizione non sussistono. Se, tuttavia, si considera che anche il tenore letterale dell'art. 1337 c.c. è stato superato da un'interpretazione che privilegia il profilo della tutela dellà libertà di contrarre, come espressione della autonomia negoziale (e, quindi, dell'iniziativa economica privata) contro qualsiasi attentato alla sua esplicazione anche a prescindere dalla presenza di una trattativa, negli stessi termini si giustifica l'estensione della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione alle ipotesi prospettate, posto che anche qui è in gioco la tutela della libertà concorrenziale contro atti ingiustamente discriminatori specie, poi, valutati alla luce dei principi comunitari.
In quest'ottica si giustificano le impugnative strumentali alla partecipazione alle gare pubbliche da parte di potenziali concorrenti, che siano stati inibiti da illegittime clausole di esclusione dei bandi, ovvero che non siano stati invitati a partecipare alla gara ristretta nelle licitazioni private, pur possedendo tutti i requisiti richiesti dai sistemi di prequalificazione.
La stessa ratio giustifica anche l'impugnativa del mancato invito alla trattativa privata, quando sia imposta, per legge o per spontaneo autovincolo, una gara esplorativa, ovvero, addirittura l'impugnativa della delibera a contrattare (quando sia atto esterno) con cui venga operata la scelta per la trattativa privata, in casi non consentiti da parte di chi abbia interesse alla partecipazione ad una gara aperta. Nei casi prospettati è dubbio se l'impugnativa debba essere rivolta contro il bando o contro l'atto che, applicazione delle clausole dello stesso, decreti l'esclusione. La giurisprudenza ammette entrambe le soluzioni, tranne che la clausola del bando non sia immediatamente lesiva e non consenta alcuna valutazione discrezionale in ordine alla sua applicazione, richiedendo in tal caso l'impugnativa immediata. Va precisato, tuttavia, al riguardo che, per offrire una tutela più garantista al privato, la giurisprudenza, soprattutto quella di merito, ha optato per un'interpretazione volta a riconoscere natura normativa a tali atti, per consentirne la disapplicazione d'ufficio da parte del TAR, pur quando non fosse intervenuta una loro immediata impugnativa. Il sindacato disapplicativo del TAR è, infatti, comunemente ammesso sugli atti normativi che fungono da presupposto di atti chiamati a darvi concreta esecuzione. Non si tratta, tuttavia, di vera disapplicazione ex art. 5 della n. 2248 del 1865, ma di semplice accertamento dell'illegittimità di un atto, il cui contenuto si riversa in quello che vi dà esecuzione. Lo stesso risultato può oggi essere conseguito senza stravolgere la natura di atti, quali i bandi di gara e i capitolati speciali, che non sono normativi, ma amministrativi generali, posto che la pluriqualificazione dell'atto come illegittimo ed illecito può consentire di innestare anche un giudizio risarcitorio autonomo, in cui l'illegittimità di un provvedimento, pur quando derivi da un atto presupposto, va valutato ai soli fini dell'accertamento della colpa, unitamente a quelli di correttezza e buona fede. La possibilità di richiedere, poi, il risarcimento in forma specifica, consente in ogni caso dì ottenere, anche in via cautelare, la partecipazione alla gara di cui sia stata sancita l'illegittima esclusione. La stessa amministrazione, chiamata a dare esecuzione a clausole di esclusione illegittime previste nel bando di gara, onde scongiurare impugnative che potrebbero determinarne la caducazione, può o disapplicarle, posto che il principio di legalità impone di non dare esecuzione ad atti illegittimi (ed è questo quanto avviene di solito per gli atti che diano esecuzione a norme interne in contrasto con quelle comunitarie), ovvero provvedere in via di autotutela a ritirarle, sempre che non possa, ove la portata elastica della clausola lo consenta, valutarla discrezionalmente in termini non lesivi e più conformi a legge. Impugnative strumentali ad una più efficiente e garantistica partecipazione alla gara pubblica, sono ammesse quando gli strumenti di pubblicità utilizzati per renderla conoscibile siano inidonei o quando i tempi previsti per assolvere alle incombenze certificative, tecniche ed economiche richieste a fini partecipativi risultino eccessivamente ristretti. Su tali aspetti si è mostrata particolarmente sensibile la normativa comunitaria, in considerazione della loro grave incidenza negativa sulla libertà e parità di accesso concorrenziale alle gare pubbliche.
3.5.1. Il recesso dalle trattative e il silenzio.
A differenza delle ipotesi fin qui prospettate, in cui l'impugnativa degli at ti della sequenza procedimentale ha valore strumentale e mira a ristabilire il principio di libera e paritaria concorrenza, violato da disposizioni normative secondarie o da atti generali e particolari, che escludono, limitano o riducono in debitamente la partecipazione di potenziali concorrenti, e, in cui il risarcimento del danno precontrattuale è di solito circoscritto alle spese indebitamente sostenute, nelle ipotesi di inerzia ingiustificata o di rifiuto illegittimo di aggiudicazione, stipulazione o approvazione, viene a prospettarsi la più grave e sostanziale figura del recesso (ingiustificato) dalle trattative e dalla conclusione del con tratto generalizzata dall'art. 1337 c.c.
In caso di indebito silenzio serbato in ordine alla aggiudicazione del contratto, che è atto vincolato di accertamento costitutivo (anche se connotato, nell'appalto concorso, da una certa discrezionalità tecnica), è possibile il ricorso al rimedio previsto dall'art. 21 bis della legge 1034\71 con cui si può con seguire, in via sostitutiva, lo stesso risultato atteso, attraverso il meccanismo della sentenza di condanna ad un facere in un termine prefissato, e, in caso di inottemperanza con la successiva richiesta di nomina di un commissario ad acta che provveda in via surrogatoria.
Lo stesso è a dirsi quando si tratti di inerzia in ordine al la stipula del contratto, allorché sia già intervenuta l'aggiudicazione, con la differenza, però, che in tal caso il TAR, adito col rimedio di cui all'art. 21 bis, potrebbe an che pronunciare direttamente, una volta accertata l'ingiustificata inadempienza.
Una sentenza che tenga luogo del contratto non concluso, posto che tale tipo di pronuncia è consentita nell'ambito delle materie (come questa) attratte alla giurisdizione esclusiva, e, che dall'aggiudicazione scaturisce, se non un vincolo definitivo, quanto meno preliminare, che è premessa indispensabile perché possa operare un modello di decisione del tutto analogo a quello previsto dall'art. 2932 c.c.
Viceversa, in caso di silenzio sull'adozione dell'atto approvativo, ove il con traente privato non intenda, come gli è consentito, recedere dal contratto, il ri corso al rimedio di cui all’art. 21 bis può risultare particolarmente efficace, poi chè si tratta di un provvedimento discrezionale, che può essere eventualmente surrogato solo con l'intervento sostitutivo di un commissario ad acta. Quanto alla ipotesi di rifiuto illegittimo di aggiudicazione, il privato può con l'impugnativa al TAR, chiederne la caducazione e la condanna dell'amministrazione alla reintegrazione in forma specifica, ossia a rivedere la procedura di ag giudicazione e ad aggiudicare il contratto, nella ricorrenza dei presupposti accertati, al ricorrente. Ciò, ovviamente, nell'ipotesi in cui, ad esempio, la sua offerta risultasse ex actis la più conforme ai criteri di valutazione preventivata.
Può darsi, invece, che la contestazione verta proprio sulla legittimità di tali criteri, nel qual caso la sentenza di condanna imporrà all'amministrazione di rifare la gara alla luce dei nuovi criteri individuati nella pronuncia come più conformi a legge. Nel primo dei casi prospettati è consentito richiedere in via giudiziale anche il risarcimento del danno da ritardo, e, nel secondo, quelli afferenti alle spese inutilmente sostenute per la precedente gara, in quanto non coperti dalla reintegrazione in forma specifica.
In caso di impugnativa del rifiuto illegittimo di stipulazione, richiesta a seguito di aggiudicazione, il contraente privato, col ricorso al TAR, potrà conseguire, unitamente alla caducazione dell'atto illegittimo una sentenza costitutiva modellata sulla falsariga dell'azione ex 2932 c.c., a mo' di reintegrazione in forma specifica ed il risarcimento del danno da ritardo ingiustificato. E’ dubbio, però, che si tratti dì un'ipotesi di responsabilità precontrattuale, posto che un vincolo obbligatorio, anche se di natura preliminare è già sorto, per cui, a rigore, l'azione dovrebbe qualificarsi come contrattuale, benché, come si è detto, ugualmente attratta alla giurisdizione esclusiva dei TAR, in quanto controversia attinente alla procedura dell'evidenza pubblica.
Quanto, invece, al rifiuto illegittimo di approvare, se si considera, come sembra corretto, tale atto alla stessa stregua di una condicio iuris dì efficacia, non potendo trovare applicazione, a seguito dei suo annullamento, la finzione di avveramento di cui all'art. 1359 c.c., attesa la sua natura discrezionale, va, comunque applicata la disciplina dell'art. 1358 c.c. ai fini del risarcimento del danno. E, poiché quest'ultimo può esser reintegrato in forma specifica si può chiedere al giudice amministrativo che condanni l'amministrazione a provvedere, assegnandole un termine, scaduto il quale si può chiedere allo stesso giudice, in sede di esecuzione provvisoria della sentenza ex art. 10 della legge 205/2000, purché non sia intervenuta la sua sospensione da parte dei Consiglio di Stato, la nomina di un commissario ad acta, che si sostituisca al l'amministrazione inottemperante.
Va segnalato, al riguardo, che, per rafforzare la tutela dei privati aspiranti, concorrenti o contraenti, ma anche per salvaguardare gli interessi dell'amministrazione ad una sollecita definizione delle controversie inerenti alle procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture che coinvolgono rilevanti interessi economici, l'art. 4 della legge 205/2000 ha ora predisposto un modello processuale particolarmente agile e celere che consente in certi casi anche di cumulare il merito con la cautela e di decidere la controversia anche con una decisione in forma semplificata (si tratta di uno dei casi di procedimenti abbreviati o speciali).
3.5.2. Tutela del privato avverso gli atti di ritiro.
Quanto, infine, al ritiro in via di autotutela di atti della sequenza procedimentale (annullamenti, revoche), se esso interviene durante lo svolgimento della procedura, il privato partecipante può chiederne, con il ricorso al TAR, l'annullamento, previa verifica della loro illegittimità e la condanna dell'amministrazíone a condurre ugualmente a termine l'iter procedimentale (in tal caso risulta particolarmente efficace il rimedio cautelare di cui all'art. 21 della legge 20512000). Va precisato, incidentalmente, che l'annullamento di un atto della sequenza determina la caducazione automatica di quelli successivamente adottati e ad esso legati da vincoli di presupposizione, per invalidità derivata.
Questo è il motivo per cui l'atto di ritiro investe di solito ìl primo atto della sequenza (ossìa, di norma, la delìbera a contrattare) per determinare la caducazione a cascata di tutti quelli successivi. Se, invece, il provvedimento di ritiro è adottato dopo la conclusione dell'iter procedimentale, travolge tutti gli atti della sequenza procedimentale ed incide negativamente sullo stesso contratto. La impugnativa giurisdìzionale, che va proposta, come s'è detto, al TAR in sede esclusiva, vale a determinarne la caducazione e a ripristinare la stessa sequenza procedimentale, rendendo pienamente eseguibile il contratto. All'istanza demolitoria può essere giustapposta quella risarcitoria ai sensi dell'art. 1338 c.c.
3.5.3. L’effetto caducatorio a cascata.
La caducazione dell'intera sequenza procedimentale pone il problema tutt'oggi aperto, delle sue ripercussioni negative sulla validità e sull'efficacia contratto.
Si tratta, in altri termini, di verificare se gli atti del procedimento l'evidenza pubblica incidano sulla stessa validità della formazione del consenso negoziale dell'amministrazione, determinandone la nullità (o, addirittura, l’esistenza stessa dell'accordo) ovvero si ripercuotano in negativo sulla sua legittimazione al contratto, comportandone la sola annullabilità. Con la conseguenza che, in caso di nullità (o inesistenza), ciascuna delle parti contraenti e gli stessi terzi, oltre che il giudice ex officio, possono farla valere o rilevarla; in caso annullabilità, invece, la possibilità di farla valere in giudizio o di eccepirla, compete alla sola amministrazione, nel cui interesse esclusivo la normativa sull'evidenza pubblica è predisposta. In quest'ultimo caso si giungerebbe al paradosso che, ove l'amministrazione abbia aggiudicato lo stesso contratto a terzi, e abbia richiesto in giudizio al giudice ordinario (che è l'unico organo giurisdizionale competente a sancirne giudizialmente l'annullamento), la sua caducazione penderebbero contemporaneamente due rapporti contrattuali aventi il medesimo oggetto.
Inoltre, l'amministrazione, convenuta in giudizio innanzi al giudice ordinario, per l'esecuzione del contratto potrebbe giustificare il suo inadempimento eccependo l'annullabilità del contratto, e, viceversa, potrebbe agire in giudizio per l'esecuzione del contratto, di cui non abbia chiesto l'annullamento, perchè la controparte non sarebbe legittimata ad eccepirne l'annullabilità.
La tesi della nullità è sostenuta da una risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato (17 dicembre 1934, n. 413) ed è quella che sembra più rispondente alla tutela della controparte privata e degli stessi terzi rimasti estranei al contratto, oltre che quella che meglio si addice a spiegare il rapporto tra atti de sequenza procedimentale (volti a garantire la rituale formazione della volontà negoziale della parte pubblica) ed il contratto stipulato all'esito del suo svolgimento.
La tesi dell'annullabilità predisposta nell'esclusivo interesse dell'amministrazione, sostenuta dalla giurisprudenza della Cassazione, ritiene, invece, che tale soluzione sia quella più idonea ad assicurare la certezza dei rapporti giuridici, atteso che, diversamente, qualunque terzo escluso dall'aggiudicazione potrebbe far valere, anche a distanza di tempo la nullità del contratto, travolgendone gli effetti. Non manca, peraltro, chi sostiene che potrebbe essere adottata una soluzione intermedia, proponendo il rimedio della nullità ove il contratto non abbia avuto esecuzione, neanche parziale, e quello dell'annullabilità negli altri casi, in modo da conciliare le esigenze di certezza giuridica con quelle di tutela del contraente e dei terzi.
Il problema si presenta di difficile soluzione ed è considerato il vero e proprio banco di prova delle ricostruzioni dei modelli del contratto ad evidenza pubblica, in cui la commistione di momenti pubblicistici e privatistici sembra ancora tutta da decifrare, posto che gli stessi atti della sequenza procedimentale non sono nemmeno espressione di poteri autoritativi ed imperativi e sono assimilati, quanto al regime giuridico, ai provvedimenti solo per assecondare il principio di legalità dell'azione amministrativa e garantire la tutela giurisdizionale dei privati concorrenti. Del resto lo stesso contratto, pur espressivo di pariteticità e consensualità, non può prescindere dalla legittimità della sequenza pubblicistica che lo precede.
Tali ragioni hanno indotto il legislatore, col d.lgs. 80/98 e con la legge 205/2000, ad attrarre le controversie in materia alla giurisdizione esclusiva dei TAR, proprio a cagione dell'inestricabile intreccio di diritti ed interessi che la commistione del momento pubblicistico e di quello privatistico implica. In quest'ottica si spiega perché vengano concentrate innanzi allo stesso giudice amministrativo pretese demolitorie di atti e risarcitorie anche in forma specifica, eventualmente cumulabili in un simultaneus processus.
Si è così rinunciato a qualsiasi opzione panpubblicistica o panprivatistica della complessa fattispecie, preferendo risolvere ogni problema applicativo sul piano strettamente processuale, attribuendo la cognizione delle relative controversie ad un unico organo giurisdizionale in grado di sindacarne, in una visione globale ed unitaria, gli intrecci e le discrasie, e di accordare la più ampia tutela sia agli interessi legittimi che ai diritti soggettivi. Proprio nell'ottica della compenetrazione dell'aspetto pubblicistico con quello privatistico che investe ogni atto dell'iter formativo del contratto, dal bando di gara, che è qualificabile come atto amministrativo generale e al contempo offerta al pubblico o invito pubblico ad offerendum, all'aggiudicazione, che è atto di accertamento costitutivo, ma anche accettazione della proposta contrattuale, fatta eccezione per la delibera a contrattare e per l'approvazione del contratto, ossia per i poli estremi di apertura e di chiusura dell'iter procedimentale, che evidenziano le ragioni di pubblico interesse che spingono l'amministrazione a contrarre e verificano che l'atto finale sia effettivamente rispondente all'interesse pubblico programmato, sì spiega perché ogni atto illegittimo della sequenza pubblicistica può risolversi in un comportamento violativo del dovere di buona fede in contrahendo, e dar vita oltre che ad una fattispecie illegittima da rimuovere, ad un fatto illecito, da risarcire anche in forma specifica. Ciò induce a ritenere che il venir meno degli atti della sequenza pubblicistica, a seguito di ritiro, di controllo negativo o di annullamento giurisdizionale, non consentono la sopravvivenza di un contratto, privato ormai del suo fondamento consensuale, cioè dei termini dell'accordo o della sua efficacia, che, dunque, deve ritenersi radicalmente nullo, ovvero inefficace. La condivisione della tesi della nullità non produce, tuttavia, gli inconvenienti additati dalla contraria soluzione, perché l'impugnativa giurisdizionale dell'atto di ritiro o di rifiuto di approvazione illegittimi consentono all'aggiudicatario di ottenere, con la rimozione di tali atti, il ripristino del contratto o della sua efficacia, oltre il risarcimento del danno. Tuttavia, nel caso in cui la P.A. avesse medio tempore aggiudicato lo stesso contratto a terzi, l'impossibilità del ripristino, non precluderebbe al privato, in ogni caso, di far valere in giudizio il risarcimento del danno per l'illecito precontrattuale perpetrato ai suoi danni, a causa dell'affidamento ingenerato nella validità del contratto. Si scongiura, in tal modo, anche la coesistenza di due diversi contratti con medesimo oggetto, perché l'uno deve ritenersi definitivamente caducato e so stituito dall'altro, senza peraltro pregiudicare del tutto la posizione del primo aggiudicatario, che potrà vedere soddisfatte le sue ragioni col risarcimento del danno precontrattuale, essendogli preclusa la via della reintegrazione in forma specifica dalla successiva aggiudicazione. Si risolve, infine, anche il problema attinente all'eseguibilità del contratto, invocabile innanzi al g.o. solo dall'amministrazione e non dal privato contraente, dal momento che la nullità da esso scaturente potrebbe essere fatta valere da qualunque interessato. Diversamente opinando, infatti, l'unica via percorribile dal privato, evocato in giudizio per l'esecuzione del contratto, potrebbe al più essere quella di far valere la risoluzione del contratto per sopravvenuta impossibi lità della prestazione dell'amministrazione, a seguito del factum principis, ossia dell'intervenuto ritiro dell'aggiudicazione. Piuttosto, a fronte dell'eccezione di invalidità del contratto sollevata dall'amministrazione nel corso del giudizio di adempimento instaurato dalla controparte privata innanzi al giudice ordinario, è dubbio se quest'ultimo possa esercitare, ove sia contestata ex adverso la legittimità dell'atto di ritiro, i suoi poteri disapplicativi ai fini della decisione della controversia.
La soluzione positiva sembra suggerita dalla recente decisione n. 500 del 1999 delle Sezioni Unite. Il fatto, però, che le controversie inerenti alla procedura dell'evidenza pubblica siano attratte alla giurisdizione esclusiva dei TAR sembrerebbe deporre in senso contrario.
Tirando le fila del discorso, la soluzione della nullità risulta la più conforme al nuovo regime processuale inaugurato dal d.lgs. 80\98 e dalla legge n. 205\2000, in quanto non solo consente di risolvere innanzi ad un solo organo giurisdizionale le questioni di invalidità degli atti della sequenza procedimentale e di responsabilità connesse alla loro illegittima adozione con il ripristino del contratto e dei suoi effetti e con il risarcimento del danno, ma anche perché, riconducendo ad unità la complessa fattispecie, sembra l'unica in grado di scongiurare attraverso il meccanismo della pluriqualificazione, un doppio e differenziato regime di invalidità con il persistente ricorso al doppio binario di giurisdizione.
3.6. Esecuzione del contratto e responsabilità contrattuale.
3.6.1. Esecuzione d'urgenza.
Dell'esecuzione del contratto si è in parte già trattato. Va qui peraltro precisato che fra i poteri autoritativi ancora riconosciuti in capo all'amministrazione contraente, nella fase di esecuzione del contratto, va annoverato quello previsto dall'art. 8, l. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, che le consente di provvedere anche direttamente all'esecuzione di contratti di lavori o somministrazioni, pur in pendenza di una controversia sul contratto, previa adozione di un decreto con cui venga motivata l'ingerenza.
3.6.2. Atti di ritiro.
Sempre nell'ambito dei poteri autoritativi esercitabili in tale fase vanno annoverati anche quelli di ritiro degli atti della sequenza procedimentale.
Va anche segnalato che, nell'ambito dei contratti amministrativi, ossia d quelli che sono regolati da norme che si conformano a quelle dei corrispondenti contratti di diritto comune, adattandole alle specifiche esigenze pubblicistiche (senza per questo smarrire la tipica connotazione paritetica), sono previste numerose deroghe al regime ordinario, sia conferendo poteri di autotutela alla parte pubblica, sia attribuendo alla stessa privilegi attinenti ad esoneri o limitazioni di responsabilità o eccezioni sostanziali e processuali.
Analoghi privilegi sono attribuiti anche nei contratti di diritto dai capitolati generali e speciali.
Va precisato che, ove i privilegi accordati dalla legge all'amministrazione con apposite previsioni attinenti ai contratti amministrativi o speciali si traducano in clausole vessatorie, occorre denunciare l'illegittimità costituzionale di tali norme, e, solo a seguito della loro dichiarazione di incostituzionalità, invocare l'applicazione dell'art. 1341 c.c., per far dichiarare la nullità delle clausole del contratto che ne riproducano il testo.
3.6.3. Esecuzione in forma specifica dell’obbligo di contrarre.
Quanto all'ammissibilità dell'azione ex 2932 c.c. nei confronti della pubblica amministrazione si è precisato che, nei contratti ad evidenza pubblica, essendo le controversie attinenti al rifiuto illegittimo di aggiudicazione o di stipulazione attratte alla giurisdizione esclusiva dei TAR, il problema postosi in passato, e, risolto in termini positivi, può ritenersi ormai del tutto superato, considerato che il giudice amministrativo può adottare anche sentenze costitutive, senza incorrere in preclusioni di sorta, se del caso usando i suoi poteri di condanna al risarcimento in forma specifica.
Il problema, quindi, assume ormai rilievo residuale, potendo al più porsi in quei rari casi in cui si verta al di fuori della materia dei servizi, lavori e forniture ed in quelli in cui non risulti applicabile il regime dell'evidenza pubblica, e, per essi, o è stato risolto in senso positivo, una volta riconosciuto che con tale sentenza il giudice ordinario non si sostituisce all'amministrazione, ma si limita a riprodurre il testo già definito e approvato in via preliminare, riconoscendogli valore definitivamente vincolante o neanche si pone per l'applicazione integrale del diritto comune.
Viceversa è un problema che ha assunto una nuova e più rilevante dimensione nell'ambito degli accordi procedimentali di cui all'art. 11 della legge 241\90, e, in genere, nei ed. contratti ad oggetto pubblico le cui controversie sono anch'esse attratte alla giurisdizione esclusiva dei TAR.
3.6.4. Esecuzione dei contratti di appalto di lavori pubblici. Particolare segnalazione merita la fase di esecuzione del contratto di appal to di lavori pubblici, che ha costituito il referente normativo, cui dottrina e giurisprudenza hanno attinto per enucleare le regole ed i principi dell'intera categoria dei contratti ad evidenza pubblica.
Si tratta di un'attività materiale che si inquadra in quell'ottica di coopera zione tra le parti, che assume grande rilievo nell'esecuzione del contratto. Tra l'altro, il rispetto dei termini per la consegna e la verifica della conformità dei ma teriali alle previsioni contrattuali presenta implicazioni giuridiche che possono ripercuotersi negativamente sul rapporto. Infatti, se la consegna non avviene nei termini (tenuto conto della loro valenza ai fini dell'ultimazione dell'opera) ed il ritardo sia imputabile all'Amministrazione, l'appaltatore può fare apposita istanza di recesso dal contratto.
L’art. 26 della legge Merloni (n. 109/1994), prevede che, entro 15 giorni dall'inizio dei la vori, quest'ultima debba erogare un'anticipazione di una somma di danaro nella misura del 10% dell'importo complessivo del contratto, e, che, in caso di ritardo, decorrano gli interessi di mora previsti dal capitolato generale. Quest'ultimo pre vede al riguardo una franchigia temporale, che, tuttavia, sembra derogata dall'art 26, comma 1 della legge medesima, che, nel ricollegare la decorrenza degli inte ressi (di mora) alla mancata corresponsione dell'anticipo alla scadenza del 150 giorno, vuole evidentemente assegnare a tale termine valore essenziale, senza neanche richiedere apposita riserva scritta, cui, del resto, la giurisprudenza ha sempre disconosciuto effetto di costituzione in mora, in considerazione proprio della inesigibilità delle pretese patrimoniali in corso di svolgimento dei rapporto.
3.6.5. Ordine di sospensione dei lavori.
Piuttosto ricorrente, nella fase di esecuzione del contratto, è l'utilizzo di poteri autoritativi da parte dell'amministrazione committente (al riguardo si è già illustrato il dibattito sulla natura dei relativi atti ai fini del riparto di giurisdi zione); basti pensare ai frequenti casi di adozione di ordini di sospensione dei lavori, che possono risultare gravemente pregiudizievoli per l'appaltatore, che, perciò, ha l'onere di tutelarsi attraverso il consueto strumento dell'iscrizione delle riserve.
Poiché il termine di ultimazione dei lavori assume notevole rilevanza nell'economia del contratto, tale potere può essere esercitato solo nei casi tassativi indicati dalla legge. Essi riguardano o l'ipotesi che i lavori non possano procedere a regola d'arte, nel qual caso, trattandosi di sospensione legittima, l'appaltatore non può recedere dal contratto né chiedere il risarcimento dei danni, a meno che la durata della sospensione non si protragga oltre i termini di ragionevolezza (in tale ipotesi, infatti, venendo meno l'interesse dell'appaltatore, si può dar luogo alla risoluzione per impossibilità sopravvenuta, anche se temporanea); ovvero l'ipotesi della ricorrenza di ragioni di pubblico interesse ostative alla prosecuzione, che, tuttavia, non possono superare certi limiti temporali, scaduti i quali è consentito all'appaltatore avanzare istanza di recesso, la cui contestazione dà, in ogni caso, diritto al risarcimento del danno purché venga iscritta la relativa riserva. Vi sono, poi, dei casi in cui la giurisprudenza ha riconosciuto all'impresa privata il diritto al risarcimento del danno, quando si verifichi un abuso strumentale del potere di sospensione, che ricorre allorché la p.a. lo utilizzi per ovviare ad un progetto sbagliato o per studiare una variante progettuale per fattori sopravvenuti che, tuttavia, si protragga oltre i termini di ragionevolezza.
3.6.6. La revisione dei prezzi.
Per quel che attiene alle sopravvenienze che comportino una lievitazione dei costi del materiale o della mano d'opera, la legge Merloni contribuisce definitivamente a risolvere le annose e perduranti oscillazioni legislative protrattesi fino a tempi recenti, escludendo l'applicazione dell'art. 1664, primo comma c.c. (all'art. 26, 3 comma).
Il divieto di procedere alla revisione dei prezzi fissato con tale norma risponde ad esigenze di indubbia certezza giuridica e costituisce valido strumento per reprimere abusi e scorrettezze che in passato avevano contribuito notevolmente ad aggravare il deficit economico delle amministrazioni pubbliche. Per ovviare agli inconvenienti evidenziati, la legge quadro adotta il sistema del cd. prezzo chiuso, consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta, aumentato di una percentuale da applicarsi sui lavori ancora da eseguire per un anno intero (previsto per la loro ultimazione), ove la differenza tra il tasso di inflazione programmato nell'anno precedente aumenti, rispetto a quello reale, in misura superiore al 2%. Tale percentuale viene determinata ogni anno, con decreto, da emanare dal Ministero dei lavori pubblici, entro il 30 giugno, e, ovviamente, per la sola parte eccedente il 2%. Si tratta di un sistema che è volto a contemperare, in un'ottica di certezza e di solidarietà contrattuale, gli opposti interessi delle parti, che, se per un verso forse scoraggerà gli imprenditori privati dal partecipare alle gare pubbliche, contribuirà, tuttavia, per altro verso, ad accrescerne la professionalità nel valutare e programmare con maggiore ponderatezza la convenienza economica dell'affare, e, in ogni caso solleverà l'amministrazione aggiudicatrice da notevoli oneri economici, e, soprattutto, da valutazioni tecnico - discrezionali particolarmente delicate e complesse spesso strumentalizzate da abusive ingerenze politiche e mafiose.
Inoltre concorrerà ad elidere quelle ragioni di conflittualità insite nel sistema della revisione dei prezzi e a dirimere quei nodi inerenti al riparto di giurisdizione che, seppur risolti dalla giurisprudenza nel senso di attribuire al giudice ammininistrativo il sindacato sull'an debeatur, riservando a quello ordinario le controversie sul quantum, presentavano aspetti non sempre nitidamente definibili in termini univoci ed incontroversi.
3.6.7. Varianti in corso d’opera.
L’art. 25 della legge 109/1994 risolve con una certa chiarezza anche il problema inerente alle varianti in corso d'opera attraverso un sistema di tipizzazione delle ipotesi che vi possono dar luogo e della distribuzione degli oneri conseguenziali che ne derivano.
Fra le cause che le giustificano vengono annoverate: 1) il factum principis (sopravvenienze di leggi o regolamenti); 2) le cause di forza maggiore, la cui tipizzazione è demandata al regolamento; 3) gli errori o le omissioni del progetto esecutivo. In quest'ultimo caso il responsabile del procedimento, reso edotto dei difetti e delle manchevolezze riscontrate dal direttore dei lavori, ne dà notizia all'Autorità Garante e al progettista responsabile. Se esso è esterno all'amministrazione risponderà contrattualmente dei danni arrecati, ad esempio, per le riprogettazioni o i maggiori oneri da sopportare per le varianti. Se esse eccedono, però, il quinto complessivo dei lavori originari, la committente procede autoritativamente alla risoluzione del contratto (e trattasi di atto vincolato) e ad una nuova aggiudicazione (cui, però, deve essere invitato anche l'incolpevole aggiudicatario precedente). Lo scioglimento del contratto comporta il pagamento dei lavori eseguiti, il costo dei materiali utili esistenti e il decimo dell'importo di quelli ineseguiti (voce che non compete in caso di errori od omissioni del progetto).
Per il resto è a dirsi che, pur non applicandosi il primo comma dell'art. 1664 c.c., dovrebbe rimanere impregiudicata l'applicazione del secondo comma del medesimo articolo (cd. sorpresa idrogeologica).
Infatti, in tal caso (che, a rigore, rientrerebbe fra le cause di forza maggiore di cui alla lettera b) dell'art. 25 legge 109/1994) si ritiene che la norma tenda, attraverso una opportuna ripartizione dei rischi contrattuali, a scongiurare la risoluzione del contratto, attraverso la previsione di un equo compenso, che valga a neutralizzare quell'eccessiva onerosità, che si traduce in un onere aggiuntivo, erosivo dell'utile economico che l'appaltatore si ripromette di ricavare. Esso va, solitamente, computato tenendo conto del prezzo pieno, depurato degli utili, di buona parte delle spese generali e di una quota percentuale pari alla quota di alea che, nel caso specifico, sarebbe stata a suo carico.
Rimane, però, il dubbio se tale istituto sia stato assorbito dalle ipotesi (quelle dell'art. 25, lettera b) in particolare) tassative previste dalla legge Merloni, anche se, a rigore, la funzione conservativa dell'equo compenso dovrebbe far optare per la sua permanenza in vigore, in virtù del principio di economia dei mezzi giuridici.
Il problema è stato da ultimo risolto dalla legge 216\95, che esplicitamente inserisce nell'elenco, all'uopo predisposto, l'istituto de quo.
3.6.8. Il collaudo.
All'esito dell'ultimazione dei lavori, la P.A., entro i sei mesi successivi, deve provvedere al collaudo dell'opera, che è atto di riscontro e verifica finale dei rispetto delle prescrizioni normative e contrattuali, nonché delle regole dell'arte, richieste per la sua realizzazione. La giurisprudenza lo inquadra tra i negozi di accertamento, ma la dottrina oscilla tra tale soluzione e quella del mero atto giuridico espressivo di un giudizio tecnico.
Si richiede la redazione di un certificato provvisorio di collaudo nei termini indicati, che diviene definitivo anche ove l'Amministrazione non provveda ad approvarlo entro i successivi due anni (silenzio-assenso). Si stabilisce, comunque, che l'appaltatore, finché il collaudo non divenga definitivo, risponde pur sempre per le difformità e i vizi dell'opera ex art. 1669 c.c.
Nella fase di collaudo vanno decise tutte le riserve che siano state iscritte dall'appaltatore nell'apposito libro di contabilità, purché confermate nel conto finale, oltre quelle aggiuntive eventualmente sollevate in questa sede. All'esito viene erogata la rata di saldo, che, però, non costituisce presunzione di accettazione ex art. 1666 c.c.
E’ previsto, inoltre, per evidenti esigenze garantistiche di controllo, anche un collaudo in corso d'opera nei casi in cui la direzione dei lavori sia affidata a progettisti esterni o i lavori siano affidati in concessione, o, si tratti di opere particolarmente complesse.

4. Principi generali della disciplina dei contratti della P.A. enucleabili da leggi speciali.
4.1. La programmazione delle gare e la copertura finanziaria degli atti di spesa.
La programmazione viene comunemente intesa come attività caratterizzata da uno svolgimento procedimentale continuo, connotata da sistematicità e coerenza di comportamenti dei soggetti coinvolti, articolata nella previa rilevazione dei bisogni, nell'individuazione delle risorse disponibili, nella successiva determinazione degli obbiettivi prioritari e nella verifica periodica e finale dei risultati delle scelte compiute per il raggiungimento degli obbiettivi stessi.
Per quanto attiene alle sue implicazioni giuridiche, l'intrinseca ragionevolezza che connota la nozione di programmazione e la rilevanza dei suoi referenti costituzionali (generalmente ricondotti agli articoli 41, comma 3, e 97, comma 1, della Costituzione) sembra in grado di garantire un'applicazione generalizzata, estesa ad ogni settore in cui si spiega l'intervento pubblico, specie con riferimento alla materia contrattuale.
Spiccano, per la completezza del disegno sistematico, le norme afferenti al settore degli appalti di lavori pubblici.
L'art. 14, della legge quadro ha introdotto un prius logico e giuridico rispetto al procedimento di realizzazione di ogni opera pubblica: la programmazione obbligatoria si articola nei tre livelli del programma preliminare, di quello triennale e dell'elenco annuale.
E' costante nella disciplina normativa la mens legis di garantire in relazione al monitoraggio dei lavori la corrispondenza degli effettivi flussi di spesa al fine di limitare la formazione di residui passivi (cfr. la determinazione dell'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici, 14 febbraio 2002), che si traduce nella prudente e graduale possibilità di adeguamento dell'elenco annuale dei lavori pubblici.
Anche la recente legge n. 443 del 21 dicembre 2001 in materia di infrastrutture strategiche ha imposto l'individuazione di queste ultime all'interno di un programma - scaturente dal confronto regioni governo - inserito nel documento di programmazione economico - finanziaria, con l'indicazione obbligatoria degli stanziamenti necessari per la loro realizzazione; coerentemente si fa carico al governo di indicare nel disegno di legge finanziaria le risorse necessarie, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati disponibili allo scopo (art. 1).
Al medesimo rigore è ispirata la disciplina contabile degli enti locali recepita nel relativo testo unico imperniata sulla programmazione contabile dei contratti e degli atti di spesa nonché sulla nullità degli atti amministrativi privi di copertura finanziaria.
Tale assetto disciplinare è del tutto coerente rispetto ad una serie di principi generali e di settore rinvenienti dall'ordinamento comunitario. Infatti il Trattato CE, da un lato individua come obbiettivo dell'Unione quello di promuovere investimenti per le infrastrutture che assicurino sviluppo e coesione sociale, dall'altro prescrive la necessità di una puntuale corrispondenza tra contenuti della programmazione economica ed effettiva disponibilità finanziaria.
Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha rilevato l'importanza e l'immediata valenza giuridica del principio della sana finanza pubblica, qualificandolo come fondamentale, ritenendo indispensabile al fine di assicurare una corretta gestione della spesa pubblica, la preventiva attività di individuazione e quantificazione della maggiore spesa, e dei mezzi per farvi fronte (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 3 marzo 2000, n. 1136; sez. IV, 10 novembre 1998, n. 1473; sez. IV, 9 marzo 1998, n. 454).
Si è così affermato che la copertura finanziaria di un provvedimento di spesa, sia esso legislativo che amministrativo, appare un canone fondamentale recepito dall'ordinamento interno in coerenza con il dettato comunitario (artt. 2 e 4, comma 3), al fine di perseguire l'obbiettivo primario della gestione razionale e compatibile, con le risorse effettivamente disponibili, della spesa pubblica.
Tale è anche il significato da attribuire all'art. 11, par. 1, della direttiva n. 93\37, che imponendo alle amministrazioni aggiudicatrici di pubblicizzare, mediante specifico avviso, le caratteristiche essenziali degli appalti che intendono assegnare, prescrive, sia pure indirettamente, l'obbligo di una preventiva programmazione delle opere da realizzare.
Tutti gli atti di programmazione, ai diversi livelli, producono un vincolo di attuazione. Gli effetti della violazione di tale vincolo si traducono nella illegittimità dei provvedimenti attuativi difformi.
4.2. La pubblicità e l'informatizzazione delle gare.
Nelle gare di appalto assume un ruolo essenziale la pubblicità dei bandi, che mira, anzitutto, a rendere conoscibile agli interessati l’esistenza delle gare, per porli in condizione di presentare le offerte o le richieste di invito.
In passato, la mancanza di pubblicità delle procedure – ad eccezione dei pubblici incanti – contribuiva ad accentuare la discrezionalità dell’amministrazione nella scelta dei contraenti e la impossibilità o difficoltà di tutela giurisdizionale degli interessati.
La pubblicità negli appalti di rilevanza comunitaria ha per oggetto, oltre che le gare, anche un avviso preventivo annuale relativo agli appalti che ciascuna amministrazione aggiudicatrice intende affidare nei dodici mesi successivi, e un avviso successivo relativo agli appalti aggiudicati.
La pubblicità preventiva consente agli interessati di predisporre i mezzi necessari per partecipare alle successive gare.
La pubblicità successiva consente di rendere controllabile, da parte di chi vi abbia interesse, e in generale da parte della totalità dei cittadini, l’operato dell’amministrazione.
Si possono perciò individuare tre atti fondamentali oggetto di pubblicità:
1) avviso preventivo annuale;
2) bando;
3) avviso degli appalti aggiudicati.
Per gli appalti nazionali, la pubblicità avviene solo in ambito nazionale, con modalità che variano a seconda dell’oggetto degli appalti.
Per gli appalti di rilevanza comunitaria, la pubblicità avviene da un lato in ambito comunitario, mediante pubblicazione di bandi e avvisi nella Gazzetta ufficiale della Comunità europea; e dall’altro in ambito nazionale, mediante pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e in uno o più quotidiani, con modalità che variano a seconda dell’oggetto e dell’importo degli appalti.
L'art. 24 della l. 24 novembre 2000, n. 340, ai fini di informatizzazione delle gare, ha dettato particolari disposizioni.
Si è previsto che tutti i bandi e gli avvisi di gara devono essere pubblicati su siti informatici individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, secondo modalità applicative definite dallo stesso decreto. Ciò a decorrere dal primo gennaio 2001, per le amministrazioni pubbliche e dal 30 giugno 2001, per le società concessionarie di lavori e servizi pubblici, le aziende speciali, e i consorzi che gestiscono servizi pubblici, nonché per gli altri soggetti obbligati all'osservanza della normativa nazionale e comunitaria sulle procedure di affidamento degli appalti pubblici.
La detta pubblicazione informatica, con riguardo ai bandi ed agli avvisi di gara di importo inferiore alla soglia comunitaria, sostituisce ogni altra forma di pubblicazione prevista da norme di legge o di regolamento; fatta salva la normativa di origine comunitaria e gli obblighi di pubblicazione sui giornali quotidiani o periodici previsti dalle leggi vigenti.
4.3. Il divieto di rinegoziazione, proroga e rinnovazione dei contratti pubblici.
4.3.1. La rinegoziazione.
Allo scopo di evitare distorsioni al regolare svolgimento della concorrenza fra imprese, in violazione dei principi comunitari in materia, le istituzioni comunitarie e nazionali nonchè la giurisprudenza del Consiglio di Stato hanno forgiato il principio del divieto di rinegoziazione delle offerte (cfr. parere della Commissione CE, 23 marzo 1998 reso ex art. 169 del Trattato; parere del Consiglio di Stato, commissione speciale, 12 ottobre 2001, n. 1084; circolari della Presidenza del Consiglio dei Ministri - Dipartimento per il coordinamento delle politiche comunitarie - del 15 novembre 2001 e del 23 febbraio 2000).
Si è così affermato che in sede di gare di appalto, disciplinate da procedure aperte o ristrette, non può darsi luogo a forme di rinegoziazione delle offerte pervenute ostandovi le seguenti ragioni:
evitare di trasformare un procedimento di evidenza pubblica in una scelta negoziata non preceduta dalla pubblicazione del bando e non confortata dalla sussistenza dei presupposti contemplati dalle direttive europee ai fini del ricorso alla trattativa privata;
impedire che la rinegoziazione dell'offerta, in un lasso di tempo successivo all'aggiudicazione, possa indurre l'impresa aggiudicataria a recuperare l'ulteriore sconto sul prezzo incidendo negativamente sulla qualità delle prestazioni fornite, ponendosi in contrasto con la ratio della disciplina legale in materia di offerte anomale;
consentire che il meccanismo proprio delle procedure di evidenza pubblica funzioni fisiologicamente individuando il miglior contraente possibile in colui che ha formulato l'offerta marginalmente più congrua, oltre la quale l'impresa potrebbe non avere più interesse a realizzare il programma obbligatorio.
In questo quadro il divieto di rinegoziare le offerte deve intendersi esteso alla fase successiva all'aggiudicazione, in quanto tale possibilità, modificando la base d'asta, finisce indirettamente con l'introdurre elementi distorsivi della concorrenza.
4.3.2. Proroga e rinnovo.
Considerazioni analoghe possono svolgersi con riferimento alla proroga e rinnovazione (anche tacita) dei contratti stipulati da pubbliche amministrazioni.
Proroga e rinnovo sono state, pertanto, ritenute incompatibili sia con i principi generali che disciplinano l'attività dell'amministrazione retta dal diritto privato, sia con il divieto di durata ultranovennale dei contratti pubblici, espressamente sancito dall'art. 12, r.d. n. 2440 del 1923.
La suprema Corte esclude la possibilità che operi il rinnovo tacito del contratto stipulato da una pubblica amministrazione, in quanto la volontà di quest'ultima, intesa ad instaurare un qualsiasi rapporto negoziale, non può essere desunta per implicito da atti o fatti, ma deve essere manifestata nelle stesse forme richieste dalla legge, tra le quali, in primo luogo, l'atto scritto ad substantiam (cfr. Cass. 11 gennaio 2000, n. 188; 12 luglio 2000, n. 9246).
Ne discende che, nei confronti della pubblica amministrazione, non è ipotizzabile la proroga (o rinnovazione) automatica dei contratti, pur quando questa fosse prevista da espressa clausola contrattuale, in quanto il nuovo rapporto obbligatorio, conseguente alla proroga, verrebbe costituito in elusione delle forme (in primis della forma scritta) con le quali è unicamente consentito all'amministrazione di stipulare contratti (cfr. Cass. 28 novembre 1991, n. 12769).
Accanto a questo indirizzo coesiste un diverso orientamento per cui i principi da essa affermati non trovano applicazione ove si tratti non di vera e propria proroga (o rinnovazione tacita), bensì di continuazione dell'originario rapporto, in forza di apposita clausola del relativo contratto, poiché in tal caso la continuazione avviene in virtù della volontà manifestata dalle parti nel concludere il contratto, con la conseguenza che, ove questo risulti stipulato nelle forme che regolano il procedimento di formazione e di manifestazione della volontà degli enti pubblici, l'impegno in ordine alla prosecuzione del rapporto assunto dalla p.a. deve ritenersi pienamente valido ed efficace (cfr. Cass. 14 maggio 1981, n. 3187; Corte conti, sez. contr. Stato, 11 settembre 1990, n. 49; 29 aprile 1993, n. 69).
Il problema di maggior rilievo consiste nella difficoltà di distinguere fra tacita proroga e tacita continuazione del rapporto contrattuale, essendo sempre arduo stabilire se il contratto tacitamente prorogato o tacitamente <> sia lo stesso stipulato inizialmente, del quale si prolungano gli effetti, o sia un nuovo contratto, di contenuto identico a quello precedente. Rimane defilato da questo dilemma il tema della proroga o rinnovazione tacita derivante, non dalla manifestazione (sebbene tacita) di volontà delle parti, ma da eventuali norme di legge che attribuiscono un valore tipico al silenzio o all'inerzia della p.a.
La giurisprudenza di controllo della Corte dei conti ha sempre ritenuto che il principio di formalità degli atti negoziali della p.a. sia senz'altro rispettato ove il contratto contenga una clausola di tacito rinnovo e che questa dà luogo ad una serie di rapporti, ciascuno dei quali posto in essere da un contratto diverso, poiché, ad ogni scadenza contrattuale, l'operare della clausola stessa non costituisce una mera proroga automatica, ma è il risultato di mutue iniziative, sia pure tacite delle parti (cfr. Corte conti, sez. contr. Stato, 18 ottobre 1994, n. 110; 24 gennaio 1991, n. 7).
La posizione della Corte dei conti è prossima a quella assunta dalla Corte di Cassazione nei riguardi dei contratti con clausola di tacito rinnovo stipulati fra privati, e cioè che: a) il contratto con clausola di proroga o rinnovazione tacita, salva disdetta, richiede sempre, affinchè l'effetto previsto dalla clasuola si verifichi, una manifestazione di volontà, quantunque tacitamente espressa mediante il silenzio delle parti a fronte dell'onere della disdetta; b) tale manifestazione tacita di volontà si traduce, di volta in volta, in un nuovo accordo negoziale, ancorchè avente lo stesso contenuto di quello inizialmente concordato (cfr. Cass. 15 aprile 1998, n. 3803).
Nel dettaglio vengono in rilievo due disposizioni normative, approvate in un contesto di misure intese alla complessiva rinegoziazione dei contratti delle pubbliche amministrazioni, sia attivi (onde accrescere le entrate dei bilanci pubblici), sia passivi (onde ridurre la spesa pubblica o, comunque, migliorare per ciascun contratto, il rapporto costi benefici. Le due disposizioni sono l'art. 6, l. n. 537 del 1993 e l'art. 44, comma 1, l. n. 724 del 1994.
La prima ha stabilito il divieto di rinnovo tacito, relativamente ai contratti delle amministrazioni aventi ad oggetto la fornitura di beni e servizi (pur senza prevedere sanzioni ove il rinnovo avvenisse ugualmente).
La seconda norma, nel sostituire integralmente l'art. 6 cit., ha confermato il divieto di rinnovo, ha sancito la nullità dei contratti stipulati in violazione di tale divieto ed ha stabilito che entro tre mesi dalla scadenza dei contratti, le amministrazioni accertano la sussistenza di ragioni di convenienza e di pubblico interesse per la rinnovazione dei contratti medesimi e, ove verificata detta sussistenza, comunicano al contraente la volontà di procedere alla rinnovazione. E' questa, in realtà, la norma che impedisce, oggi, il rinnovo tacito dei contratti stipulati dalle pubbliche amministrazioni per la fornitura di beni e servizi, determinando la nullità di eventuali clausole in senso contrario. Nondimeno, essa perde l'occasione per distinguere o - come sarebbe forse più utile - per equiparare la tacita proroga dei contratti pubblici, ora espressamente vietata, con la tacita continuazione del rapporto contrattuale.
4.4. L'obbligo per le stazioni appaltanti di tutelare il diritto dei lavoratori dipendenti degli appaltatori all'equa retribuzione ed alla sicurezza.
Una particolare menzione merita il compendio di norme (legge 7 novembre 2000, n. 327), che impongono all'amministrazione, per ogni tipo di appalto, di considerare in sede di predisposizione della gara e di valutazione dell'anomalia delle offerte:
l'adeguatezza dei valori economici richiesti ed offerti rispetto al costo del lavoro salariato legale;
il rispetto delle regole previdenziali ed assistenziali a tutela della sicurezza dei lavoratori.
Siffatta normativa deve ritenersi espressiva di un principio generale dell'ordinamento di settore, per il collegamento immediato con basilari esigenze di rispetto della dignità e della sicurezza dei lavoratori riconosciute a vari livelli.
Il primo a venire in rilievo è quello internazionale: basti pensare al Patto sui diritti economici, sociali e culturali approvato dall'Assemblea generale delle nazioni unite il 16 dicembre 1966; agli artt. 3, 4, 11 e 12 della Carta sociale europea, adottata dal Consiglio d'Europa riveduta a Strasburgo il 3 maggio 1996 e ratificata in Italia dalla legge 9 febbraio 1999, n. 30.
Il secondo livello è quello comunitario: si vedano gli artt. 31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione europea fatta a Nizza il 7 dicembre 2000; gli artt. 136, 137 e 140 del Trattato CE nel testo successivo al Trattato di Amsterdam; la Carta comunitaria dei diritti sociali dei lavoratori sottoscritta il 9 ottobre 1989.
Infine, il livello propriamente nazionale, dove è sufficiente ricordare le disposizioni fondamentali sancite dagli artt. 2, 36 e 38 della Costituzione, nonché gli artt. 2087 e 2099 del codice civile.
L'obbligo imposto alle amministrazioni si risolve in un mezzo indiretto di pressione nei confronti degli imprenditori che per potere partecipare alle gare di appalto pubbliche sono stimolati a rispettare le condizioni minime legali in tema di retribuzioni e sicurezza.
4.5. Le certificazioni antimafia.
Le certificazioni antimafia consistono in atti emessi dagli uffici territoriali del Governo (ex prefetture), in occasione della conclusione del procedimento amministrativo preordinato al rilascio di autorizzazioni, concessioni, finanziamenti ovvero alla stipula di appalti pubblici, ed hanno il compito di attestare la presenza di cause di divieto, di sospensione o di decadenza in capo ai soggetti interessati.
L’introduzione di tali certificati nel settore dei contratti pubblici si inserisce nella serie dei provvedimenti legislativi finalizzati a combattere la mafia, il cui primo atto è rappresentato dalla legge 31 maggio 1965, n. 575 seguita dalle leggi 13 settembre 1982, n. 646, 23 settembre 1982, n. 936, 19 marzo 1990, n. 55, 12 luglio 1991, n. 203, 7 agosto 1992, n. 356, 24 luglio 1993, n. 256, decreto legislativo 8 agosto 1994, n. 490 e, da ultimo, d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252.
La richiamata normativa ha previsto l’obbligo per le p.a. e soggetti assimilati, prima di stipulare o approvare contratti o subcontratti superiori ad un certo importo di acquisire dal prefetto le informazioni concernenti la sussistenza o meno in capo ai soggetti interessati di delle cause di divieto o sospensione dei procedimenti indicati in apposito allegato (fra cui quelli contrattuali), nonché le informazioni relative ad eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate.
Ove a seguito di tali verifiche emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa, le amministrazioni non possono stipulare o approvare i contratti, né rilasciare o autorizzare le erogazioni.
Le certificazioni possono intervenire prima della conclusione del contratto, operando come requisiti di efficacia del medesimo contratto da stipulare, ovvero successivamente, ove, nei casi di somma urgenza, le amministrazioni abbiano provveduto immediatamente dopo la mera richiesta di informazioni al prefetto; in quest'ultimo caso, il successivo accertamento di una causa di divieto o di elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa opera come causa facoltativa di recesso dal contratto da parte dell’amministrazione interessata, fatto salvo il pagamento delle opere già eseguite e delle spese per l’esecuzione del rimanente.
Il d.P.R. n. 252 del 1998 cit., ha apportato alcune significative modifiche alla disciplina in questione.
E’ stata prevista l’esclusione dalla presentazione della certificazione antimafia per i rapporti fra soggetti pubblici o comunque fra soggetti pubblici e società controllate da soggetti pubblici, ivi compresi quei soggetti privati, i cui organi rappresentativi e quelli aventi funzioni di amministrazione e di controllo sono sottoposti, per disposizione di legge o regolamento, alla verifica di particolari requisiti di onorabilità. L’esclusione riguarda anche gli esercenti attività agricola non organizzata in forma di impresa e gli artigiani individuali, nonché i contratti il cui importo non superi 15.000 euro circa.
E’ stata estesa la validità temporale della certificazione a sei mesi con la possibilità di utilizzare copie autentiche del certificato suddetto al fine di partecipazione contemporanea a più procedimenti amministrativi.
In caso di dichiarazione di urgenza dell’attività contrattuale, è consentito sostituire la certificazione antimafia con una autocertificazione resa dal soggetto interessato. In tal caso, però, l’autocertificazione deve essere accompagnata dall’autenticazione della sottoscrizione.
Le certificazioni e le attestazioni delle camere di commercio sono equiparate alle certificazioni antimafia rilasciate dalle prefetture quando contengano un’apposita dicitura uguale su tutto il territorio nazionale.
Infine, il decreto suddetto determina l’obbligo giuridico per le amministrazioni di non procedere ad aggiudicazione alcuna, quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese prese in considerazione, andando in tal modo a superare problemi che in precedenza erano sorti in ordine ai poteri dell’amministrazione di procedere in tal senso, in mancanza di elementi ostativi per il rilascio della certificazione antimafia.

5. Modelli contrattuali e provvedimentali alternativi agli appalti.
5.1. La concessione di opere pubbliche.
Come è noto, altro sistema di affidamento di lavori pubblici, contemplato nella normativa comunitaria sin dalla direttiva 89\440\Cee, è la concessione di lavori publici. Per essa si intende (art. 1, lett. d) della direttiva 93\37\Ce), un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera a) - e cioè degli appalti pubblici di lavori - ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo.
La nota caratterizzante l'istituto si coglie nell'assunzione del rischio connesso alla gestione ed all'utilizzazione dell'impianto da parte dell'imprenditore (cfr. in termini la Comunicazione interpretativa della Commissione europea sulle concessioni nel diritto comunitario, 29 aprile 2000, punto 2.1.2.).
Lo strumento concessorio non è contemplato nell'ambito dei settori c.d. esclusi (direttiva 93\38 Ce), delle forniture (direttiva 93\36 Ce) degli appalti di servizi (direttiva 92\50\Ce).
Nella legge quadro sui lavori pubblici, ampio spazio è dedicato alla disciplina dell'istituto in esame definito come il contratto concluso in forma scritta fra un imprenditore ed una amministrazione aggiudicatrice, avente ad oggetto la progettazione definitiva, la progettazione esecutiva e l'esecuzione dei lavori pubblici, o di pubblica utilità, e di lavori ad essi strutturalmente e direttamente collegati, nonché la loro gestione funzionale ed economica; la cui controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente tutti i lavori realizzati (art. 19, comma 2).
L'ordinamento italiano, nel conformarsi a quello comunitario, ha così espunto tutte quelle figure di concessioni (di sola costruzione, di committenza, di servizi), che antecedentemente trovavano una copertura normativa nella legge 24 giugno 1924, n. 1137 (ora abrogata) e che si caratterizzavano per la traslazione di poteri pubblicistici in capo al concessionario.
5.2. Project financing.
Con tale formula si designa - nella dottrina e nella prassi commerciale anglosassone - un'operazione di finanziamento di una particolare unità economica, nella quale un finanziatore fa affidamento, sin dall'inizio, sul flusso di cassa e sugli utili della stessa unità economica come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell'unità economica come garanzia collaterale del prestito.
Il diritto comunitario non si interessa formalmente dell'istituto al di là di alcuni richiami contenuti nel libro verde sulla concorrenza.
La finanza di progetto - utilizzabile indifferentemente nel settore pubblico e privato - risponde all'esigenza di finanziare progetti di rilevantissimo importo economico, che per consistenza non potrebbero essere realizzati da un singolo imprenditore o finanziatore, dovendo essere sostenuti da una pluralità di soggetti che non desiderano vedere coinvolti per intero i propri patrimoni nell'iniziativa. Più che un istituto giuridico a se stante è un sistema di finanziamento di progetti capaci di autosostenersi.
Per tale ragione il progetto deve essere finanziato ad hoc e realizzato da una struttura appositamente costituita che assume su di sé i rischi finali dell'impresa nei confronti dei finanziatori.
Conseguentemente la struttura ad hoc deve necessariamente sia remunerare il proprio rischio di impresa che far fronte agli impegni assunti verso i finanziatori attraverso la costruzione dell'opera e la sua utilizzazione; deve trattarsi quindi, di opera in sé redditizia ovvero capace di una remunerazione futura sufficiente.
Per quanto attiene specificamente al diritto italiano, la disciplina generale della finanza di progetto si rinviene negli articoli da 37 bis a 37 nonies della legge 11 febbraio 1994, n. 109. Una disciplina speciale è stata individuata, nelle sue grandi linee, dalla legge di delega 21 dicembre 2001, n. 443, per quanto concerne le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale. Tale normativa deve essere attuata mediante uno o più decreti delegati che il governo potrà emanare entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge medesima (11 gennaio 2002). Essa è ispirata alla massima semplificazione e concentrazione dell'attività delle pubbliche amministrazioni coinvolte nella cura di interessi comunque incisi dalla realizzazione delle grandi opere strategiche; interessi che appaiono fortemente subordinati allo scopo primario della pronta esecuzione dei lavori, con il solo limite del rispetto delle direttive comunitarie assunte nel loro contenuto minimo.
Risaltano, nella disciplina legislativa di settore, i due scopi fondamentali avuti di mira dal legislatore:
sollevare le amministrazioni pubbliche, in tutto o in parte, dagli oneri relativi al finanziamento dell'opera da realizzare;
affidare al settore privato la gestione dell'opera incentivandone il livello di efficienza ed assicurandone la piena utilizzazione commerciale.
Gli strumenti giuridici e la fasi principali previsti per ottenere tali risultati sono:
la formulazione, entro ambiti temporali precisi (il trenta giugno di ogni anno), di proposte dettagliate sotto il profilo tecnico finanziario da parte di soggetti proponenti muniti di speciali requisiti di affidabilità singoli o associati con enti finanziatori e con gestori di servizi (art. 37 bis);
la valutazione della fattibilità delle proposte, da parte delle amministrazioni interessate, sotto molteplici parametri (urbanistico, ambientale, costruttivo, gestionale, funzionale, economico, ecc.), nonchè l'individuazione di quelle ritenute di pubblico interesse (art. 37 ter);
l'utilizzo dello strumento concessorio per la realizzazione e gestione dell'opera (art. 37 quater);
l'indizione della gara per la scelta del concessionario da parte dell'amministrazione aggiudicatrice, entro il 31 dicembre di ogni anno (art. 37 quater);
l'individuazione di un numero massimo di due offerte da contrapporre a quella del promotore, mediante procedura negoziata da aggiudicarsi secondo il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa in relazione alla proposta del promotore precedentemente selezionata (art. 37 quater);
l'aggiudicazione della concessione mediante una procedura negoziata da svolgersi fra l'originario promotore e gli altri soggetti ammessi (art. 37 quater);
la previsione che, in caso di mancanza di competitori ulteriori, la proposta del promotore sia vincolante per lo stesso;
la previsione di particolari garanzie economiche a carico del proponente e degli eventuali concorrenti (art. 37 quater);
il pagamento a carico del concessionario prescelto, in favore del promotore non aggiudicatario, delle spese sostenute per la presentazione della proposta pilota e viceversa (art. 37 quater);
l'obbligo del concessionario di appaltare a terzi una percentuale minima di lavori pari ad almeno il trenta per cento dei lavori (art. 37 quater);
la possibilità - da prevedersi nel bando - che successivamente all'aggiudicazione il concessionario costituisca, obbligatoriamente o meno, una società c.d. di progetto che subentri automaticamente nel rapporto concessorio (art. 37 quinquies);
la possibilità che le società di progetto emettano obbligazioni nominative o al portatore ad alto rischio;
la previsione di speciali indennizzi, in favore del concessionario, in caso di risoluzione per inadempimento del concedente o revoca della concessione; tali indennizzi sono destinati in via prioritaria al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori (art. 37 septies);
la possibilità che, in caso di inadempimento del concessionario, gli enti finanziatori designino una nuova società che subentri in sua vece purchè munita di determinati requisiti tecnico finanziari (art. 37 octies);
le maggiori e speciali garanzie che assistono i crediti dei finanziatori (art. 37 nonies).
5.3. Il contratto di sponsorizzazione.
Di recente, nella prassi, è emerso l'uso del contratto di sponsorizzazione per la realizzazione di interventi di progettazione ed esecuzione di lavori pubblici ovvero di clausole di sponsorizzazione inserite all'interno di contratti di tesoreria degli enti locali.
Con il contratto di sponsorizzazione un soggetto, c.d. sponsee, assume normalmente dietro corrispettivo, l'obbligo di associare a proprie attività il nome o il segno distintivo di altro soggetto, detto sponsor. Lo sponsor offre nella sostanza, una forma di pubblicità indiretta allo sponsor.
La base legale del contratto di sponsorizzazione si rinviene, per la generalità delle amministrazioni pubbliche statali e locali, negli art. 43, legge 27 dicembre 1997, n. 449 e 119, decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 - testo unico degli enti locali. Si registrano, nell'ordinamento nazionale, speciali disposizioni relative ai settori dei beni culturali, ambientali e dello spettacolo. In base alle su menzionate norme, la legittimazione delle p.a. a stipulare contratti di sponsorizzazione è subordinata al ricorrere delle seguenti condizioni:

il perseguimento di interessi pubblici;

l'esclusione di conflitti di interesse tra attività pubblica e privata;

il conseguimento di un risparmio di spesa.

Viene ammessa pertanto la sola sponsorizzazione passiva, in cui lo sponsor ottiene la diffusione della propria immagine tramite l'attività stessa dell'amministrazione: lo sponsor quindi, paga per questo fine un corrispettivo ovvero concorre alle spese dell'iniziativa pubblica.

La sponsorizzazione è qualificata dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato come contratto atipico, non essendo riconducibile a figure contrattuali nominate quali l'appalto di servizi, il contratto d'opera, il contratto associativo, di locazione, di vendita o mandato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 4 dicembre 2001, n. 6073). Del medesimo avviso è l'Autorità nazionale per la vigilanza sui lavori pubblici (cfr. determinazione 5 dicembre 2001, n. 24).

Per le caratteristiche illustrate la sponsorizzazione resta fuori dall'ambito della disciplina comunitaria e nazionale degli appalti (di lavori, servizi, forniture, settori esclusi), in quanto non è catalogabile come un contratto passivo per la p.a., comportando altresì un vantaggio economico e patrimoniale direttamente quantificabile per quest'ultima mediante un risparmio di spesa.

Anche quando il ritorno pubblicitario per lo sponsor assuma carattere preponderante (c.d. sponsorizzazione interna), si ritiene che non possa parlarsi di contratto oneroso perché il ritorno pubblicitario non è una controprestazione in senso tecnico; tale intento economico però, esclude la configurabilità della causa di liberalità. Si è in presenza di un negozio a titolo gratuito. Sotto tale angolazione deve escludersi che possa trovare applicazione la normativa comunitaria la quale disciplina solo i contratti corrispettivi a titolo oneroso.
Un primo corollario, secondo l'Autorità di vigilanza è che non troveranno applicazione le procedure di scelta del contraente di derivazione comunitaria o nazionale.
Oggetto della prestazione dello sponsor può essere anche l'attività di progettazione, esecuzione e collaudo di opere pubbliche.
In tal caso però rimane fermo il dovere delle amministrazioni di sorvegliare e vigilare sugli interventi la cui esecuzione viene affidata agli sponsor, in quanto trattandosi di lavori su beni pubblici, è chiaramente individuabile una responsabilità dell'amministrazione in relazione a qualsiasi intervento che su di essi avvenga.
Parimenti troveranno applicazione le norme di settore che esigono la presenza di determinati requisiti tecnici negli esecutori di appalti pubblici a garanzia della bontà delle prestazioni, specie avuto riguardo al settore dei restauri e della manutenzione degli edifici pubblici (la normativa sulla qualificazione tecnica degli esecutori di opere pubbliche è contenuta nel d.P.R. 25 gennaio 2000, n. 34).
Su l'uso del contratto di sponsorizzazione come strumento alternativo agli appalti di lavori, servizi e forniture, non si registrano prese di posizione contrarie nella giurisprudenza comunitaria.
Sul piano interno, la legge quadro sui lavori pubblici, nel prevedere il principio di tipicità dei contratti di realizzazione dei lavori (art. 19, comma 1, e 2, comma 5 bis) sembra frapporre un ostacolo considerevole all'utilizzo dei contratti di sponsorizzazione (ma anche a quelli di donazione).
Inoltre l'art. 19, comma 5, legge quadro, statuisce che in sostituzione totale o parziale delle somme di denaro costituenti il corrispettivo dell'appalto, il bando di gara può prevedere il trasferimento all'appaltatore della proprietà dei beni immobili appartenenti all'amministrazione aggiudicatrice; dal che potrebbe evincersi che la nozione di appalto accolta dal legislatore nazionale sia alquanto più ristretta di quella comunitaria, perché non solo deve trattarsi di contratto a titolo oneroso, ma anche perché tale onerosità può consistere solo nella corresponsione di somme di denaro, ovvero cessioni di beni immobili, giammai in altre prestazioni (come quelle erogate a favore dello sponsor).
5.4. Le convenzioni per la realizzazione di opere di urbanizzazione.
L'attività costruttiva privata, nel sistema urbanistico italiano, è sottoposta a una speciale forma di contribuzione destinata a sovvenzionare la realizzazione delle opere c.d. di urbanizzazione primaria e secondaria (strade, rete fognaria, ospedali, scuole, parchi ecc., cfr. da ultimo l'art. 16, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - testo unico in materia edilizia).
In sostituzione totale o parziale dei contributi di urbanizzazione il titolare del permesso di costruire può obbligarsi mediante una speciale convenzione a realizzare direttamente le opere pubbliche in questione (art. 16, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - testo unico in materia edilizia).
Nella prassi, pertanto, tali convenzioni divenivano strumenti alternativi all'appalto di lavoro per la realizzazione di opere pubbliche.
La Corte di giustizia della CE (sezione VI, 12 luglio 2001, c-399\98), ha ritenuto la normativa italiana in contrasto con la direttiva 93\37 CE allorquando il valore delle opere di urbanizzazione da realizzare sia superiore alla soglia fissata dalla direttiva.
Il principio di diritto affermato è fondato sull'assunto che la realizzazione delle opere crea in ogni caso vantaggio per il privato che lucra un corrispettivo pari all'esonero dall'obbligo di versare quanto dovuto a titolo di onere di urbanizzazione. Ne deriva, secondo la Corte, che:
la direttiva non troverà applicazione allorquando il privato manifesti la disponibilità all'esecuzione dell'opera senza ricevere corrispettivo sub specie di esonero dal pagamento degli oneri di urbanizzazione;
il comune potrà affidare al privato la realizzazione di un'opera pubblica primaria o secondaria esclusivamente nella forma del mandato alla costruzione, a spese di quest'ultimo, per conto del comune e nel rispetto delle regole europee applicabili allo stesso comune, ovvero con l'obbligo di seguire la procedura di evidenza pubblica prevista dalla direttiva 93\37.
Il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si è prontamente adeguato ai principi sanciti dalla Corte invitando tutte le amministrazioni pubbliche a disapplicare la normativa nazionale in favore di quella comunitaria (cfr. circolare 18 dicembre 2001, n. 462).
5.5. La vendita di cosa futura.
La tematica riguarda la possibilità, per un'amministrazione dello Stato, di ricorrere al contratto di compravendita di cosa futura di cui all'art. 1472 c.c.
L'istituto della vendita di cosa futura non è stato espunto dall'ordinamento nazionale a seguito del sopravvenire della più recente legislazione sui lavori pubblici.
La giurisprudenza amministrativa (cfr. Cons. St., ad. gen., 17 febbraio 2000, n. 2), ha ammesso tale possibilità dopo un'accurata analisi dei notevoli cambiamenti che, soprattutto nel corso dell'ultimo decennio, hanno innovato la disciplina dei contratti della p.a. e, pur confermando la possibilità di fare ricorso all'istituto, ha individuato una serie di limiti stringenti e rigorosi, tali da ridurre ad ipotesi marginalissime l'uso di tale strumento negoziale; tracciando uno schema procedimentale paradigmatico, articolato su tre livelli (istruttorio, procedimentale, negoziale), delle attività che l'amministrazione deve compiere per verificare che ne ricorrano i presupposti.
Si è posto in risalto che l'utilizzo di tale strumento, derogatorio rispetto alla normativa sugli appalti pubblici e alternativo all'appalto di opera pubblica, debba avvenire evitando di porre in essere procedure atipiche che possano indurre il sospetto che il sistema prescelto sia, in realtà, volto a dissimulare un contratto di appalto, così eludendo non solo la normativa ordinaria ma, altresì, i principi comunitari, in materia di opere pubbliche, in quanto il ricorso alla compravendita presuppone l'espletamento di una procedura negoziata.
Premesso che è assai difficile distinguere se si tratti dell'una piuttosto che dell'altra figura (vendita di cosa futura versus appalto di opera pubblica), nelle ipotesi in cui oggetto del contratto sia tanto un obbligo di fare, tipico dell'appalto, quanto un obbligo di dare, tipico della vendita, vale a dire quando la cosa non sia ancora venuta ad esistenza e il commissionario debba fornire egli stesso i materiali necessari, una volta ammessa la possibilità che la p.a. concluda un contratto di tal fatta, dovrebbe escludersi l'applicabilità dell'art. 6, l. n. 205, perché non sarebbe configurabile - sul piano della nuda causalità - un'ipotesi di affidamento di lavori mediante appalto o concessione.
Viceversa, secondo una diversa minoritaria tesi più fedele al rispetto del principio di tipicità dei mezzi di realizzazione dei lavori pubblici, la normativa che impone la pubblica gara per la scelta del contraente deve trovare applicazione ogniqualvolta fra quest'ultima e la p.a. si instauri un rapporto a prestazioni corrispettive, qualunque sia il nomen iuris attribuito dalle parti alle fonti del rapporto - contratto d'appalto, vendita di cosa futura, leasing, ecc. - (cfr. . Cons. St., sez. V, 4 novembre 1994, n. 1257; Corte conti, sez. contr., 19 settembre 1995, n. 121; 15 febbraio 1993, n. 16).
Si è infine sostenuta la nullità del contratto di compravendita di cosa futura utilizzato al fine di acquistare immobili per lo Stato per simulazione, ai sensi dell'art. 1414 c.c., nonché per illiceità della causa secondo il disposto del comma 2, dell'art. 1418 c.c., dal momento che tale negozio è caratterizzato dalla consapevole divergenza tra la causa tipica del contratto prescelto e la determinazione causale delle parti indirizzate all'elusione di norme imperative (art. 1344 c.c) (cfr. Corte conti, sez. contr., 24 novembre 1995, n. 150).
In ogni caso, la determinazione della p.a. di ricorrere allo strumento contrattuale della vendita di cosa futura, dovrebbe ritenersi impugnabile davanti al g.a., adito in sede di legittimità, dalle imprese interessate a partecipare ad una eventuale gara di appalto.
5.6. La concessione di pubblico servizio e l'appalto di servizi.
Nell'ordinamento italiano, indipendentemente dall'adesione alle varie teorie identificative dei tratti tipici della nozione di servizio pubblico, costituisce approdo comune quello della distinzione tra il servizio pubblico, cioè quel complesso rapporto che si instaura tra gestore (pubblico o privato) ed utente, e la prestazione di un servizio in favore della pubblica amministrazione (si pensi al servizio di pulizia o di manutenzione di impianti presso edifici pubblici), attività rispetto alla quale non corrisponde una specifica pretesa degli utenti.
Ciò che, dunque, connota il primo rispetto alla seconda è la centralità del momento della destinazione delle prestazioni in favore degli utenti.
Di qui, quale logico corollario, la differenza tra la concessione di servizi pubblici e l’appalto pubblico di servizi.
La concessione configura un rapporto trilaterale, intercorrente tra amministrazione, concessionario ed utenti, a vantaggio dei quali vengono erogate le prestazioni e a carico dei quali è di conseguenza posto il corrispettivo.
L’appalto di servizi, invece, dà luogo ad un rapporto bilaterale, concernendo prestazioni rese dall’appaltatore in favore della pubblica amministrazione che ne sopporta i relativi oneri economici.
E', pertanto, evidente che il rapporto che si instaura tra amministrazione committente e privato appaltatore è estraneo alla materia del pubblico servizio a cui fa riferimento (Cons. St., sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6317).
Del resto anche la Corte di giustizia sottolinea l'estraneità delle concessioni di servizi pubblici (quali contratti caratterizzati dal trasferimento della gestione di un servizio pubblico avente come corrispettivo il diritto del concessionario di sfruttare economicamente il servizio medesimo), all'ambito di applicazione della disciplina sugli appalti.
Sicché in linea di principio, a tale figura non risulterebbe meccanicamente riferibile il complesso delle norme garantiste divisate dalla direttiva 92\50 recante la disciplina dei contratti di appalti di servizi (cfr. Cons. St., sez. IV, 17 gennaio 2001, n. 253; sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 934).
Sotto tale angolazione la Corte di giustizia delle C.E. (cfr. Corte giust., sez. VI, 7 dicembre 2000, causa C-324\98, Teleaustria; Corte giust., 18 novembre 1999, causa C-275\98, Unitron Scandinavia, emessa in relazione alla direttiva lavori 93\36), ha rimarcato l’estraneità delle concessioni di servizi pubblici (intesi nell’ottica comunitaria quali contratti caratterizzati dal trasferimento della gestione di un servizio pubblico avente come corrispettivo il diritto del concessionario di sfruttare economicamente il servizio medesimo), all’ambito di applicazione della disciplina sugli appalti.
La stessa Corte, però, ha inteso rimediare in via pretoria alle delineate lacune normative individuando precetti idonei a scongiurare, sul piano applicativo, il rischio di sottrarre completamente al gioco della concorrenza l’intera gamma dei rapporti concessori.
Per raggiungere tale obbiettivo, la Corte, ponendosi in una prospettiva sistematica tesa a salvaguardare, anche in relazione a fattispecie concessorie, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, ha fatto leva sulla correlazione fra il divieto di discriminazione in base alla nazionalità e la trasparenza delle commesse pubbliche, intesa sia come esigenza di diffondere le informazioni relative ai contratti da stipulare per consentire alle imprese di valutare l’opportunità della presentazione di un’offerta, sia come criterio informatore delle successive fasi delle procedure di aggiudicazione di cui salvaguardare il corretto svolgimento.
Così ricostruita nella sua portata applicativa, la trasparenza appare il logico corollario della parità di trattamento di cui assicura l’effetto utile garantendo, attraverso l’eguale possibilità di accesso alle gare e l’obbiettiva ed imparziale selezione dei candidati, condizioni di concorrenza non falsate.
Tale impostazione ermeneutica, vincolante per le istituzioni degli stati membri ivi comprese quelle giurisdizionali (sul punto cfr. ex plurimis, Cass. sez. un., 11 novembre 1997, n. 11131; Corte cost., 18 aprile 1991, n. 168; Corte giust. 13 maggio 1981, C-66\80, soc. International Chemical and Cosmetics co.), è coerente con le valutazioni formulate dalla commissione europea nella comunicazione interpretativa sulle concessioni adottata il 29 aprile 2000.
Essa comporta che l’adozione di adeguati regimi di pubblicità delle procedure di affidamento di servizi pubblici e la loro sottoposizione alle regole basilari del confronto competitivo tragga origine dai principi fondamentali del diritto comunitario enucleabili dalle norme sancite dai trattati (in particolare artt. 43 e 49), e da quelle riprodotte nelle fonti derivate (segnatamente le direttive in materia di appalti di servizi, lavori, forniture e settori esclusi).
Per completezza si segnala che le indicazioni in parte qua vincolanti fornite dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione sono state condivise dalla recente circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri 19 ottobre 2001, n. 12727 – affidamento a società miste della gestione di servizi pubblici locali – che ha invitato le amministrazioni pubbliche a seguire procedure selettive onde evitare l’apertura (peraltro già verificatasi), di procedure di infrazione per la violazione delle disposizioni comunitarie (nella stessa direzione si muovono il decreto del Ministero dell'Ambiente - 22 novembre 2001 e la connessa circolare applicativa - 17 ottobre 2001, n. GAB\2001\11559\B01 - concernenti le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del servizio idrico integrato, a norma dell'art. 20, comma 1, l. 5 gennaio 1994, n. 36).
Per concludere sul punto deve osservarsi che in tema di affidamento, mediante concessione, di servizi pubblici di rilevanza comunitaria, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli artt. 43 e 49 del Trattato C.E.), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici (enucleabili dalle direttive in materie di appalti di lavori, servizi, forniture e settori esclusi), impone all'amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercé l'utilizzo di procedure competitive selettive.
5.7. Appalto di servizi e affidamento di incarico professionale.
Secondo il tradizionale indirizzo della giurisprudenza italiana, la prestazione d'opera intellettuale, non ha i caratteri propri dell'appalto di servizi, ex art. 1655 c.c. e 3, d. lg. 17 marzo 1995 n. 157, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal d. lg. 25 febbraio 2000, n. 65; anche quando sia resa dal professionista in favore di ente pubblico in forma continuativa e coordinata, ma al di fuori della sua struttura organica, mantenendo il professionista la propria autonomia organizzativa e l'iscrizione al relativo albo (Cons. St., sez. IV, 27 giugno 2001, n. 3483; sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6315; Cass. sez. un., 19 ottobre 1998, n. 10370; Cass. sez. un., 23 aprile 1997, n. 3572).
L'appalto, infatti, si distingue dal contratto d'opera in quanto l'appaltatore deve necessariamente essere una media o grande impresa.
Inoltre l'oggetto del contratto di appalto di servizi - prestazione imprenditoriale di un risultato - si differenzia nettamente dall'oggetto dal contratto d'opera che è dato dalla prestazione intellettuale, senza che sia presupposta un'organizzazione di mezzi o l'utilizzazione di lavoro altrui.
In questa prospettiva non giova che l'allegato I, n. 12 al decreto n. 157 del 1995 cit. - recante la pedissequa trasposizione dell'allegato IA, n. 12 richiamato dall'art. 8 della direttiva 92\50 Ce - enumeri una serie di servizi che integrano il contenuto di prestazioni rese da professionisti iscritti negli appositi albi, giacché, come si è visto, difetta il requisito soggettivo dell'organizzazione in forma d'impresa del soggetto appaltatore.
Né deve trarre in inganno l'art. 17, della l. n. 109 del 1994 (in parte qua non modificato dall'ultima novella introdotta dalla l. 18 novembre 1998, n. 415), che si riferisce alle prestazioni relative alla progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva nonché alla direzione dei lavori ed agli incarichi di supporto tecnico - amministrativo, strumentali all'attività di progettazione di opere pubbliche.
Allorquando tali attività, ove ne ricorrano i presupposti legali, possano essere affidate a privati, la norma si preoccupa di dettare una disciplina di evidenza pubblica per la scelta del professionista.
Si tratta, all'evidenza, di una scelta discrezionale del legislatore nazionale che conferma come, in mancanza di norme espresse, non sia corretta la completa equiparazione fra appalti di servizi e contratti di prestazione professionale.
5.8. L'acquisto di beni e servizi mediante convenzioni tipo.
Una disciplina speciale per l'acquisto di beni e servizi si rinviene negli artt. 26, legge 23 dicembre 1999, n. 488; 58, 59 e 60, legge 23 dicembre 2000, n. 388; 24, comma 6, e 29, legge 28 dicembre 2001, n. 448.
In base a tali norme, tutte le amministrazioni pubbliche statali, centrali o periferiche, in deroga alla normativa comunitaria e nazionale di riferimento, sono tenute ad approvvigionarsi di beni e servizi, anche in locazione finanziaria, inoltrando specifici ordinativi a fornitori già individuati ed a condizioni contrattuali predefinite.
I fornitori sono tenuti ad accettare gli ordinativi fino alla concorrenza fissata in apposite convenzioni stipulate, nell'interesse del Ministero dell'economia e delle altre amministrazioni statali, dalla Concessionaria servizi informatici pubblici Consip s.p.a., organismo partecipato dallo stesso Ministero dell'economia.
Tali convenzioni devono indicare i limiti massimi dei beni e servizi espressi in termini di quantità, nonché il periodo di efficacia temporale massima della convenzione stessa.
Le convenzioni sono rese pubbliche sul sito Internet del Ministero dell'economia.
Il Ministero dell'economia è esentato, per la stipula di tali convenzioni, dal parere del Consiglio di Stato, dal parere di congruità economica dei competenti organi tecnici, nonché dal controllo preventivo della Corte dei Conti.
Nel quadro di una vasta manovra di esternalizzazione dei servizi svolti dalle p.a., ai medesimi fornitori può essere affidato lo svolgimento di compiti in precedenza svolti direttamente dalle amministrazioni, a condizione di ottenere economie di gestione e di ridurre proporzionalmente le dotazioni organiche di personale (art. 36, l. n. 448 del 2001 cit.).
Le procedure di individuazione dei fornitori, che devono rispettare genericamente la normativa vigente in materia di scelta del contraente, possono avvenire anche a mezzo di strumenti elettronici ed informatici, in adesione ai principi della parità di condizioni dei partecipanti, della trasparenza e della semplificazione procedimentale.
Le restanti pubbliche amministrazioni e gli enti locali sono liberi di aderire a tali convenzioni, ma in ogni caso devono:
utilizzare i parametri di qualità e di prezzo per l'acquisto di beni e servizi comparabili con quelli dedotti in convenzione;
motivare specificamente i provvedimenti con cui acquistano beni e servizi a prezzi e condizioni meno vantaggiosi rispetto a quelli stabiliti nelle convenzioni;
sottoporre ai responsabili politici degli enti ed amministrazioni, a cura degli organi di controllo di gestione, una relazione riguardante i risultati in termini di risparmio di spesa conseguito attraverso il ricorso alle convenzioni o ai parametri di qualità e prezzo da esse enucleabili;
i soli enti locali devono da un lato utilizzare i prezzi fissati nelle convenzioni come base d'asta al ribasso in caso procedano ad acquisti in via autonoma; dall'altro emanare direttive affinchè gli amministratori designati negli enti e nelle aziende di interesse locale promuovano l'adesione alle convenzioni.
Seri dubbi circa la legittimità nazionale e comunitaria di tali convenzioni sono stati avanzati con riferimento:
al venir meno dei pareri di legittimità ed opportunità amministrativa del Consiglio di Stato e di congruità degli organi tecnici, su schemi di convenzione di rilevantissimo peso economico per la mano pubblica ma anche per i settori imprenditoriali interessati, con possibili effetti distorsivi della concorrenza;
alla eliminazione della gara formale retta dalle modalità garantiste contemplate nelle direttive 93\36 e 92\50 nonché dalle norme nazionali di recepimento (rispettivamente decreti legislativi 24 luglio 1992, n. 358 e 17 marzo 1995, n. 157 e successive modifiche).
Alla eliminazione del controllo preventivo della Corte dei conti.
5.9. Le procedure contrattuali in economia.
Il mezzo normale con cui la p.a. provvede ai lavori, le forniture e i servizi è il contratto concluso con imprenditori (art. 36, r.d. 23 maggio 1924, n. 827, legge fondamentale sulla contabilità generale dello Stato).
Tuttavia, per particolari ragioni di urgenza o per l'indole stessa del lavoro, del servizio o della fornitura, può accadere che si presenti all'amministrazione la necessità o la viva opportunità di provvedere direttamente, a mezzo dei propri organi ed agenti, senza ricorrere all'opera di privati imprenditori.
Le attività che per la loro natura devono farsi in economia sono determinate e rette da speciali regolamenti (art. 8, r.d. 18 novembre 1923, n. 2440, regolamento esecutivo della legge generale di contabilità).
Secondo la tesi tradizionale mentre il rapporto derivante dal contratto di appalto si instaura fra l'amministrazione e l'imprenditore e questi è responsabile dell'organizzazione e della gestione dei lavori che si è impegnato ad eseguire, il rapporto che deriva dalla conduzione in economia si instaura direttamente fra il funzionario ed il privato (artigiano, tecnico, commerciante) scelto in assoluta discrezionalità che diviene suo ausiliario.
Sicché il funzionario diviene direttamente responsabile nei confronti dell'amministrazione per l'esecuzione dei lavori, dei servizi e delle forniture.
Stante il contrasto con la disciplina comunitaria - sotto il profilo della tipicità dei criteri di scelta del contraente e dei sistemi di selezione delle offerte - la dottrina e la giurisprudenza considerano eccezionali le ipotesi di ricorso alla conduzione in economia ed ammissibili nei soli affari che non superino la soglia di rilievo comunitaria.
I servizi che per loro natura debbono farsi in economia vanno individuati tenendo conto non già della qualità del soggetto che svolge l'attività stessa (agente della p.a. o impresa terza) quanto delle connotazioni dell'attività da compiere, quali la qualità della prestazione, la destinazione, le sue modalità di esecuzione, la limitata estensione del servizio nel tempo, la sua provvisorietà, l'entità della spesa, l'urgenza; tali caratteristiche devono essere oggettive, in modo da rendere evidente l'impraticabilità e la antieconomicità delle normali procedure di contrattazione (cfr. Cons. Stato, ad. gen., 6 aprile 1995, n. 39).
Da ultimo, come si dirà subito appresso, i recenti regolamenti che hanno ridisegnato la materia, si sono preoccupati da un lato di contenere il ricorso a tali speciali procedure nei limiti di soglia comunitaria, dall'altro di accentuare le garanzie procedimentali per la pubblica amministrazione, aumentando al contempo gli spazi di competitività per gli operatori di settore. Ne discende, segnatamente con riferimento al cottimo fiduciario, una forte attenuazione delle differenze con le procedure negoziate ed in particolare con la trattativa privata, di cui il cottimo appare sempre più una species.
5.9.1. L'acquisizione in economia di beni e servizi.
Il d.P.R. 20 agosto 2001, n. 384 reca il regolamento che disciplina il sistema delle procedure di effettuazione delle spese per l'acquisizione in economia di beni e servizi da parte delle amministrazioni statali anche ad ordinamento autonomo.
Rimangono ferme le speciali disposizioni sancite dai regolamenti di esecuzione dei servizi in economia per le amministrazioni militari (art. 1) nonché il ricorso alle convenzioni stipulate dalla Consip s.p.a. (art. 2).
Il limite massimo consentito per le procedure in economia è di 130.000 euro con esclusione dell'imposta sul valore aggiunto (art. 3). Ciascuna amministrazione individua, in ragione delle proprie specifiche esigenze, le ipotesi di ricorso ai servizi in economia (art. 2).
In via generale, fermo il limite di importo su riferito, le spese in economie sono comunque consentite nelle seguenti ipotesi:
risoluzione di un precedente rapporto contrattuale, onde consentire il rispetto del termine previsto dall'originario contratto;
completamento delle prestazioni non previste dal contratto in corso, non affidabili al precedente aggiudicatario;
acquisizioni di beni e servizi per il tempo strettamente necessario per il rinnovo di contratti scaduti nel rispetto delle procedure ordinarie di scelta del contraente;
verificarsi di eventi oggettivamente imprevedibili onde scongiurare situazioni di pericolo a persone, cose, nonché a tutela dell'igiene e della salute pubblica, e del patrimonio culturale.
L'esecuzione in economia può avvenire secondo i due tradizionali sistemi dell'amministrazione diretta e del cottimo fiduciario.
Nell'amministrazione diretta le acquisizioni di beni e servizi sono effettuate con materiali e mezzi propri o appositamente noleggiati e con personale proprio.
Nel cottimo fiduciario:
le acquisizioni avvengono mediante affidamento a persone o imprese (art. 2);
vige il divieto espresso di frazionamenti artificiosi degli importi (art. 3);
il responsabile del procedimento, prima di procedere all'acquisizione, deve prendere in considerazione i prezzi di mercato rilevati dagli enti preposti, allo scopo di orientare la propria valutazione sulla congruità dell'offerta (art. 4);
devono essere richiesti almeno cinque preventivi redatti in considerazione dell'oggetto delle prestazioni, delle eventuali garanzie, delle caratteristiche tecniche, delle modalità di esecuzione e di pagamento, dei prezzi; può derogarsi a tale obbligo solo se il bene o servizio da acquisire è speciale ovvero la spesa non superi i 20.000 euro; il limite di importo sale a 40.000 euro se i beni ed i servizi sono connessi ad impellenti ed imprevedibili esigenze di ordine pubblico (art. 5).
il cottimo deve essere esternato a mezzo di scrittura privata semplice, ovvero mediante lettera di ordinazione (art. 5);
la scelta del contraente avviene in base all'offerta più vantaggiosa.
5.9.2. I lavori in economia.
Il d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554 contiene, fra l'altro, il regolamento dei lavori in economia.
Anche i lavori in economia possono eseguirsi mediante amministrazione diretta e cottimo fiduciario (art.142).
Il limite massimo di importo è fissato in 200.000 euro (art. 144).
I lavori eseguibili in economia sono individuati da ciascuna stazione appaltante, con riguardo alle proprie specifiche competenze e nell'àmbito delle seguenti categorie generali:
manutenzione o riparazione di opere od impianti quando l'esigenza è rapportata ad eventi imprevedibili e non sia possibile realizzarle con le forme e le procedure ordinarie;
manutenzione di opere o di impianti di importo non superiore a 50.000 euro;interventi non programmabili in materia di sicurezza;
lavori che non possono essere differiti, dopo l'infruttuoso esperimento delle procedure di gara;lavori necessari per la compilazione di progetti;completamento di opere o impianti a seguito della risoluzione del contratto o in danno dell'appaltatore inadempiente, quando vi è necessità ed urgenza di completare i lavori (art. 88). Quando i lavori sono determinati da ragioni di urgenza questa deve risultare da uno specifico verbale che dia conto anche delle cause e dei rimedi necessari per eliminarlo (art.146).Ove ricorrano condizioni di somma urgenza, possono essere affidati lavori strettamente indispensabili per rimuovere lo stato di pregiudizio, anche oltre il limite dei 200.000 euro (art. 147).L'amministrazione diretta implica l'esecuzione di lavori direttamente a cura del funzionario responsabile, con proprio personale o con quello eventualmente assunto ad hoc, nonché con acquisto o noleggio dei materiali e mezzi indispensabili; i lavori assunti in amministrazione diretta non possono comportare una spesa superiore a 50.000 euro, salvi i casi di somma urgenza visti in precedenza (art. 143).Il cottimo, invece, al pari di quanto accade in materia di acquisizioni di beni o servizi, si sostanzia nell'affidamento di lavori ad un'impresa scelta previa indagine di mercato effettuata nei confronti di almeno cinque soggetti. Per lavori di importo inferiore a 20.000 euro si prescinde dall'indagine di mercato (art. 144).Il contratto di cottimo deve avere un contenuto minimo necessario, comprensivo dell'elenco dei lavori, dei prezzi unitari, delle condizioni di esecuzione, del termine di ultimazione, delle modalità di pagamento, delle eventuali penalità (art. 144).I contratti di cottimo sono soggetti a pubblicità successiva mediante comunicazione all'Osservatorio nazionale dei lavori pubblici e pubblicazione nell'albo della stazione appaltante dei nominativi degli affidatari (art. 144).


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