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Competenza per risarcimento danno causato dalla P.A.
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a cura della redazione
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L’individuazione del giudice del risarcimento, è uno degli argomenti più controversi del diritto amministrativo; il tema è stato affrontato attraverso un articolato percorso evolutivo, la cui origine viene fatta coincidere con la nota sentenza della Cassazione civile, SS.UU. del 22.07.1999 n. 500. Prima delle sentenza 500/99, pur in presenza del dogma dell’irrisarcibilità degli interessi legittimi, la giurisprudenza aveva manifestato una tendenza ad ampliare progressivamente l’area della risarcibilità dei danni derivanti dalla lesione di alcune figure di interesse legittimo, di fatto mascherando da diritto soggettivo situazione prive di tale consistenza. Sul piano delle fonti, si partiva dall’art. 103 della Carta Costituzionale che incentra il criterio generale del riparto sulla natura delle posizioni soggettive. IL giudice ordinario conosceva dei diritti soggettivi, ma non degli interessi legittimi, anche se ex art. 7 della legge Tar, restavano riservate all’Autorità giudiziaria ordinaria le questioni attinenti ai diritti patrimoniali consequenziali alla pronuncia di illegittimità dell’atto o del provvedimento contro cui si ricorreva. Per quanto riguarda il giudice amministrativo, seguendo il dettato costituzionale, si affermava che egli avesse giurisdizione per la tutela nei confronti della P.A. degli interessi legittimi, nonché, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. In linea generale, quindi, vigeva il dogma della irrisarcibilità degli interessi legittimi, ma con una propensione all’ampliamento dei danni derivanti da alcune figure di interessi legittimi. Tutto ciò avveniva attraverso la tecnica dell’affievolimento, in virtù della quale interessi legittimi venivano mascherati da diritti soggettivi. Si riteneva, cioè, che in caso di provvedimento illegittimo lesivo di una posizione di diritto soggettivo, il privato avrebbe dovuto impugnare l’atto. A seguito della caducazione dell’atto si sarebbe così verificata la riespansione dell’originario diritto soggettivo e, solo dopo l’avvenuta riespansione, il privato avrebbe potuto chiedere il risarcimento del danno, non tanto dell’interesse legittimo leso, ma dell’originario diritto soggettivo riespanso. Ne conseguiva, che la domanda risarcitoria, proprio perché avente per oggetto l’originario diritto soggettivo, doveva essere proposta davanti al giudice ordinario. Questa tecnica risarcitoria comportava necessariamente la previa esperibilità dell’azione di annullamento, pertanto, la questione della pregiudizialità era pacifica. Tanto per i diritti suscettibili di affievolimento, quanto per i diritti fievoli ab origine, entrambi riconducibili nel paradigma dell’interesse oppositivo, la vicenda risarcitoria era ricondotta nello schema bifasico e, cioè, annullamento dell’atto, riespansione del diritto con successivo risarcimento del diritto. Tuttavia, pur essendoci una netta chiusura verso la risarcibilità degli interessi legittimi, negli anni precedenti alla sentenza 500/99, come prima sinteticamente esposto, si erano registrate delle aperture sul piano legislativo; si pensi a titolo di esempio, all’ art 13 della legge 142/92, che introdusse la risarcibilità per le lesioni subite a causa di atti violativi del diritto comunitario in materia di appalti pubblici di lavori o forniture, ovvero delle norme interne di recepimento. Ma, nonostante questo decisivo passo in avanti, che aveva riconosciuto la risarcibilità di una particolare posizione di interesse legittimo, non si riuscì a superare il concetto dell’irrisarcibilità degli stessi, rimanendo fermo l’approccio di riparto fra le giurisdizioni, basato sullo schema bifasico. L’esame storico dell’evoluzione della tematica, non può tralasciare l’art. 35 del d.l.vo 80/98, che riconosce, nella sua originaria formulazione, il potere al giudice amministrativo, di decidere delle questioni risarcitorie, allorché le controversie rientrano nell’ambito delle materie indicate dai precedenti artt. 33 e 34. Quindi, secondo tale prospettiva, il giudice del danno era il giudice amministrativo, in tutte quelle ipotesi, in cui a cagionare il danno sia stata un’attività della P.A., assoggettata alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; rimaneva, però, aperto il problema relativo a tutti gli altri casi. La sentenza 500/99 ha cercato di colmare proprio questa lacuna. In quell’occasione i supremi giudici hanno sancito che l’azione di risarcimento del danno ex 2043, va proposta davanti al giudice ordinario quale giudice al quale spetta la competenza giurisdizionale a conoscere le questioni di diritto soggettivo, poiché tale è la natura del diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva fonte del danno. Sul piano della pregiudizialità, ne conseguiva che, essendo il piano della responsabilità aquiliana svincolato dalla lesione dell’interesse fonte del danno, non c’era la necessità della pregiudiziale. Il sistema delineato dalla 500/99 è un sistema dove il giudice amministrativo, adito con domanda di annullamento, avrebbe potuto respingere la domanda stessa, ritenendo ad esempio l’atto non affetto dai vizi d’illegittimità, mentre il giudice ordinario, al contrario, adito con la domanda autonoma di risarcimento del danno, avrebbe potuto ritenere quell’atto illegittimo, condannando così la P.A. al risarcimento; vi era, perciò un alto rischio di pronunce contrastanti. Nonostante il pregevole P.A.sso in avanti, la soluzione così prospettata non ha, però, del tutto convinto la più attenta dottrina, soprattutto alla luce della scissione tra diritto al risarcimento e l’interesse sostanziale leso. Se, infatti, si parte dal dettato costituzionale, l’art. 103 della Costituzione rimette al giudice amministrativo la tutela degli interessi legittimi ( oltre che in particolari materie di diritti soggettivi), ma si sottolinea, altresì, che non vi è dubbio che la Carta ha inteso ascrivere rilievo, in sede di individuazione della giurisdizione, alla posizione sostanziale incisa dall’azione della P.A.. Sul punto, la critica mossa alle Su conclude affermando, che la ricostruzione dalle stesse prospettata, sembra riproporre il criterio del petitum in luogo della causa petendi, mentre la normale demarcazione della giurisdizione amministrativa è quella che ha riguardo alla consistenza della posizione sostanziale. Per ovviare alle critiche emerse in ordine alle soluzioni dettate dalle sentenze del 1999, il Legislatore nel 2000 riformula l’art. 7 della legge Tar sostituendo il termine “materia” con il termine “ambito di giurisdizione” ; con questa modifica il Legislatore intende assegnare al giudice amministrativo il potere di conoscere di tutte le questioni risarcitorie ogni qual volta si trovi ad operare “nell’ambito della sua giurisdizione”. Il dato normativo dimostra in modo inequivocabile, che anche al di fuori della giurisdizione esclusiva, si vuole riconoscere al giudice amministrativo il potere di occuparsi, oltre che del classico rimedio demolitorio, anche delle azioni di tipo risarcitorio eventualmente spiccate contro la P.A. La giurisdizione inizia a connotarsi in termini di pienezza . In definitiva, le norme che oggi si occuP.A.no del risarcimento del danno sono tre: l’art .7, comma 3, della legge Tar, così come riscritto dalla legge 205, l’art. 35 comma 1 d.l.vo 80/98 e l’art. 2 bis introdotto dalla recente legge n. 69/2009. L’art. 7 della legge Tar, come sopra accennato, prevede che il giudice amministrativo, nell’ambito della sua giurisdizione conosce anche di tutte le questioni relative al risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali. A questo punto, la dottrina ha iniziato ad interrogarsi sulla nozione di consequenzialità. Segnatamente, si è interrogata sul fatto se sia consequenziale o meno, il danno derivante da atto amministrativo non impugnato innanzi al giudice amministrativo. È opportuno l’inciso per cui, in quest’ambito, la domanda cerca di risponde al problema della giurisdizione e non a quello della pregiudizialità. Sul punto sono emerse diverse tesi; secondo una prima lettura l’aggettivo consequenziale, non si riferisce alle questioni risarcitorie, sicché ogni questione risarcitoria relativa alle lesioni di interessi legittimi, spetterebbe al giudice amministrativo e non solo quella che segue l’annullamento del provvedimento. Secondo la c.d. tesi tutta civilistica, con la riformulazione dell’art. 7 comma 3 si è inteso assegnare al giudice amministrativo il limitato potere di conoscere questioni di tipo risarcitorio consequenziali all’annullamento dell’atto, restando di pertinenza della giurisdizione del giudice ordinario le questioni risarcitorie non consequenziali o autonome, ovvero quelle connesse ad iniziativa non provvedimentale, ancorché scrutinabile innanzi al giudice amministrativo. Nella posizione intermedia si collocano coloro che, pur riconoscendo all’aggettivo consequenziali, un valore precettivo e non meramente processuale, affermano che lo stesso equivarrebbe a “collegate” ad un provvedimento illegittimo. Il dibattito è stato superato dalle note decisioni del 2006, con le quali, attraverso l’esame della ratio dell’art 35 d..vo 80/98, si precisò che al giudice amministrativo era stata ormai riconosciuta una giurisdizione piena, sicché spetta allo stesso assicurare anche la tutela risarcitoria in tutti i casi rientranti nella sua giurisdizione. Il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, non costituirebbe pertanto una nuova materia attribuita alla sua giurisdizione, ma solo uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio, da utilizzare in tutti i casi in cui è necessario rendere giustizia al cittadino nei confronti della P.A. Tutto ciò porta ad escludere, che laddove la domanda proposta dal cittadino abbia ad oggetto esclusivo il risarcimento del danno, la giurisdizione competa per ciò solo al giudice ordinario. Due, infatti, sono le condizioni affinché la domanda risarcitoria debba essere proposta davanti al giudice amministrativo. La prima è la presenza nella controversia dellaP.A.in qualità di Autorità, e la seconda è l’ingiustizia del danno quale conseguenza della funzione amministrativa. Quanto al primo aspetto, la Corte costituzionale ha affermato, che il Legislatore nel 2000 ha introdotto un sistema che riconosce esclusivamente al giudice naturale della legittimità , poteri idonei ad assicurare la piena tutela. Riguardo al punto concernente l’ingiustizia del danno, i Giudici delle Leggi, hanno precisato, che il potere riconosciuto al giudice amministrativo di disporre il risarcimento del danno ingiusto, è uno strumento di tutela ulteriore da utilizzare per rendere giustizia piena. In questo modo venne ad essere superato il contrasto che si era creato qualche anno prima. Nel dettaglio, la sentenza del gennaio 2006 n. 1207, affermava, invece, che nel caso in cui si agisca con un’azione di risarcimento, senza che si contesti il legittimo esercizio dell’attività amministrativa ( come avviene per esempio nel caso in cui l’atto sia stato annullato o revocato dalla P.A. nell’esercizio del suo potere di autotutela, ovvero rimosso a seguito di una pronuncia definitiva del giudice amministrativo, oppure ancora quando ha esaurito i suoi effetti per decorso di un termine di efficacia fissato dalla legge) l’azione risarcitoria rientrerebbe nella giurisdizione del giudice ordinario non operando, nella specie, alcuna connessione legale fra tutela demolitoria e risarcitoria. La soluzione prospettata dalla sentenza n.1207/2006 era il risultato dell’impostazione cd civilistica, i cui principi ispiratori si rinvengono, tra l’altro, nella sentenza 500/99. Muovendo dalla qualificazione della pretesa risarcitoria, in termini di diritto soggettivo, i sostenitori di questa tesi concludevano affermando che, con gli artt. 35 del d.l.vo 80/98 e 7 comma 4 della legge 205, si è inteso assegnare al giudice amministrativo la tutela risarcitoria solo quando sussistono ragioni di connessione, derogando in tal modo, alla regola generale del riparto. Seguendo la tesi civilistica, pertanto, la nozione di consequenzialità di cui all’art. 7, comma 3 della legge Tar, come riscritto dalla legge n.205, sarebbe da intendere in senso rigoroso, con assegnazione al G.O. delle pretese risarcitorie aventi ad oggetto danni da provvedimento amministrativo non impugnato o non annullato, o da condotta non provvedimentale. La questione della connessione legale tra tutela demolitoria e risarcitoria sarebbe, peraltro, subordinata all’iniziativa del ricorrente, che resterebbe libero di esercitare in un unico contesto entrambe le azioni, passando attraverso un giudizio di ottemperanza per ottenere il risarcimento del danno, ovvero riservandosi l’esercizio separato dell’azione risarcitoria dopo aver ottenuto l’annullamento dell’atto illegittimo. Su posizioni antitetiche si pongono le sentenze del 2006, n. 13659 ( e seguenti) che, invece, sostengono, come sopra accennato, che la volontà del legislatore del 2000, era quella di attribuire all’interesse legittimo una tutela piena e concentrata innanzi ad un unico giudice; ciò in attuazione del principio di effettività, che reca in sé la ragionevolezza dei tempi di tutela ex art. 111 della Costituzione. Concludono le sentenze del 2006 che la giurisdizione sulla tutela dell’interesse legittimo, non può che spettare al giudice amministrativo sia nella tecnica dell’annullamento, sia nella tecnica risarcitoria, in forma specifica o per equivalente. Soluzione questa ribadita anche della sentenza del gennaio 2008, che afferma che il risarcimento del danno cagionato da provvedimento non impugnato o non annullato, non può che essere proposto innanzi al giudice amministrativo. Dello stesso avviso è l’Adunanza Plenaria che con decisione del febbraio 2006 n. 2, ha chiarito che la scelta di un momento successivo per prospettare la domanda di risarcimento del danno, non giustifica una diversa competenza giurisdizionale. Tale tesi non è accettabile nemmeno su un piano logico sistematico, perché lascerebbe al ricorrente la scelta del giudice competente, proponendo insieme o distintamente due domande, senza che mutino i presupposti di fatto o di diritto sui quali le domande si fondano. Nel quadro così delineato, si innesta la quarta fase, caratterizzata dagli interventi della Corte costituzionale con le note sentenze 204, 191, e 140. In altri termini, evidenziati i diversi approcci esegetici all’art. 7, comma 3 della legge Tar e le rispettive implicazioni sul punto di riparto, occorre valutare le conseguenze degli interventi del Giudice delle leggi. Nel 2004 la Corte, valutando la compatibilità del sistema di giurisdizione esclusiva di cui agli artt. 33 e 34del d.l.vo 80, con l’art. 103 della Costituzione, ha precisato che il Legislatore ordinario ben può ampliare l’area della giurisdizione esclusiva, purchè lo faccia con riguardo a materia che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero, pur sempre ( in quanto la P.A. agisce in qualità di Autorità) la giurisdizione generale di legittimità. Il che significa, che la mera partecipazione dellaP.A.nel procedimento, non è di per sé sufficiente per il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia, perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo. Muovendo da queste premesse, la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 34 nella parte in cui devolveva al giudice amministrativo tutte le controversie in materia urbanistica e edilizia, comprese quelle riguardanti i comportamenti. Con la stessa sentenza la Corte dichiara la compatibilità dell’art. 35 con il quadro costituzionale, in quanto siffatta disposizione, nel riconoscere al giudice amministrativo il potere di disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto, non costituisce una nuova materia, ma è uno strumento di tutela ulteriore rispetto a quello classico demolitorio e/ conformativo da utilizzare per rendere giustizia al cittadino. Quindi, secondo le indicazioni del Giudice delle leggi, il giudice amministrativo ha giurisdizione piena in tutti i casi di inerenza dell’attività contestata ( ed eventuale successiva richiesta di risarcimento) all’esercizio del potere. L’inerenza concerne anche i comportamenti, che rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo qualora siano riconducibili all’esercizio, pur se illegittimo, di un potere pubblico. Per converso, ove tali comportamenti causativi del danno ingiusto, sono posti in essere in essere in carenza di potere o in via di mero fatto, e perciò risultano non legati all’esercizio del potere pubblico, la giurisdizione è devoluta al Giudice Ordinario. A questo punto, il passaggio logico successivo, inerisce ai danni da silenzio. Alla luce delle indicazioni derivanti dalla 204, ci si è chiesti se l’inerzia della P.A. deve essere interpretata come mero comportamento o comportamento amministrativo. La questione è stata sottoposta al vaglio dell’Adunanza Plenaria che, con la nota sentenza n. 7 del 2005, ha affermato, che l’omesso esercizio del potere, sia che venga sindacato al fine di ottenere un provvedimento, sia che se ne lamenti la illegittimità ai fini risarcitori, costituisce un’ipotesi speculare di esercizio del potere, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo. Quindi, il ritardo nell’esercizio del potere, non integra un mero comportamento della P.A., lesivo di diritto soggettivi, ma costituisce piuttosto un’ipotesi di mancato esercizio del potere, avente ad oggetto svolgimento di funzioni amministrative. Si è, pertanto, al cospetto di interessi legittimi pretensivi del privato che ricadono, per loro natura, nella giurisdizione del giudice amministrativo. La problematica ruota anche attorno alla natura giuridica della responsabilità della P.A.; per tale motivo, ai fini di una più chiara esplicazione, risulta opportuno accennare, seppur brevemente, ai punti più salienti della questione.. La tesi classica, quella accolta dalle Suprema Corte con la sentenza n. 500, ritiene che la natura giuridica della responsabilità della P.A., è quella extracontrattuale. Secondo tale impostazione, l’art 2043 c.c. è norma primaria di protezione, ed è allo stesso tempo una norma generale, che fonda la responsabilità della P.A. sanzionando con l’obbligo risarcitorio la violazione del principio del neminem laedere. Il risarcimento non può prescindere dalla situazione soggettiva protetta, che è rappresentata dall’interesse al bene della vita al quale l’interesse è correlato. Le condizioni per la ristorabilità sono, l’esistenza di un evento dannoso, il danno ingiusto, il nesso causale, la colpa o il dolo della P.A.. Per quanto riguarda in modo specifico il danno ingiusto, l’ingiustizia di quest’ultimo si deve misurare mediante il giudizio di spettanza del bene finale. La tesi opposta, è quella della responsabilità contrattuale. La Cassazione nel 2003 con la sentenza n. 157, afferma che il contatto del cittadino con la P.A. è caratterizzato da uno specifico dovere di comportamento nell’ambito di un rapporto che, in virtù delle garanzie che assistono l’interlocutore dell’attività procedimentale, diviene specifico e differenziato. Nell’ambito del procedimento, il rapporto traP.A.e privato viene accostato al rapporto senza obbligo primario di prestazione. Quindi, mentre secondo la tesi della responsabilità extracontrattuale, la situazione giuridica protetta, è costituita dal bene della vita a cui l’interesse è correlato, secondo la tesi della responsabilità contrattuale, la situazione giuridica protetta è l’interesse al rispetto delle regole procedimentali. Ne consegue, che le condizioni per il risarcimento prescindono dalla spettanza del bene finale e si incentrano sull’autonoma rilevanza dell’affidamento alla correttezza procedimentale. Inoltre, ai fini del risarcimento è necessario vi sia la violazione da parte della P.A. degli obblighi di comportamento, con conseguente applicabilità delle coordinate codicistiche di cui all’art. 1218 c.c. Il che significa che l’onus probandi ex 1218 c.c. pone a carico dellaP.A.l’onere di provare l’assenza della responsabilità. Le altre differenze rispetto alla responsabilità extracontrattuale sono quelle classiche inerenti alla prescrizione, ai danni risarcibili e al quantum risarcibile. Ritornando sulla questione del danno da ritardo, è ormai noto che l’art. 2 bis della legge 241/1990, introdotto dall’ art. 7, lett. c) della legge 69/2009, prevede l’obbligo di risarcimento a carico delleP.A.(e dei soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative) del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’“inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”. La norma si inserisce nella più ampia previsione dell’art. 7 della legge 69/2009, che nel reintrodurre il termine generale di 30 giorni per la conclusione del procedimento (salva diversa individuazione con i regolamenti da emanarsi entro un anno e comunque non superiore a 90 giorni), ripropone la norma sulla procedura del silenzio di cui all’art. 21 bis della legge Tar 1034/1971 . A più di dieci anni di distanza dalla legge delega n. 59/1997, rimasta inattuata, in cui si prevedeva il pagamento di un indennizzo in caso di mancato rispetto del termine di procedimento da parte della P.A. (art. 17, comma 1, lett. f)), riemerge il problema del danno da ritardo, che questa volta si ritiene risolto normativamente, con la configurazione di un illecito aquiliano. La previsione del danno ingiusto causato dall’inosservanza del termine, unitamente all’elemento soggettivo (dolo o colpa) alla base di tale inosservanza e alla previsione di una prescrizione quinquennale per la richiesta del risarcimento del danno, riconducono la fattispecie all’illecito di cui all’art. 2043 c.c., ovvero ai dettami classici prospettati dalle sentenze del 1999. La dottrina, nei primi commenti, si interroga sulla collocazione della norma nel contesto normativo e giurisprudenziale. Nel dettaglio; scaduto il termine del procedimento, si possono verificare tre evenienze.. La prima ipotesi è quella in cui l’inerzia perduri e la legge non attribuisca alcun significato al silenzio (ipotesi sempre più ampia attraverso la generalizzazione del silenzio-assenso prevista dall’art. 20 della legge 241/90 modificato dalla legge 15/2005, o dal silenzio rigetto, come nel caso di rigetto del ricorso gerarchico ex art. 6 del D.p.r .1199/1971)- In tal caso la legge mette a disposizione uno strumento ( ex art. 21-bis della legge Tar) per giungere rapidamente all’adozione dell’atto da parte della P.A., e ciò anche attraverso l’eventuale nomina di un commissario ad acta. In un secondo caso, si può verificare che la P.A. emani in ritardo un provvedimento favorevole o, ultima ipotesi, sfavorevole, eventualmente anche nel corso del giudizio instaurato avverso il silenzio. In tutte e tre le evenienze, si pone il problema della risarcibilità del danno cagionato o dal ritardo nell’emanazione dell’ atto -favorevole o sfavorevole- o del silenzio, qualora l’inerzia perduri e il privato decida di non porre fine al silenzio con la promozione della procedura propulsiva ai sensi dell’art. 21 bis o nell’ipotesi in cui quest’ultima non si sia ancora definita. Secondo le previsioni normative, affinchè il silenzio sia rilevante giuridicamente, in ordine ad un’eventuale responsabilità risarcitoria della P.A., è necessario che l’istanza rimasta inevasa riguardi i casi in cui “il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio” (art. 2 l.241/1990). Sul punto la giurisprudenza afferma che, indipendentemente dall'esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste, ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l'adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione (art. 97 Cost.), in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad un'esplicita pronuncia. Come già accennato, con la decisione dell’Adunanza Plenaria n. 7 del 2005, la giurisprudenza si è assestata sul riconoscimento della risarcibilità del danno da ritardo, solo nell’ipotesi di provvedimento favorevole al privato; nel caso di perdurante silenzio si ritenne che fosse possibile riconoscere un risarcimento nell’unico caso in cui, mediante un giudizio prognostico circa la spettanza del bene della vita, si poteva stabilire con un grado di probabilità, la spettanza del bene oggetto dell’istanza del privato. Tale ultima ipotesi, peraltro, si scontra con la difficoltà di operare una valutazione dell’esito finale del procedimento nel caso di discrezionalità della p.a., con la sua pratica preclusione nell’ipotesi di attività amministrativa discrezionale pura. In presenza di un provvedimento di rigetto dell’istanza del privato (non impugnato o confermato dal g.a. con la reiezione del ricorso) o di un giudizio prognostico negativo, la giurisprudenza prevalente afferma, che il privato non ha nessun titolo per ottenere il risarcimento. La posizione di tale giurisprudenza, da ultimo ripresa dal Cons. Stato nel 2008 con sentenza n. 248, si basa sui presupposti concettuali impostati dalla nota sentenza 500/99 della Cassazione. Come già ampiamente riferito, nell’inaugurare la stagione del risarcimento del danno da lesione di interesse legittimo, perché danno non in iure e pertanto egualmente ingiusto come il danno contra ius, la storica decisione collegava il risarcimento dell’interesse legittimo al bene della vita. Tale impostazione, che disegna l’illecito da atto illegittimo come aquiliano ai sensi dell’art. 2043 c.c., è stata, però, contrastata da chi riteneva, che in realtà la legge 241/1990, prevedendo una serie di obblighi procedimentali di correttezza a carico della P.A. e un rapporto diretto instauratosi tra cittadino e P.A., configurasse una responsabilità di natura contrattuale da “contatto”. In tale prospettiva la violazione del termine del procedimento comportava un diritto al risarcimento del danno risentito dal privato indipendentemente dal contenuto dell’atto. Tale teoria non ha avuto molta fortuna, anche in conseguenza del timore di estendere eccessivamente l’area della risarcibilità degli interessi legittimi, in presenza di vizi esclusivamente formali e in ordine ad interessi procedimentali svincolati dal bene della vita. Che il tempo è un bene della vita, è stato evidenziato come elemento imprescindibile, anche nella ormai risalente ordinanza di rimessione alla nota Adunanza n.7 /05. Nell’ordinanza si legge, che l’affidamento del privato alla certezza dei tempi dell’azione amministrativa sembra, nell’attuale realtà economica e nella moderna concezione del c.d. rapporto amministrativo, essere interesse meritevole di tutela in sé considerato. In tale ottica il rispetto ai tempi del procedimento deve essere svincolato dagli ulteriori interessi procedimentali . Ne consegue, che nell’ipotesi di scadenza del termine del procedimento, il privato, ove ne sia danneggiato, avrà diritto al risarcimento,indipendentemente dal contenuto del provvedimento. La fattispecie risarcitoria, prevista dal nuovo articolo 2 bis della legge 241/90, mostra di recepire l’impostazione classica della responsabilità extracontratuale, ancorando il risarcimento al ritardo o al silenzio della p.a., indipendentemente dal contenuto dell’atto. L’elemento oggettivo dell’illecito è, infatti, costituito da una condotta omissiva individuata nell’ ”inosservanza dei termini del procedimento”, colposa o dolosa che abbia causato al privato un “danno ingiusto”. Risulta, dunque un’autonomia della fattispecie risarcitoria rispetto al contenuto dell’atto amministrativo. La norma si disinteressa del provvedimento perché al di fuori dell’ipotesi risarcitoria e non causalmente collegato all’individuazione del “danno ingiusto”, elemento indispensabile per il risarcimento. Il bene protetto dalla norma è il rispetto dei tempi certi del provvedimento al fine di salvaguardare la progettualità del privato e la determinazione dell’assetto di interessi dallo stesso preordinato in relazione ai tempi del procedimento. Il danno è ingiusto perché la P.A. non ha rispettato i tempi determinati dall’ordinamento per la legalità del suo agire amministrativo; e ciò, quindi, anche se il contenuto dell’atto è negativo ( atto che peraltro il privato non è tenuto ad impugnare al fine di veder riconosciuto il danno da ritardo, essendo l’azione sottoposta al termine prescrizionale di cinque anni e in assenza di un rapporto di pregiudizialità concettuale con l’impugnazione del provvedimento negativo, il cui contenuto non incide sul giudizio risarcitorio previsto dall’art. 2 bis) Sembra quasi che la questione della previa impugnazione dell’atto amministrativo avanti al G.A., si sia dissolta, perchè nemmeno nell’ipotesi di perdurante silenzio sarebbe necessario attivare pregiudizialmente (o cumulativamente) la procedura del silenzio ex art. 21 bis. La mancata attivazione del giudizio ai sensi dell’art. 21 bis potrebbe, però, rilevare ai sensi dell’art. 1227 c.c. in ordine alla quantificazione del danno risarcibile. Per quanto concerne l’aspetto processuale, si ritiene opportuno concludere sul punto, annotando che l’art. 2 bis attribuisce alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo la domanda risarcitoria. Il fatto dell’illecito non è necessariamente connesso all’illegittima attività provvedimentale della p.a., ma può essere generato da un comportamento omissivo. L’ inerzia o il ritardo della p.a., in quanto collegati a poteri autoritativi, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo Per quanto attiene la prova dell’elemento soggettivo, se anche la fattispecie è riconducibile all’art. 2043, con il conseguente onere della prova dell’esistenza dell’elemento soggettivo a carico del privato, non è comunque richiesto al privato danneggiato un particolare sforzo probatorio. Infatti, il privato danneggiato può invocare l'illegittimità del provvedimento quale indice presuntivo della colpa o anche allegare circostanze ulteriori, idonee a dimostrare che si è trattato di un errore non scusabile. Spetterà, di contro, all'amministrazione dimostrare che si è trattato di un errore scusabile, configurabile, ad esempio, in caso di contrasti giurisprudenziali sull'interpretazione di una norma, di formulazione incerta di norme da poco entrate in vigore, di rilevante complessità del fatto, di influenza determinante di comportamenti di altri soggetti, di illegittimità derivante da una successiva dichiarazione di incostituzionalità della norma applicata. Per ultimo, riteniamo utile richiamare la recentissima decisione del Consiglio di Stato, sez. V, del 15.10.2010 n. 7527 riguardante il Pubblico impiego, risarcimento del danno, giurisdizione, discrimine. E' questa decisione che ci spinti a riflettere sull'argomento ritenendo di aver offerto momento di riflessione a quanti interessati all'argomento. La Corte con detta decisione ha affermato che la controversia relativa ad una domanda di risarcimento di danno da parte di un impiegato pubblico rientra nella sfera di cognizione del Giudice ordinario ovvero in quella esclusiva in materia di rapporto di impiego pubblico del Giudice amministrativo a seconda che si tratti di responsabilità extracontrattuale ovvero contrattuale. Ai fini dell’individuazione della corretta giurisdizione assume rilievo l'elemento materiale dell'illecito, ossia la condotta dell'Amministrazione, a seconda se il suo comportamento lesivo possa esplicarsi indifferentemente nei confronti della generalità dei cittadini come nei confronti dei propri impiegati, costituendo in tal caso il rapporto di lavoro una mera occasione dell'evento dannoso, con giurisdizione del Giudice Ordinario, o se esso comportamento possa esplicarsi solo nei confronti dei dipendenti, con giurisdizione del Giudice Amministrativo.
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XXXVI CONVEGNO ANNUALE DELL'ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI “LINGUA LINGUAGGI DIRITTI”
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Messina e Taormina, giovedì 27, venerdì 28 e sabato 29 ottobre 2022
giovedì 27, venerdì 28 e sabato 29 ottobre 2022Università degli Studi di Messina, Aula Magna Rettorato, ...
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LA FORMAZIONE DELL’AVVOCATO DEI GENITORI NEI PROCEDIMENTI MINORILI E DI FAMIGLIA
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Napoli, 13 Ottobre 2022, Sala “A. Metafora”
Webinar su piattaforma CISCO WEBEX del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoliore 15.00 - 18.00Giovedì ...
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Sicurezza sul lavoro. Responsabilità. Illeciti e Sanzioni
P. Rausei, IPSOA, 2014
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Il volume fornisce una analisi puntuale, schematica e sistematica, dell’attuale quadro sanzionatorio ...
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Trattato di procedura penale
G. Spangher, G. Dean, A. Scalfati, G. Garuti, L. Filippi, L. Kalb, UTET Giuridica
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A vent’anni dall’approvazione del nuovo Codice di Procedura Penale, tra vicende occasionali, riforme ...
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Guida pratica al Processo Telematico aggiornata al D.L. n. 90/2014
P. Della Costanza, N. Gargano, Giuffrè Editore, 2014
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Piano dell'opera- La digitalizzazione dell’avvocatura oltre l’obbligatorietà- Cos’è il processo telematico- ...
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Diritto penale delle società
L. D. Cerqua, G. Canzio, L. Luparia, Cedam Editore, 2014
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L'opera, articolata in due volumi, analizza approfonditamente i profili sostanziali e processuali del ...
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