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Fecondazione assistita. Quando un embrione diventa persona? Interessante sentenza del Tar Lazio
A cura della Redazione
 
La pronuncia del TAR Lazio, n. 3452 del 5 maggio 2005, è senza dubbio, attualmente, una delle più importanti enunciazioni giurisprudenziali in tema di procreazione medicalmente assistita e, peraltro, si inserisce in un contesto storico e sociale di riferimento smosso dalle aperte polemiche in ordine ai prossimi referendum abrogativi di alcune disposizioni normative della legge n. 40 /2004, al centro di un aperto contrasto di idee ed opinioni.
Con la pronuncia succitata, infatti, il Collegio si pronuncia su diversi aspetti della disciplina de qua, seppur solo incidentalmente sulla legge madre, la n. 40/2004, poiché il giudizio verte sul Dm 21 luglio 2004, “Linee guida in materia di procreazione assistita”, (previste dall'articolo 7 della stessa legge 19 febbraio 2004 n. 40, e di competenza del ministero della Salute, vincolanti per le strutture autorizzate a intervenire nei casi di sterilità e infertilità).
La vicenda giudiziaria muova dal ricorso della “WARM - World Association Reproductive Medicine”, associazione che organizza e rappresenta gli interessi collettivi di molti centri e singoli professionisti che svolgono attività di procreazione medicalmente assistita, la quale, ritualmente, impugna il D.M. 21/7/2004 assumendone la lesività in ragione del carattere vincolante sancito dall'art. 7 della legge 19/2/2004, n. 40.
Molte le questioni di rito e di merito sollevate.
Innanzitutto, adeguatamente ed in modo corrispondente alla ratio delle Linee Guida, il TAR Lazio riconosce che le norme contenute nel DM impugnato, non si configurano come atto interno all’ amministrazione ma hanno carattere precettivo e non già interpretativo, risultando, quindi, immediatamente lesive degli interessi coinvolti: ne discende l’ammissibilità del ricorso diretto senza necessità di attendere l’atto amministrativo che ne dia attuazione, (cd. doppia impugnazione).
Inoltre, sempre in rito, il Collegio laziale respinge la censura di carenza di legittimazione attiva in capo alla ricorrente, statuendo che l’associazione Warm è legittimata attivamente a impugnare le «Linee guida in materia di procreazione assistita» introdotte con il Dm Salute 21 luglio 2004, poiché la stessa è titolare non solo di un interesse individuale statutariamente identificato, ma anche di un ulteriore interesse, “quasi collettivo”, collegato al fatto che trattasi di “associazione di strutture sanitarie autorizzate ad eseguire prestazioni connesse alla procreazione medicalmente assistita”. Ne discende cha la ricorrente non è quisque de populo ma soggetto qualificato e differenziato ai fini del ricorso.
Superate le ulteriori censure di rito, il TAR Lazio affronta il delicato merito della quaestio, con una statuizione, tra le altre, che può ben essere ritenuta una chiave di lettura dell’intero tessuto argomentativo: “Esula dalla biologia la possibilità di dire quando è che un embrione divenga persona”, “ove se ne ravvisi la necessità, ciò potrebbe essere il frutto di una “convenzione umana”, che, per la sua massima rilevanza, e per le ricadute connesse, non può che configurarsi come scelta espressione di discrezionalità politica del legislatore (come è avvenuto in altri ordinamenti), e giammai competere,
praeter legem, a un provvedimento amministrativo, chiamato solamente a dare attuazione tecnica alla legge, e non a esprimere opzioni ideologiche, come è quella secondo cui l’embrione non è soggetto di diritto fin dal momento del concepimento”.
Ad avviso dei Giudici, pertanto, occorre muovere da un dato in negativo: dare atto dell'impossibilità di stabilire scientificamente quando inizia la vita dell'embrione.
Tanto premesso, il Collegio affronta uno dei temi centrali della querelle, avente ad oggetto profili di bioetica ed eugenetica, già, tra l’altro, affrontati, seppur per altri aspetti, da Cassazione , sez. III civile, sentenza 29.07.2004 n° 14488 : il Collegio, infatti, statuisce che “non esiste un diritto al concepimento di un figlio sano”, e la procreazione assistita, quindi, deve essere solo intesa a favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti da sterilità e infertilità, non potendo essere strumentale alla selezione del figlio “perfetto”.
La statuizione si coordina con l’enunciazione del Supremo Collegio, laddove, negando l’esistenza di un diritto a non nascere se non sano, precisava: “va osservato che il nostro ordinamento positivo tutela il concepito e quindi l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita e non verso la non nascita, per cui se di diritto vuoi parlarsi, deve parlarsi di diritto a nascere”, (cfr. Cassazione sentenza
29.07.2004 n° 14488); la stessa sentenza precisava: “sostenere che il concepito abbia un diritto a non nascere, sia pure in determinate situazioni di malformazione, significa affermare l'esistenza di un principio di eugenesi o di eutanasia prenatale, che é in contrasto con i principi di solidarietà di cui all'art. 2 Cost., nonché con i principi di indisponibilità del proprio corpo di cui all'art. 5 c.c”.
La ratio che conduce a negare la configurabilità di un diritto a non nascere se non sani trova un addentellato speculare nelle motivazioni del TAR Lazio, dove il Collegio, come visto, nega la possibilità di strumentalizzare le tecniche di procreazione medicalmente assistita ai fini della selezione dei “nascituri” sani: ciò che non può essere fatto a valle, (non far nascere i “non sani”, con l’”aborto”),
non potrà essere attuato nemmeno a monte, (far nascere solo i “sani” con la procreazione assistita).
La statuizione, inoltre, ha il pregio di effettuare, (seppur non in via diretta), un primo tentativo di coordinamento tra la disciplina ex lege 40/2004 e quella ex lege 194/1978, (che disciplina l’interruzione della gravidanza): si è osservato, infatti, sia in dottrina ma anche nei dibattiti aventi ad oggetto il referendum abrogativo di cui si è detto, che la sopravvenienza della legge sulla procreazione medicalmente assistita, introducente una tutela dell’essere umano nella sua fase embrionale, si pone in contrasto con le disposizioni della legge cd. sull’aborto per quanto concerne la diversa disciplina del concepito e del feto; ne discenderebbe, per molti, una sorta di regressione in pejus della seconda disciplina a favore della prima.
Il Collegio, al riguardo, tende a precisare che le due normative hanno una dimensione diversa e che nessuna nuova limitazione è introdotta al “diritto della donna ad interrompere la gravidanza ai sensi della legge 22/5/1978, n. 194 (fatta espressamente salva dalla legge n. 40/04), al ricorrere di un serio o grave pericolo per la salute fisica o psichica della madre (e non del nascituro)”.
La ricorrente, peraltro, sollevava due distinte questioni di legittimità costituzionale, che hanno avuto stessa sorte.
Sulla violazione della libertà di ricerca medica, ex. art 33 Cost., il TAR Lazio sostiene che «non sembra revocabile in dubbio che a tutela dell'embrione il legislatore possa intervenire a limitare la pratica medica, tanto più ove la stessa non si basi su adeguate evidenze scientifiche e sperimentali», con una soluzione che, tuttavia, sembra non essere sufficientemente motivata.
Quanto al presunto contrasto con l’art. 32 cost., per la disciplina ex art. 14 della legge 40/2004, il Tar Lazio ritiene che il diritto alla salute della donna vada bilanciato con la tutela dell'embrione, espressamente tutelato dalla normativa.
Ovviamente, in ragione delle questioni poste al Collegio, la pronuncia del TAR Lazio non propone soluzioni certe e verità assolute, (anzi riconosce l’impossibilità di giungere ad esse), ma, con attenzione analitica, risulta sintomatica degli effetti della nuova disciplina in quanto si può cogliere in modo evidente l’impatto della legge 40/2004 sul sistema normativo di riferimento.
E’, comunque, da auspicare una maggiore partecipazione popolare, su impulso del legislatore, nell’ adozione di provvedimento normativi attinenti ai profili più intimi e personali della sfera umana, trattandosi di norme che entrano nelle case dei cittadini, spesso, senza alcun preavviso e lasciando tutti un po’ perplessi.
Nella pronuncia 3452/2005 del TAR Lazio, di fatti, si colgono tutte le difficoltà del “giudice” chiamato ad applicare regole di diritto a fatti di vita umana, laddove le stesse regole, a volte, appaiono più una imposizione che una conquista, come dovrebbe sempre essere laddove vengano in gioco situazioni esistenziali indisponibili; al riguardo, è stata citata una ben nota affermazione: “Sembra che tutti abbiano l'idea esatta di come dobbiamo vivere la nostra vita”, (Paulo Coelho).


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