Sommario:
1.Premessa.
2.Lo stato dell’arte della giurisprudenza anteriore al codice. Caducazione automatica, inefficacia, annullabilità, nullità del contratto. Cenni.
3. La problematica della spettanza della giurisdizione sulla sorte del contratto.
4. L’inefficacia del contratto in caso di gravi violazioni
5. L’inefficacia del contratto negli altri casi
6. La tutela in forma specifica e per equivalente
1.Premessa.
Il presente scritto non ambisce al rango di trattazione completa del tema dell’inefficacia del contratto d’appalto a seguito di annullamento dell’aggiudicazione ma vuol essere da un lato una piccola sintesi degli orientamenti giurisprudenziali previgenti al varo del codice del processo amministrativo e dall’altro un commento a prima lettura delle disposizioni che la novella processuale dedica all’argomento.
Il tutto senza alcuna pretesa di esaustività ma con la consapevolezza di dare atto solo degli interventi giurisprudenziali più importanti e di fornire spunti interpretativi delle nuove norme.
Le note ed i richiami sono pertanto ridotti all’essenziale.
2. Lo stato dell’arte della giurisprudenza anteriore al codice. Caducazione automatica, inefficacia, annullabilità, nullità del contratto. Cenni.
1. Il fenomeno che si produce in esito all’annullamento degli atti di una gara d’appalto ad opera del giudice amministrativo ed, in particolare in esito all’annullamento del provvedimento terminale dell’aggiudicazione definitiva ha da sempre posto il problema della sorte del contratto d’appalto medio tempore stipulato tra Amministrazione aggiudicatrice e appaltatore.
Non è chi non veda, infatti, come l’esigenza di tutelare il ricorrente vittorioso ha posto l’interprete di fronte al dilemma delle conseguenze che potevano predicarsi discendere dalla pronuncia giudiziale cassatoria dell’aggiudicazione sul vincolo negoziale.
In breve e senza alcuna pretesa di completezza, giova forse, oggi che la materia è stata disciplinata con disposizioni minuziose dal d.lgs. n. 104/2010 recante il testo del nuovo codice del processo amministrativo, rammentare le tesi che si erano venute elaborando in giurisprudenza sulla tematica dei riverberi della sentenza di annullamento della gara sul vincolo negoziale convenuto con l’appaltatore.
2. Non va in tale ottica trascurata la posizione meno garantista assunta dalla Cassazione, la quale per molti anni ha sostenuto che il contratto d’appalto sorto sulle ceneri di un’aggiudicazione viziata e annullata dal giudice amministrativo non risentiva in via automatica degli effetti della pronuncia giurisdizionale e necessitava di essere annullato dal giudice ordinario, cui il ricorrente vittorioso nel giudizio amministrativo era costretto a rivolgersi per vedere integralmente reintegrata la sua posizione giuridica soggettiva.
Questa opzione frustrava le istanze di celerità e di effettività della tutela giurisdizionale perché oltre a comportare la necessità di intraprendere una nuova azione civile scontava anche il meccanismo di rilievo dell’annullamento intessuto nel codice civile ed in forza del quale l’azione compete a colui che vi abbia interesse, con l’ulteriore precisazione che si riteneva che le norme di evidenza pubblica infrante dall’Amministrazione che aveva posto in essere una procedura e susseguente aggiudicazione viziata, sono predisposte nell’interesse pubblico che si faceva coincidere con quello dell’Amministrazione alla individuazione della migliore proposta contrattuale.
Ne conseguiva che unico soggetto legittimato all’azione di annullamento era la stessa P.A. che aveva dato causa all’aggiudicazione illegittima; con il che la situazione soggettiva del ricorrente vittorioso risultava grandemente compromessa.
3.1. Per reagire a tale iniquo costrutto si fecero strada in giurisprudenza due opposte opzioni ermeneutiche che, al contrario, valorizzavano lo stretto legame, definito in termini di presupposizione ovvero di consequenzialità necessaria, tra provvedimento di aggiudicazione e contratto, per giungere a predicare come approdo terminale l’automatica caducazione del contratto d’appalto ovvero, secondo una variante di tale esegesi, la sua inefficacia sopravvenuta.
Ebbene, a stare a simili eleganti elaborazioni, che trovarono accoglimento anche in talune pronunce della Cassazione, il contratto d’appalto stipulato a valle dell’aggiudicazione, in generale non ha vita autonoma ma sostanzia un mero atto formale riproduttivo dell’accordo già concluso. Siffatta sua natura meramente compilativa comportava che il negozio era destinato a subire gli effetti del vizio che inficiava il provvedimento che ne costituiva il presupposto e a cui era inscindibilmente collegato e, praticamente, a restare automaticamente caducato, addirittura senza la necessità di pronunce costitutive del suo cessato effetto da parte del giudice amministrativo che aveva annullato l’aggiudicazione della gara, o di atti di ritiro dell’amministrazione[1].
La vicenda offriva un significativo esempio della c.d. invalidità ad effetto caducante [2] e la caducazione del negozio a valle doveva affermarsi per effetto della stretta presupposizione tra l’annullamento degli atti della procedura di evidenza pubblica e il contratto d’appalto[3].
3.2. Non va sottaciuto che la delineata teorica prestò il fianco, nella stessa giurisprudenza che pure la sposava, ad una acuta autocritica, là dove si faceva osservare come apparisse arduo predicare la sussistenza di un nesso di stretta presupposizione tra due atti avanti natura del tutto diversa, quali il provvedimento amministrativo di aggiudicazione, promanante dall’apparato amministrativo, e il contratto, scaturente invece dall’incontro della volontà delle parti ed avente comune natura consensuale.
Immediatamente si controdeduceva, peraltro, in proposito, che l’ordinamento fornisce significativi esempi dell’esistenza di un similare nesso di presupposizione tra atti aventi natura diversa e promananti da fonti diverse, facendosi l’esempio del legame predicabile tra regolamento, avente natura di fonte del diritto, e provvedimento, atto a risentire in via derivata dei vizi che affliggono il primo.
Ragion per cui non si intravedevano seri ostacoli teorici alla tesi del nesso di stretta presupposizione o consequenzialità necessaria tra provvedimento di aggiudicazione e contratto d’appalto e al corollario per il quale i vizi della prima si riverberassero in via automatica sul secondo, anche in omaggio al broccardo simul stabunt simul cadent.
4. Secondo altra raffinata teorica, che a ben vedere costituisce, come più sopra avvertito, una variante della tesi della caducazione automatica, la sentenza di annullamento della gara emessa dal giudice amministrativo importa il sopravvenire di una ragione nuova di inefficacia sopravvenuta del contratto a causa della sua successiva inidoneità funzionale a regolare l’assetto di interessi tra le parti, in virtù dell’ingerenza ab externo di interessi giuridici superiori incompatibili con il permanere in via definitiva dell’assetto determinato dal contratto[4]. Secondo la decisione n. 6666/2003 del Consiglio di Stato l’annullamento dell’aggiudicazione priva ex tunc l’organo pubblico che ha stipulato il contratto della necessaria legittimazione formale ad esprimere il consenso dell’Amministrazione, per cui il negozio diviene inefficace ma sono salvi gli effetti prodottisi sui terzi di buona fede al pari di quanto avviene in materia di invalidità delle delibere delle associazioni non riconosciute ai sensi dell’art. 23, comma 2, c.c.
Si precisava in chiave teorica in tutte le citate pronunce che il contratto era affetto non da un vizio genetico, per cui, in sé, restava valido, ma da un vizio operante sul piano e al diverso livello degli effetti.
Gli interessi superiori incompatibili con l’assetto recato dal negozio consistevano nell’acclarata illegittimità dell’aggiudicazione e nell’esigenza di ripristino della legalità violata con il provvedimento di aggiudicazione annullato dal giudice amministrativo.
Non è chi non veda come la teoria della caducazione automatica e quella dell’inefficacia sopravvenuta producessero i medesimi effetti giuridici ultimi, ovverosia la perdita di efficacia del contratto d’appalto senza la necessità dell’esperimento di un’ulteriore azione giurisdizionale e senza che fosse necessario statuire in merito da parte dello stesso giudice dell’annullamento.
Invalsa era peraltro la prassi di domandare al giudice, contestualmente all’annullamento, anche la declaratoria di automatica caducazione o di inefficacia del negozio e conseguentemente il giudice pronunciava in proposito; di tal che il dispositivo recava in sé oltre alla pronuncia demolitoria anche la declaratoria di inefficacia o di caducazione del contatto.
5. A margine delle due descritte tesi era pure da registrare quella, per il vero più cristallina, che predicava non l’inefficacia o la caducazione o perdita di effetti del contratto, bensì la sua radicale nullità per contrarietà a norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418, comma 2 del codice civile, secondo il modello della c.d. nullità virtuale od extratestuale.
Si sosteneva, cioè, che il contratto d’appalto sorto da un’aggiudicazione viziata ed annullata ex tunc si ponesse in contrasto con nome di natura imperativa, quali erano interpretate le norme che regolano il procedimento di evidenza pubblica e che, pertanto, a seguito della sentenza amministrativa di annullamento, il contratto fosse radicalmente nullo, senza anche qui, la doverosità di una pronuncia giurisdizionale[5].
E parallelamente, ove la parte ricorrente lo domandasse, il giudice accertava anche la nullità del contratto in uno con la pronuncia di annullamento del provvedimento di aggiudicazione.
3. La problematica della spettanza della giurisdizione sulla sorte del contratto.
1. Consustanziale a tutte le ricostruite tesi della nullità, inefficacia o automatica caducazione del contratto era l’affermazione della spettanza della giurisdizione sulle sorti del contratto d’appalto al Giudice amministrativo investito della domanda di annullamento dell’aggiudicazione.
Appariva naturale e conseguenziale, dunque, ritenere che il giudice chiamato pronunciarsi sulla procedura ad evidenza pubblica detenesse anche la giurisdizione e la potestas decidendi circa le conseguenze della pronuncia di annullamento sul negozio stipulato a valle del provvedimento di aggiudicazione riconosciuto viziato.
Senonché la questione di giurisdizione fu portata all’attenzione della Corte regolatrice che con la nota sentenza delle Sezioni Unite del 28.12.2007, n. 27169 ebbe a statuire che il perimetro e i confini invalicabili della giurisdizione del Giudice amministrativo iscritti negli artt. 6 e 7 della L. 22.7.2000, n. 205 di modifica della L. n. 1034/1971, fossero costituiti dalla procedura di aggiudicazione, che termina con il provvedimento di aggiudicazione definitiva, restando escluse dall’ambito di tale giurisdizione tute le questioni inerenti la validità e l’efficacia del contratto d’appalto, ivi compresa la domanda volta ad accertare gli effetti che su di esso produce l’eventuale sentenza di annullamento, ancorché ex tunc, del provvedimento di aggiudicazione.
Coerentemente la Corte precisava che rispetto a tale successivo segmento della vicenda sostanziale, la posizione giuridica soggettiva vantata dalle parti stipulanti assume la consistenza di diritto soggettivo. Il tutto era da predicare tanto in caso di totale radicale mancanza di una procedura ad evidenza pubblica, tanto in caso di legale mancanza della stessa a seguito del suo annullamento.
La delineata posizione è stata poi ribadita da Cass. SS.UU. Civ., 18.7.2008, n. 19805.
La questione com’è noto è approdata anche al’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che da un lato non si è discostata dall’opzione espressa dalle Sezioni Unite, precisando che il limite della giurisdizione del giudice amministrativo è rappresentato dal provvedimento di aggiudicazione che segna la fine della procedura ad evidenza pubblica, ma dall’altro ha recuperato significativi margini al sindacato e al ruolo del giudice amministrativo facendolo traslare dal giudizio di cognizione a quello di ottemperanza.
La Plenaria ha cioè chiarito che dal giudicato di annullamento del provvedimento di aggiudicazione discende l’obbligo per l’amministrazione di assumere atti di ritiro del consenso a suo tempo prestato alla stipula del contratto d’appalto, procedendo quindi in via di autotutela alla sua risoluzione o all’annullamento; da ciò discendendo che in difetto di tale doveroso comportamento il ricorrente vittorioso potrà adire nuovamente il giudice che ha pronunciato la demolizione della gara, domandando al medesimo l’emissione di un ordine di esecuzione dalla sentenza di annullamento, compresa in caso di ulteriore inerzia dell’amministrazione inadempiente, la nomina di un commissario ad acta, il quale adotterà l’atto di autotutela sul contratto non assunto dalla p.a.[6].
Ne risulta dunque rafforzato e ripristinato il potere del giudice dell’annullamento di intervenire sulla vicenda negoziale, quantunque mediato dall’attività del commissario ad acta, ausiliario dell’organo giurisdizionale.
2. La delineata riconduzione della potestà di pronunciare sulla sorte del contratto all’alveo del giudizio di ottemperanza privava il giudice amministrativo della possibilità di statuire in sentenza in ordine al destino del contratto d’appalto.
Purtuttavia non mancava qualche pronuncia che pur non statuendo in dispositivo alcunché sulla sorte del contrato d’appalto, tuttavia in motivazione ne affermava l’inefficacia o la caducazione (categorie coincidenti negli effetti ultimi) sopravvenute a causa dell’annullamento dell’aggiudicazione, contestualmente chiarendo da un lato che siffatto vizio consegue automaticamente ed ex lege alla pronuncia demolitoria del giudice e senza, quindi, la necessità che venga sancito nel dispositivo e dal’altro predicava l’obbligo dell’amministrazione di adottare atti di ritiro del consenso del contratto, in virtù dell’effetto conformativo della sentenza di annullamento[7], in difetto dei quali atti viene data la stura al giudizio di ottemperanza.
3. Frattanto i tempi erano maturi per un’evoluzione dell’ordinamento in senso sostanzialista e garantista per il privato che aveva subito gli effetti un’illegittima aggiudicazione ad altri.
Come spesso accade, le istanze di concentrazione dei giudizi e di pienezza della tutela trovavano accoglimento nel diritto comunitario che aveva già partorito la Direttiva CEE 11.12.2007, n. 66 sul miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione di appalti, la quale, dopo aver proclamato in un considerando i predetti principi, disponeva poi all’art. 2- quinquies che il giudice adito con la domanda di annullamento dell’affidamento ha anche il potere di dichiarare privo di effetti il contratto concluso.
Ed è stata la vis expansiva di tali proclamazioni che ha determinato nelle Sezioni Unite un révirement rispetto alle sentenze n. 27169/2007 e 19805/2008 con la correlativa affermazione della spettanza al giudice amministrativo della potestà di dichiarare inefficace il contratto d’appalto anche in una fattispecie antecedente all’attuazione della citata Direttiva in norma nazionale.
La Corte regolatrice ha con forza sostenuto[8] che per effetto della Direttiva n. 2007/66, si imponeva, fin dalla sua entrata in vigore, un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata, onde far luogo ad un esame congiunto della domanda di annullamento dell’aggiudicazione e di quella di privazione degli effetti del contratto, in ragione degli stessi principi di concentrazione, effettività, ragionevole durata e del giusto processo di matrice costituzionale. Principi che pur essendo di origine nazionale e avendo le radici nella carta costituzionale, informano anche il predetto articolato normativo comunitario, posto che, in particolare, il 13° considerando della Direttiva in parola sancisce che “un contratto risultante da un’aggiudicazione mediante affidamenti diretti illegittimi dovrebbe essere considerato in linea di principio di effetti”. Proclamazione che poi trova risconto nel disposto dell’art. 2 – quinquies della Direttiva, il quale, come sopra ricordato, stabilisce che il giudice dell’annullamento ha anche il potere di dichiarare privo di effetti il negozio stipulato.
4. La successiva attuazione della Direttiva n. 2007/66 mediante il d.lgs.20.3.2010, n. 53 ha poi sancito in via definitiva, mediante la modifica della Parte IV del Titolo II del Codice dei contratti recante la disciplina del contenzioso e in particolare degli artt. 240 e ss. la devoluzione al giudice dell’annullamento della cognizione sulle sorti del contratto d’appalto.Successivamente il codice del processo amministrativo ha recato numerose disposizioni di coordinamento che nella materia che occupa sono intervenute anche a modificare o sostituire le norme del codice dei contratti dedicate al contenzioso.
Più in precisamente l’articolo 3, comma 19 dell'Allegato 4 al D.Lgs.2 luglio 2010, n. 104 ha sostituito in tronco gli artt. 244, 245, 245 – bis, 245 – ter, 245 – quater e 245 – quinquies del d.lgs. n. 163/2006 che disciplinavano la giurisdizione del g.a. e l’inefficacia del contratto, stabilendo che la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di contratti pubblici è disciplinata dal codice del processo amministrativo al pari dell’intera materia dell’inefficacia e delle sanzioni alternative alla stessa.
La sedes materiae della regolazione della sorte del contratto in esito all’annullamento del provvedimento di aggiudicazione è, dunque, da ricercare oggi unicamente ed omnicomprensivamente negli art. 121 – 124 ( e per certi aspetti anche nell’art. 125 sulle controversie relative alle infrastrutture strategiche ) del cod. proc. Amm., norme sul cui sommario esame vertono i numeri che seguono.
4. L’inefficacia del contratto nel Codice del processo amministrativo. L’inefficacia in caso di gravi violazioni.
1.1. Il nuovo Codice disciplina l’inefficacia in due norme, sostanzialmente contemplando due classi di inefficacia; quella obbligatoria, che consegue alla consumazione di gravi violazioni, regolamentata all’art. 121 e l’inefficacia che potremmo definire facoltativa, ossia quella che si apprezza in tutti gli altri casi in cui non sia stata commessa una grave violazione, ipotesi cui è dedicato l’art. 122.
Ebbene, la declaratoria di inefficacia è obbligatoria e, salvo il caso che ricorra una condizione ostativa alla sua pronuncia, contemplata dal comma 2 dell’art. 121, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva deve dichiarare l’inefficacia del contrato, in presenza di ognuna delle violazioni di seguito descritte, precisando anche, in funzione delle deduzioni delle parti e della gravità della condotta della stazione appaltante nonché della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire o se, invece, opera retroattivamente.
I casi contemplati concernono l’omissione della pubblicità obbligatoria del bando e la violazione della clausola stand still in forza della quale il contratto non può essere stipulato se non è ancora decorso il termine dilatorio di trenta giorni dalla comunicazione dell’aggiudicazione o se in pendenza di tale termine è stato presentato un ricorso.
In particolare, la lett. a) dell’art. 121 comma 1 stabilisce che il giudice che annulla l’aggiudicazione dichiara l’inefficacia del contratto se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso nella gazzetta ufficiale dell’Unione europea o nella Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana quando tale pubblicità sia prescritta dal d.lgs. 16.4.2006, n. 163.
1.2. Qui occorre fare riferimento alle norme del Codice dei contratti che dispongono che ove l’importo a base di gara superi le soglie di rilevanza comunitaria il bando o avviso deve essere inviato per la pubblicazione all’Ufficio pubblicazioni ufficiali dell’Unione europea, oltre che essere pubblicato sul foglio inserzioni della Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
La lett. B) prevede l’ipotesi in cui l’aggiudicazione definitiva sia avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dei casi consentiti e ciò abbia determinato l’omissione della pubblicità sulla Gazzetta ufficiale dell’Unione europea o della Repubblica italiana quando questa è prescritta dal codice dei contrati.
Come può notarsi la violazione ruota comunque intorno all’omissione della pubblicità del bando o dell’avviso, veicolata dall’adozione della trattativa privata senza bando o dell’affidamento in economia fuori dei casi consentiti.
2. Le lettere c) e d) contemplano l’ipotesi di infrazione della clausola stand still, a sua volta distinta in due ipotesi. La prima è la violazione secca del termine dilatorio stabilito dal d.lgs. n. 163/2006 per la stipula del contratto, ma a condizione che tale mancato rispetto del termine minimo decorrente dall’aggiudicazione definitiva abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi dei rimedi di ricorso prima della stipulazione del contratto.
E’ oltretutto prescritta l’ulteriore condizione che la violazione del termine dilatorio in questione, unitamente ai vizi propri dell’aggiudicazione definitiva abbia influito sulle possibilità del ricorrente di conseguire l’affidamento.
La precisazione è importante poiché sancisce una evidente dequotazione ed irrilevanza della violazione meramente formale del termine dilatorio, occorrendo, dunque, da un lato la precondizione che detta violazione abbia privato il ricorrente della possibilità di adeguata reazione giurisdizionale prima della stipulazione del contratto e, dall’altro, la condizione sostanziale che la violazione in parola non sia l’unica che affligge l’aggiudicazione.
Necessita dunque che essa violazione si aggiunga ad altri vizi propri dell’aggiudicazione definitiva in guisa da influire sulle possibilità del ricorrente di conseguire l’affidamento della commessa.
Ne discende che la mera e sola violazione della clausola stand still non ha efficacia invalidante dell’aggiudicazione, ma occorre che ad essa si accompagnino vizi sostanziali o procedimentali ulteriori che concorrano a influire sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento.
La lett. d) contempla il caso del contratto stipulato senza rispettare il termine dilatorio per la stipulazione, scaturente dall’avvenuta presentazione di un ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, ma, anche qui, nella ricorrenza delle due condizioni appena esaminate
3.1. Come più sopra accennato, è disciplinata un’eccezione alla regola dell’inefficacia obbligatoria in presenza di una delle violazioni più sopra illustrate.
Il codice dispone infatti che il contrato rimane inefficace anche in caso di accertamento giudiziale di una delle violazioni in questione, qualora venga accertata la sussistenza di esigenze imperative connesse ad un interesse generale.
La norma si sforza poi di individuare dei concreti esempi di esigenze imperative, contemplando anzitutto quelle derivanti da necessità tecniche o di altro tipo tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall’esecutore che ha stipulato il contratto d’appalto.
E’ difficile in concreto delineare fattispecie in cui si verifichino siffatte evenienze. Probabilmente la norma fa riferimento a evenienze di carattere tecnico verosimilmente connesse al possesso in capo all’esecutore di diritti di privativa industriale o di know – how che facciano ritenere che il contratto possa essere portato ad ulteriore esecuzione solo dal medesimo.
In tal caso l’ipotesi lumeggiata sembra coincidere con quella caratterizzata dalla sussistenza di ragioni di natura tecnica, artistica o attinenti alla tutela di diritti di esclusiva, in forza dei quali il contratto può essere affidato unicamente ad un imprenditore determinato a mente dell’art. 57, comma 2, lett. b) del d.lgs. n. 163/2006.
E’ pure ipotizzabile il caso in cui l’appaltatore goda di particolari contratti di fornitura con clausola di esclusiva per effetto dei quali le provviste per l’esecuzione del contratto non possono essere fornite ad altri esecutori. Sarà l’esperienza pratica a delineare le concrete fattispecie.
Importante precisazione fornita dalla norma è però quella secondo cui gli interessi economici possono integrare esigenze imperative impedienti la declaratoria di inefficacia solo in casi eccezionali, nei quali l’inefficacia del contratto può condurre a conseguenze sproporzionate.
Il che, si può ad esempio verificare, precisa il codice, allorché il ricorrente non abbia articolato una domanda di subentro nel contratto qualora il vizio dedotto non sia idoneo a travolgere la gara.
L’accenno alla necessità che la domanda di subentro è onere del ricorrente induce l’interprete a ritenere che il giudice non possa d’ufficio dichiarare il subentro nel contratto, quand’anche ne statuisca l’inefficacia.
3.2. Ulteriore importante precisazione è contenuta nell’ultimo periodo del comma 2 dell’art. 121 in esame, secondo il quale non costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, tra i quali i costi derivanti dal ritardo nell’esecuzione del medesimo o dalla necessità di espletare una nuova gara o dal cambio dell’appaltatore e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia. Il Codice ha avuto, cioè, cura di chiarire che non può essere frapposta alla dichiarazione di inefficacia, la maggiore onerosità per l’amministrazione di indire una nuova procedura di gara o di cambiare la figura dell’appaltatore. Trattasi di ostacoli di natura economica o di opportunità che per statuizione legislativa non possono assurgere ad esigenze imperative impedienti la declaratoria di inefficacia del contratto.
4. Questione di non poco momento attiene al regime processuale della declaratoria di inefficacia, ovverosia alla natura officiosa ovvero a domanda di parte della relativa pronuncia.
Può il giudice dichiarare d’ufficio l’inefficacia una volta annullata l’aggiudicazione o è necessaria apposita domanda di parte ricorrente?
Per il vero nella normalità dei casi alla domanda demolitoria accede quasi sempre anche la domanda tesa ad ottenere la dichiarazione di inefficacia o di caducazione o di nullità del contratto ma nondimeno potrebbe porsi il problema in argomento laddove il ricorrente, per errore o disattenzione, non articoli anche apposita domanda di inefficacia del contratto.
Quanto alla domanda di subentro nel medesimo, si è già visto come dalla notazione contenuta nel penultimo periodo del comma 2, a stare alla quale gli interessi economici possono escludere la dichiarazione di inefficacia solo in circostanze eccezionali nelle quali l’inefficacia stessa potrebbe condurre a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo alla mancata presentazione della domanda di subentro nel contratto, la stessa è necessaria e il giudice non può pronunciare il subentro nel contrato d’ufficio.
Ma relativamente alla dichiarazione di inefficacia tout court, non si ravvisano nel dettato normativo elementi testuali tali da far propendere per la tesi che escluda che il giudice possa dichiarare d’ufficio l’inefficacia del contratto.
Che anzi vi è una spia testuale nel senso opposto, ove si consideri che la norma dell’art. 121, comma 1 si apre precisando che “il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto” locuzione che abilita l’interprete ad opinare che la declaratoria di inefficacia possa essere pronunciata anche a prescindere da specifica domanda di parte.
Può anche sostenersi, in tale ottica argomentativa, che tale domanda sia implicita nella domanda che la parte svolga di risarcimento del danno in forma specifica, mediante il subentro nel contratto stesso.
Del resto giova anche segnalare che la giurisprudenza che ha avuto occasione di confrontarsi con le problematiche del subentro e dell’inefficacia successivamente all’entrata in vigore del codice ha precisato che l’avvenuta esecuzione del contratto, stante l’impossibilità del subentro, è ostativa alla dichiarazione di inefficacia ed è riconducibile all’art. 121, coma 2 del d.lgs. n. 104/2010[9].
E’ evidente che il subentro previa dichiarazione di inefficacia costituisce una forma piena di risarcimento del danno, essendosi, infatti, affermato che ove ex art. 122 sia possibile la dichiarazione di inefficacia e il subentro, è da risarcire per equivalente solo il danno relativo alla parte di lavori già eseguita. Tale voce di danno è accordabile peraltro solo sub specie di danno emergente (mancato guadagno) e di danno curricolare, mentre non sono risarcibili le spese di partecipazione alla gara, poiché esse non sarebbero state recuperate dal ricorrente in caso di aggiudicazione[10]. La decisione annotata ha quantificato il risarcimento riconosciuto per la parte di lavori già eseguita dall’aggiudicatario, nella misura del 10% dell’importo di contratto, proporzionalmente diminuita in ragione della predetta quota di lavori già eseguita, ricomprendendo nella percentuale del 10% anche un 1% a titolo di danno curricolare.
5. In tema di inefficacia per violazione della clausola stand still è stato di recente puntualizzato che va dichiarato inefficace il contratto stipulato in violazione dell’art. 11, comma 10 del d.lgs. n. 163/2006, ossia prima dei trenta giorni dalla comunicazione ai controinteressati del provvedimento di aggiudicazione definitiva, poiché il contratto non gode di autonomia propria, ma è atto formale riproduttivo dei contenuti dell’accordo a monte, costituito dal bando di gara e dalla domanda di partecipazione ed ha quindi effetti esecutivi e di dettaglio rispetto ad atti presupposti[11].
A questa pronuncia fa eco una più recente del Consiglio di Stato che ha riproposto la teorica della caducazione automatica chiarendo che l’annullamento giurisdizionale o in autotutela degli atti della procedura di gara “comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali, stante la preordinazione funzionale tra tali atti, poiché il contratto non ha autonomia propria ed è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato[12]”.
6. Il comma 5 dell’art. 121 contempla dei possibili rimedi alla dichiarazione di inefficacia, ad iniziativa della stessa amministrazione appaltante. Per il vero trattasi di ipotesi assolutamente marginali, ma che tuttavia potrebbero rinvenire uno spazio di ragionevole applicazione, configurando una sorta di motivazione postuma della scelta di affidare il contratto senza osservare le forme di pubblicità stabilite dal codice dei contratti, ma motivando la decisione in tal senso.
Ebbene, la dichiarazione di inefficacia contemplata per le ipotesi di mancata adozione delle forme pubblicitarie per il bando o per l’avviso di gara, non trova applicazione quanto la stazione appaltante abbia posto in essere la procedura appresso descritta. Quando abbia fatto precedere l’avvio della procedura di affidamento dall’emanazione di un atto motivato con il quale dichiari, spiegandone le ragioni, che la procedura priva di pubblicazione del bando o avviso nella G.U.C.E. o nella G.U.R.I sia consentita dal codice dei contratti. Quando abbia pubblicato per i contratti di rilievo comunitario nella G.U.C.E. e per quelli sotto soglia comunitaria nella G.U.R.I., un “avviso volontario per la trasparenza preventiva” ai sensi dell’art. 79 – bis del d.lgs. n. 163/2006, con il quale manifesta l’intenzione di concludere il contratto.
Il legislatore ha cioè ritenuto che siffatto avviso preventivo possa esaurire i contenuti tipici della pubblicità del bando e surrogarne le relative debite forme.
In tal caso, però, ha cura di precisare la lett. c) del comma 5 in analisi, il contratto non deve essere concluso prima dello scadere di un termine di almeno dieci giorni decorrenti dal giorno successivo alla pubblicazione dell’avviso di trasparenza preventiva.
7. Disposizione ispirata ad un’esigenza di monitoraggio ed informazione è quella di cui al comma 3, a termini della quale le sentenze che dichiarano l’inefficacia del contratto ai sensi del comma 2, ossia per inosservanza delle forme di pubblicità obbligatoria ovvero della clausola stand still, sono trasmesse a cura della segreteria della Sezione alla Presidenza del Consiglio, Dipartimento per le politiche comunitarie.
6. Altra disposizione di natura imperativa è recata dal comma 4, secondo il quale qualora il contratto non venga dichiarato inefficace malgrado il provvedimento di aggiudicazione sia affetto da una delle violazioni che ne comportano l’inefficacia obbligatoria – salva la ricorrenza delle esigenze imperative connesse ad un interesse generale di cui si è sopra detto – il giudice applica le sanzioni alternative di cui all’art. 123, costituenti una sorta di multa che va a colpire il comportamento illegittimo della stazione appaltante.
5. L’inefficacia del contratto negli altri casi
In una pronuncia immediatamente successiva all’entrata in vigore del codice si è annullata l’aggiudicazione definitiva e, in un contratto di durata pluriennale, si è dichiarata l’inefficacia del medesimo per la durata residua e si è disposto, quale risarcimento in forma specifica, il subentro della ricorrente nella posizione della controinteressata aggiudicataria.
Per la parte di servizio già eseguita alla data di pubblicazione della sentenza invece il Collegio ha statuito che “Il risarcimento dei danni per la parte del servizio finora eseguita non può essere riconosciuto, ex art. 1227 c.c. stante il concorso colposo della ricorrente, la quale non ha coltivato l’istanza cautelare, il cui accoglimento avrebbe consentito di evitare che il servizio venisse illegittimamente affidato alla controinteressata”[13].
La sentenza, quanto alla negazione del risarcimento per omessa coltivazione della domanda cautelare, fa applicazione dell’art. 30, coma 3 del Codice del processo amministrativo, che esclude “il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”.
Inoltre giova evidenziare che la pronuncia in analisi è in linea con l’applicazione, che di recente sta facendo il Consiglio di Stato, della regola del concorso colposo del fatto del creditore nelle fattispecie di responsabilità aquiliana da provvedimento illegittimo. Il Consiglio ha infatti da poco chiarito, qualche giorno dopo la decisione dell’Adunanza Plenaria[14] (la quale riconduce all’alveo del merito in termini di rigetto della domanda di risarcimento l’omessa impugnazione dell’atto, la quale non assurge più a pregiudiziale nel giudizio risarcitorio), che “L’art. 1227, cpv., cod. civ. (secondo cui "Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza") è applicabile anche ai giudizi proposti innanzi al G.A. prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. L’onere nell’ordinaria diligenza cui è tenuto l’avente diritto al risarcimento, previsto da tale norma, comporta l’esclusione della responsabilità dell’Amministrazione se emerge che il danno avrebbe potuto essere contenuto o evitato attraverso la diligente cura, anche giudiziale, delle posizioni di costui. La regola si fonda sul canone generale di correttezza e di buona fede oggettiva, che riguarda non solo le relazioni tra consociati, ma anche, seppur in modo particolare, le loro relazioni con la P.A”.
La sentenza del T.A.R. Piemonte di cui è menzione parifica, secondo una linea argomentativa affine, l’omessa coltivazione della domanda cautelare all’omessa proposizione del ricorso, valorizzando gli effetti ultimi e l’analogia del comportamento omissivo della parte, atteso che, a ben guardare, il non aver consentito al Giudice di pronunciarsi sul provvedimento impugnato, mediante l’abbandono della domanda cautelare, equivale nella sostanza a non averlo impugnato. Le ricadute sul piano risarcitorio non possono che essere le medesime.
Orbene, l’inefficacia del contratto negli altri casi è disciplinata dall’art. 121 del codice, il quale stabilisce: “1. Fuori dei casi indicati dall'articolo 121, comma 1, e dall'articolo 123, comma 3, il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta”.
Trattasi in buona sostanza di inefficacia non ancorata a fattispecie di violazioni previamente sancite, ma discendente, in genere, da ogni annullamento dell’aggiudicazione.
In tali casi il Giudice deve tener conto degli interessi delle parti e deve considerare: a) l’effettiva possibilità per il ricorrente vittorioso, di conseguire l’aggiudicazione; b) lo stato di esecuzione del medesimo e la possibilità di subentro sempre che la domanda di subentro sia stata proposta e i vizi lamentati non comportino travolgimento dell’intera gara.
Quanto ala condizione sub a) è agevole rimarcare come l’effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione no può che discendere dal congiunto operare della tipologia dei vizi dedotti e ravvisati dal Giudice e della posizione in graduatoria di gara rivestita dal ricorrente.
In generale può dirsi che la possibilità effettiva per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione può apprezzarsi tutte le volte in cui egli deduca unicamente vizi afferenti al provvedimento di aggiudicazione alla controinteressata ed egli sia secondo in graduatoria, ovvero terzo qualora vengano gravati sia l’aggiudicazione che la posizione del secondo graduato, del quale venga contestata o l’ammissione o l’attribuzione di quel determinato punteggio.
Quanto alla condizione sub b) è ovvio che la possibilità di decretare il subentro nel contratto oltre a presupporre che la domanda di subentro sia stata debitamente articolata in uno con quella demolitoria dell’aggiudicazione, postula altresì che il contratto sia ancora da eseguire per una parte significativa. È palese che non può parlarsi di subentro nei casi in cui nelle more del giudizio il contratto sia stato completamente eseguito, caso nel quale residua unicamente la tutela risarcitoria per equivalente monetario.
V’è da domandarsi cosa potrebbe essere statuito dal giudice nell’ipotesi in cui pur essendo stata formulata domanda di declaratoria di inefficacia non sia stato domandato il subentro.
In tali evenienze il giudice che annulla l’aggiudicazione deve limitarsi a pronunciare l’inefficacia del vincolo negoziale, non potendo statuire alcunché sul subentro, posto che come si è visto, quest’ultimo è soggetto alla regola della domanda di parte.In tali ipotesi il contratto verrà dichiarato inefficace e il subentro dovrà essere disposto dall’Amministrazione in esecuzione della sentenza di annullamento e di declaratoria di inefficacia e in virtù dell’obbligo conformativo che ne scaturisce.
Tuttavia come più sopra avvertito, il Codice precisa che tra le esigenze imperative di interesse generale ostative alla pronuncia di inefficacia a motivo che essa condurrebbe a conseguenze sproporzionate, vi può essere il caso in cui il contratto non può che essere eseguito che dal primo contraente, avuto anche riguardo alla mancata presentazione della domanda di subentro.
In altri termini in tal caso il giudice può considerare che l’omessa presentazione della domanda di subentro comporta che il contratto non può che essere eseguito dall’illegittimo contraente e non pronunciare l’inefficacia, qualificando la omessa formulazione della domanda di subentro alla stregua di un’esigenza imperativa di interesse generale nel senso che la declaratoria di inefficacia condurrebbe a conseguenze sproporzionate.
Non potrà correlativamente farsi luogo ad alcuna pronuncia di inefficacia qualora i vizi denunciati siano tali da comportare l’annullamento dell’intera gara. In questi casi non è solo il provvedimento di aggiudicazione ad essere travolto dalla pronuncia cassatoria ma la stessa determinazione conclusiva della gara e le operazioni presupposte, quali i verbali di gara e le decisioni della commissione di gara.
Ne consegue che il ricorrente che possa vantare sostanziali vizi da articolare avverso il provvedimento di aggiudicazione dovrà essere ben accorto a non dedurre vizi radicali contro la stessa gara, poiché può rischiare che il Giudice accolga questi ultimi assorbendo i primi conseguendone che egli vedrà soddisfatto non il suo interesse sostanziale al conseguimento del bene della vita dato dall’aggiudicazione, bensì quello strumentale alla riedizione della procedura concorsuale.
Va considerato che l’inefficacia in argomento è probabilmente quella di più frequente applicazione, posto che quella in caso di gravi violazioni appare di non frequente verificazione posto che è difficile ipotizzare un’aggiudicazione viziata in maniera così radicale e salvo il caso più ricorrente della violazione della clausola stand still.
Probabilmente l’innovatività e l’impatto della novella sconta proprio il coraggio del Giudice di sindacare l’efficacia del contratto in ogni caso in cui annulli un’aggiudicazione.
6. La tutela in forma specifica e per equivalente.
1. L’art. 124 regolamenta i rapporti tra la tutela in forma specifica e quella per equivalente nei seguenti termini: “1. L'accoglimento della domanda di conseguire l'aggiudicazione e il contratto è comunque condizionato alla dichiarazione di inefficacia del contratto ai sensi degli articoli 121, comma 1, e 122. Se il giudice non dichiara l'inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente, subito e provato.
2. La condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di cui al comma 1, o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto, è valutata dal giudice ai sensi dell'articolo 1227 del codice civile”.
La regola cardine che se ne desume è che il prius della tutela è costituito dalla declaratoria di inefficacia del contratto, la quale condiziona la possibilità di conseguire l’aggiudicazione e il subentro nel contratto.
La seconda è quella per la quale ai fini del conseguimento dell’aggiudicazione necessita che il ricorrente articoli domanda di conseguimento dell’aggiudicazione e di subentro nel contratto, senza le quali il Giudice non può pronunciare il risarcimento in forma specifica.
Che, anzi, è stabilito che il comportamento della parte che non abbia formulato domanda di conseguimento dell’aggiudicazione o che non si sia resa disponibile a subentrare nel contratto è valutato dal Giudice alla stregua del canone del concorso colposo del creditore nella fattispecie di responsabilità contrattuale.
Ovverosia il Giudice potrà limitare il risarcimento richiesto, disponendolo solo per equivalente monetario.
Forma di risarcimento che in generale ha luogo in tutti i casi in cui il giudice non dichiari l’inefficacia.
Il che potrà avvenire o perché i vizi riscontrati e la possibilità per il ricorrente di conseguire l’aggiudicazione non consentano la formulazione di un giudizio positivo in tal senso, quando, ad esempio, l’aggiudicazione alla seconda impresa in graduatoria non costituisca un fatto automaticamente discendente dall’annullamento dell’aggiudicazione.
Parimenti l’inefficacia non potrà essere pronunciata laddove lo stadio di esecuzione del contratto sia talmente avanzato da non lasciar configurare alcun subentro del ricorrente.
In tali casi l’unica forma di risarcimento consentita è quella per equivalente, peraltro limitata al solo danno subito e provato.
2. Siffatta precisazione manda probabilmente in soffitta i sistemi di quantificazione del danno, di elaborazione giurisprudenziale, ancorati a parametri presuntivi, quali il noto 10% scaturente dall’applicazione estensiva della regola sulle conseguenze del recesso dal contratto d’appalto sancita dal vecchio art. 345 della L. n. 2248/1865.
La novella impone dunque che il ricorrente provi di aver subito un danno per l’illegittima aggiudicazione ad altri del contratto d’appalto.
Naturalmente l’obbligo di comprova non può significare totale eliminazione di tutti i meccanismi agevolativi di prova del danno. Invero il ricorrente potrà sempre provare che dall’esecuzione del contratto avrebbe ricavato un utile economico.
E ciò potrà fare allegando la percentuale di utile di impresa esposta nelle analisi giustificative del prezzo offerto allegate ai fini della valutazione di eventuale anomalia della sua offerta.
Potrà anche provare che ha tenuto impegnate le maestranze, non utilizzandole per altri appalti.
Ma in ogni caso quel che è importante e evidenziare è l’impossibilità per il giudice di pronunciare il risarcimento per equivalente sulla mera base di allegazioni difensive del tutto sguarnite di principio di prova, o, quel che è peggio, anche in assenza di allegazioni difensive, e sulla base di mere asserzioni dell’emergenza di un danno.
Alfonso Graziano
Magistrato I Sezione T.A.R. Piemonte
[1] Corte di Cass. Civ., Sez. I, 26.5.2006, n. 12629.
[2] Consiglio di Stato, Sez. V, 28.5.2004, n. 3465; T.A.R. Toscana, Sez. II, 22.3.2004, n. 796.
[3] Consiglio di Stato, Sez. VI, 30.5.2003, n. 2992.
[4] Consiglio di Stato, Sez. V, 12.2.2008, n. 490; T.A.R. Lazio . Roma, Sez. III, 16.11.2006, n. 12491; T.A.R. Lombardia – Brescia, 15.3.2007, n. 263;Consiglio di Stato, Sez. V, 29.11.2005, n. 6579; Consiglio di Stato, Sez. V, 11.11.2004, n. 7346; Consiglio di Stato, Sez. IV, 27.10.2003, n. 6666)
[5] T.A.R. Campania – Napoli, Sez. I, 31.1.2008, n. 448; T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II, 6.2.2007, n. 905; T.A.R: Campania – Napoli, Sez. I, 19.1.2006, n. 720 T.A.R. Puglia – Lecce, Sez. II, 2.2.2004, n. 833; T.A.R. Veneto, Sez. I, 20.11.2003, n. 5800).
[6] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 30.7.2008, n. 9; in terminis anche Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria 21.11.2008, n. 12.
[7] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 24.4.2009, n. 1173 con riferimenti anche alla giurisprudenza della Cassazione che aveva precisato che dall’annullamento della gara discende automaticamente la caducazione del contratto, atto meramente formale riproduttivo dei contenuti dell’accordo già concluso, privo di autonomia e destinato a subire gli effetti dell’annullamento dell’aggiudicazione: Cass. Civ. Sez. I, 15.4.2008, n. 9906; sostanzialmente in termini anche T.A.R. Molise, Sez. I, 24.9.2008, n. 719 per il quale “con la pubblicazione del dispositivo della sentenza con cui viene annullata l’aggiudicazione di una gara di appalto (nella specie si trattava di un appalto di servizi) vengono meno gli effetti del contratto di appalto stipulato medio tempore dalla P.A.”
[8] Corte di Cass. SS.UU. Civ., 10.2.2010, n. 2906, Ord.
[9] T.A.R. Sicilia – Palermo, Sez. III, 17.12.2010, n. 14320.
[10] T.A.R. Lazio – Latina, 29.10.2010, n. 1857.
[11] T.A.R. Liguria, Sez. II, 27.10.2010, n. 1018.
[12] Consiglio di Stato, Sez. V, 4 gennaio 2011, n. 11.
[13] T.A.R. Piemonte, Sez. I, 11.10.2010, n. 3730.
[14] Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 23.3.2011, n. 3 precisa che la mancata impugnazione del provvedimento causativo di danno non è più causa di inammissibilità dell’azione risarcitoria, come si predicava in ossequio alla teorica della pregiudiziale amministrativa, ma condizione di rigetto nel merito della domanda, considerando l’omessa attivazione degli strumenti di tutela “nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi”.